Il 7 ottobre, anniversario dell’infame e ignobile pogrom, l’anno scorso lo abbiamo ricordato con questo pezzo. Quest’anno abbiamo deciso di fare qualcosa di diverso e più, come dire, locale. Questo giornale organizzò il 25 gennaio del 2024, insieme al gruppo di Più Europa Vicenza e chiunque altro liberamente volesse aderire, una manifestazione chiamata “Uniti contro l’antisemitismo” in cui si sottolineava che “esserci è difendere la democrazia e l’Europa”. La manifestazione aveva il patrocinio delle due comunità ebraiche di Verona e Padova che hanno anche giurisdizione su Vicenza e vedeva la presenza dei capi rabbini e di molta gente comune, oltre che di esponenti sia della maggioranza che dell’opposizione del governo cittadino. Il senso di quella coraggiosa (perché purtroppo ci volle coraggio) serata stava nel dire ad alta voce che non era accettabile il ritorno di antisemitismo che si sentiva in tutto il mondo, non era accettabile dimenticare la storia e soprattutto far finta di nulla di fronte ad un crescente sentimento antisionista che, occorre ribadirlo, è l’anticamera del non riconoscimento del diritto di esistere di Israele. Si badi bene che tutto questo fu fatto sottolineando tutte le derive del governo di estrema destra di Netanyahu e condannandolo senza la minima traccia di ambiguità. Nel corso dei mesi successivi abbiamo tenuto la stessa posizione fino ad un recente articolo abbastanza chiaro su quale sia il nostro pensiero. La decisione da parte del sindaco Possamai di invitare Francesca Albanese ad inaugurare il Parco della Pace ci aveva quindi decisamente spiazzati. All’inizio abbiamo controllato se fosse un refuso, e se magari si trattasse di Antonio Albanese, il grande comico lombardo, ma purtroppo così non era. In ogni caso, così parlavamo prima della manifestazione del 25 gennaio 2024 e la situazione è drammaticamente e follemente peggiorata dal punto di vista dell’odio verso gli ebrei e dell’antisionismo/antisemitismo dichiarato.
Partiamo dai fatti. Francesca Albanese, 48 anni, è un’avvocata campana, dal 2022 è relatrice ONU, un ruolo che la obbligherebbe a un’analisi equilibrata dei conflitti. Ma il suo approccio, lungi dall’essere imparziale, è un manifesto di partigianeria anti-israeliana che flirta pericolosamente con un anti-occidentalismo viscerale e, in certi passaggi, con una inquietante indulgenza verso il Cremlino. Albanese non si limita a denunciare le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi – compito che le spetterebbe – ma costruisce un’impalcatura ideologica che dipinge Israele come il male assoluto, un “regime di apartheid” dedito a un “genocidio” a Gaza, secondo il suo rapporto del 2024.

Le sue accuse sono un campionario di iperboli: Israele non occupa, “colonizza”; non si difende, commette “pulizia etnica”. Nel suo primo rapporto ONU, ha chiesto agli Stati membri di “sviluppare un piano per porre fine all’occupazione coloniale israeliana e al regime di apartheid”, come se la complessità del conflitto israelo-palestinese potesse essere ridotta a una caricatura da comizio. Non una parola sulla brutalità di Hamas, se non un generico riferimento agli attacchi del 7 ottobre 2023, subito bilanciato da un monito contro le “atrocità” israeliane. Quando Israele ha risposto all’attacco di Hamas con l’operazione “Spade di ferro”, Albanese ha gridato al rischio di “pulizia etnica di massa”, ignorando il contesto di un’aggressione terroristica senza precedenti.
Ma non è solo Israele nel suo mirino. Gli Stati Uniti, secondo Albanese, sono “soggiogati dalla lobby israeliana”, mentre l’Europa è paralizzata dal “senso di colpa per l’Olocausto”, una frase che mescola stereotipi antisemiti a una critica che sa di complottismo d’accatto. E poi c’è il capitolo Putin. Nel 2024, Albanese ha paragonato le sanzioni occidentali contro la Russia per l’invasione della Crimea a un’ipocrisia, visto che, a suo dire, nulla di simile è stato fatto contro Israele per la Cisgiordania o le Alture del Golan. Un’equivalenza che, senza mai giustificare apertamente Putin, strizza l’occhio a una narrazione che relativizza le responsabilità di un autocrate in guerra. Questo non è il linguaggio di un funzionario ONU, ma di un’attivista che usa il palco internazionale per un’agenda politica precisa.

