Alessandro Rossi: Pablito, mio padre.

Si scriveva paolorossi, tutto attaccato, come fosse un marchio, anzi un simbolo, e così facendo avevi espresso un mondo e un’epoca. Poi se ci aggiungevi “pablito” ci mettevi l’epos eroico delle giornate argentine e spagnole, dove divenne la rappresentazione stessa dell’Italia nel mondo.
Un’Italia che aveva tanto bisogno di lui per uscire da anni nerissimi, in cui il terrorismo aveva sfiancato ogni resistenza. La tv, prima del Mundial argentino, era ancora in bianco e nero, a causa di paradossali volontà politiche che vedevano pernicioso il colore, aggiungendo motivazioni economiche più o meno reali; ed era un bianco e nero che dipingeva lo squallore dei delitti, degli attentanti, dell’austerità di quegli anni.
Il colore serviva come aria fresca, ed il campionato del mondo del ‘78 sarebbe stato il primo grande evento che tutti avrebbero visto come si vede la vita vera. Quel ragazzino di 22 anni giocava a Vicenza e dico “a” e non “nel” perché era davvero un Vicentino Paolo, e lo sarebbe rimasto per sempre.
Vicentino era il suo spirito umile e popolano, il suo godere delle piccole cose della provincia anche dentro al suo essere giovane uomo, l’amare la ribalta ma sempre con quel understatement da persona per bene che non a caso poi si troverà un lavoro “vero” nell’immobiliare e anche questo aspetto è molto Veneto, molto Vicenza.
In Argentina il clima politico era ben peggiore del nostro, con una dittatura che cercava nel calcio una legittimazione popolare e con la albiceleste pronta ad essere sicario di ogni regola sportiva. Pablito portò colore, vita e speranza in quel 1978 che prima era l’anno di Moro, il punto più estremo della follia brigatista.
Ma il colore più fulgido, abbagliante e definitivo arrivò nel 1982 e lì davvero cambiò il mondo. Tutto di quell’avventura in Spagna è letteratura. La storia è arcinota: il calcioscommesse, una squalifica ingiusta, il ritorno alla Juve, Bearzot che lo aspetta, le prime tre partite da fantasma in campo e poi l’esplosione col Brasile dei fenomeni.
C’è tutto: riscatto, fiducia, amicizia, sacrificio… Una favola moderna, una delle più belle di questo disgraziato paese. L’Italia cambiò drasticamente in quei giorni tra Barcellona e Madrid, e gli anni ottanta iniziarono lì, nel’82, non prima. E andare in giro per il mondo a dire che venivi da qui era sentirsi dire irrimediabilmente “ah, paolorossi!” e potevi addirittura dire che venivi da Vicenza, senza usare la solita risposta “vicino a Venezia”, perché Vicenza era paolorossi.
Un uomo educato, colto, che trovavi in osterie o alle feste e che ora è nelle foto di mezza città ma mica come quando ti fai la foto col vip per glorificare il tuo ego e mostrarlo come trofeo, no, queste sono foto di famiglia, di un affetto vero tra lui e noi, tra lui e Vicenza.
La notizia della sua morte. un anno fa, ci colse di sorpresa, come se davvero qualcuno fosse furtivamente entrato in casa tua a rubarti il baule dei ricordi. Non ci sarà un altro paolorossi, impossibile.
Ma non perché non potrà esserci uno più forte di lui, ci mancherebbe altro, Pablito era un predatore fenomenale da area, un Gerd Müller nostrano in un certo senso, ma non aveva la tecnica sopraffina di altri attaccanti, era umano anche in quello, con quei ginocchi malandati e quel suo modo di rapinare i palloni. Se c’è un motivo per cui non ci sarà mai più nessuno come lui è che pochissimi hanno rappresentato quello che lui ha rappresentato, quello che lui ha marchiato a fuoco nelle nostre vite