La credibilità di Albanese è ulteriormente minata dalle sue contraddizioni. Accusata di antisemitismo da esponenti israeliani e americani – accuse che lei respinge, sostenendo di criticare solo l’occupazione – è stata difesa da 56 esperti nel 2022, che hanno bollato le critiche come tentativi di “metterla a tacere”. Eppure, il suo ultimo rapporto, “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, ha suscitato reazioni furibonde non solo da Israele, ma anche dagli Stati Uniti, che l’hanno sanzionata nel luglio 2025, vietandole l’ingresso nel Paese e congelando eventuali beni. Il rapporto accusa 48 aziende, tra cui colossi come Lockheed Martin, Google, Microsoft e l’italiana Leonardo, di lucrare sull’“economia del genocidio” israeliana. Un’accusa tanto grave quanto priva di prove concrete, che trasforma un’analisi giuridica in un pamphlet ideologico. Su di lei, intanto, pesano nubi feroci, come l’accusa di aver preso sovvenzioni da Hamas, di aver millantato titoli di studio che non possiede, tanto che Guterres l’ha definita una persona orribile, come ha riportato Maurizio Molinari, non proprio J.D. Vance. Guterres avrebbe tentato di impedire fosse riconfermato l’incarico a Albanese ma in realtà questo organismo delle UN, che è guidato da varie nazioni ed è sotto l’influenza di stati come l’Iran, gliel’ha riconfermato. Di fatto le posizioni di Albanese delegittimano la sola esistenza di Israele. Per lei Israele non doveva nemmeno esistere nel 1948 e non esiste nei suoi scritti nessun minimo tentativo di obiettività. All’inizio del suo mandato aveva dichiarato che intendeva esaminare le violazioni commesse nel territorio palestinese occupato da chiunque, incluso le autorità palestinesi. Peccato che il suo lavoro sia invece stato tutto a senso unico fin dall’uso della menzogna insita nel non dichiarare il mandato di suo marito presso l’autorità palestinese per evitare il conflitto di interessi. Peccato che lei parli di Hamas (e molto prima del 7 ottobre) non come un’entità terroristica ma come un movimento di resistenza e liberazione. Strano modo di essere una relatrice super partes. La signora Albanese è una che ha scritto: “I palestinesi sfollati dal 1948, sopravvissuti alla Nakba, devono essere in grado di tornare alle loro terre storiche, ricostruire le loro vite e porre fine al ciclo dell’esilio forzato”. Sì, avete letto bene: 1948. Vale a dire l’affermazione del diritto di autodeterminazione dei palestinesi per il tramite della distruzione di Israele. C’è infine il punto di vista di Israele, ma è evidentemente viziato da un risentimento così forte e ingiusto che non vale la pena di occuparsene. Quanto agli “ebrei” – i quali, come ha spiegato la signora Albanese, stanno facendo ai palestinesi ciò che i nazisti fecero a loro – sono così prevenuti che il loro non è nemmeno un punto di vista. È una faccenda di sangue. Quando un funzionario ONU omette di condannare apertamente crimini come l’uso di scudi umani, le violenze sessuali sui civili o l’eccidio del 7 ottobre, e allo stesso tempo definisce la risposta militare israeliana come “sterminio”, il messaggio percepito è uno solo: la violenza di Hamas viene normalizzata, quella di Israele demonizzata. L’effetto non è neutrale. È pericoloso. Francesca Albanese, nel suo incarico, non appare come una figura di mediazione. Piuttosto, sembra rappresentare una linea narrativa precisa, non sempre aderente alla complessità dei fatti né equilibrata nelle sue fonti. Questa tendenza riflette un cambiamento più ampio all’interno dell’ONU, dove la neutralità istituzionale cede sempre più spazio a letture ideologiche e polarizzate. Un’Organizzazione nata per difendere la pace non può permettersi di diventare megafono di una sola parte.

Questo è quanto. Ci siamo quindi chiesti al tempo: siamo sicuri sia giusto invitarla qui a parlare di pace? Di quale pace poi? Siamo sicuri sia pertinente per una città di certo non estremista e che anzi nel suo essere moderata ha la sua forza? Siamo sicuri che mentre gli ebrei sono tornati a doversi difendere in tutto il mondo, solo perché ebrei, si decida di dare voce a questo personaggio divisivo? E siamo infine sicuri non sia più opportuno aprire a tutti i conflitti in atto, in primis quello ucraino, se vogliamo fare dell’inaugurazione del Parco della Pace un momento di vera riflessione e non di parzialità? Il Parco della Pace, nato sulle ceneri dell’ex area Dal Molin, simbolo di una mobilitazione popolare contro la base militare USA, è un luogo che dovrebbe celebrare la riconciliazione e il dialogo. Invitare Albanese ci sembrava invece un cedimento alle pressioni di quella sinistra “No Dal Molin” che, nel gennaio 2024, ha protestato contro VicenzaOro, accusando la fiera di ospitare stand israeliani e il sindaco di “solidarietà a senso unico” con Israele. È lecito chiedersi se questa scelta non sia stata un tentativo di placare gli animi di una comunità radicale che, da anni, agita lo spettro del conflitto israelo-palestinese per alimentare una narrazione anti-occidentale. Possamai, che è moderato per antonomasia, si è forse piegato a un calcolo politico? Ha per una volta smesso i panni (che veste con grande successo) dell’accentratore decisionista e ha ascoltato un cattivo consiglio? O è stata semplicemente un’opportunità colta al balzo per rispondere ai molti contestatori del festival ITA-USA? Per l’intelligenza con cui sta governando la città, per gli evidenti successi e la grande capacità di dialogo, vogliamo sperare non sia stata una scelta di campo e che si possa avere un dibattito sulla pace che non sia ostaggio di polarizzazioni ideologiche, e che non ceda alla tentazione di santificare chi, come Albanese, ha fatto della parzialità una missione. Non vorremmo che, pur di non scontentare nessuno, si finisse per scontentare la ragione.
La Albanese alla fine non è venuta, ed il motivo è che ha declinato l’invito, non che il Sindaco avesse nel frattempo cambiato idea, ahimè. Il Parco della Pace è stato inaugurato così con la partecipazione del Sindaco di Betlemme Maher Nicola Canawati, in una giornata di festa altamente simbolica. Ed è stata una grande fortuna che il piano originale sia saltato, visto quello che è successo a Reggio Emilia, dove l’avvocata che difende Hamas ha umiliato il Sindaco e l’intera città. Una città che fa del dialogo e della non violenza tratti identificanti del suo essere. Ma, ci e vi chiediamo, si può dire “ ti perdono ma non lo fare mai più” al primo cittadino che manifesta la necessità, insieme a quella di difendere i palestinesi dagli orrori di Netanyahu, di liberare degli ostaggi civili incolpevoli? Dovevano darle la bandiera della vergogna, non il tricolore.

Il PD non ha nulla da dire per il suo sindaco di Reggio Emilia, fischiato per aver chiesto la liberazione degli ostaggi come condizione per fermare la guerra? Nulla da dire su questa ideologizzazione estrema che impedisce di vedere tutta la realtà o che la distorce?
L‘errore più grande da fare a Vicenza sarebbe stato dare visibilità a una persona come l’Albanese, a una che afferma che bisogna capire i terroristi, a una che considera legittimo rapire e detenere persone in ostaggio. Perché il punto è questo: che differenza c’è tra la Albanese che irride il sindaco di Reggio e la Meloni che parla di weekend lungo per lo sciopero? Nessuna. Ma gli ultrà delle due curve non lo riconosceranno mai. Il rischio che abbiamo corso è stato quello di mettere il bollino dell’amministrazione su una di queste due curve e di scadere al livello del populismo che governa il dibattito. Possamai deve ringraziare la sua buona stella.
Nei cortei di venerdì scorso lo slogan “palestina libera dal fiume fino al mare” si è sentito in tutte (letteralmente tutte) le manifestazioni e questo è inquietante. Si è di fronte ad un’invincibile ostilità verso Israele e parliamo di Israele come nazione, come esistenza, e non solo del suo governo. E questo vuol dire che è passato il messaggio di Francesca Albanese, fatto proprio da una bella porzione della sinistra italiana. Significa, senza tanto girarci attorno, che c’è una radicalizzazione pericolosa in atto nelle manifestazioni per Gaza. Un tempo il PCI prendeva nettamente le distanze dalla sinistra extra parlamentare e non la sfruttava a fini elettorali, negli anni ’70 in sostanza una figura come quella della Albanese non avrebbe neanche attaccato i manifesti per il partito o forse non l’avrebbero fatta neanche entrare in una sezione del partito. Oggi il PD la eleva ad icona e chiede scusa se parla di ostaggi ed è di ieri la notizia che a Bologna ha ricevuto la cittadinanza onoraria dopo tutte queste faccende deplorevoli (caso Reggio incluso), dopo che ha irriso persino Liliana Segre, parlando della sua sofferenza di sopravvissuta alla Shoah come di “una pietra d’inciampo” che la rende poco lucida sulla situazione di Gaza. Pietra d’inciampo, capite? Lo schifo. Siamo di fronte forse (come ha scritto Falasca) ad una sorta di scalata interna alla sinistra di un movimento fortemente antioccidentale ed estremista che oggi usa la bandiera Palestinese e domani sceglierà altre battaglie sulle quali forgiare un’identità e spazzarne via un’altra. E intanto Meloni incassa voti. E anche il PD più liberale, moderato, democristiano, rappresentato da Possamai, ci stava per cadere. Mala tempora currunt. A dire il vero, nelle ultime ore, parte del partito (quella riformista) si sta opponendo alla beatificazione della Albanese, con Silvia Salis (Sindaco di Genova) che rinuncia ad un evento con lei “per altri impegni” e poi con critiche accese e dirette (finalmente!) da parte dei “soliti” noti: Picierno, Gualmini, Fassino (grande sostenitore della causa israeliana), Sensi e pochi altri. Attacchiamoci a loro, sperando il Sindaco di Vicenza faccia ammenda e vi si accodi pure lui.












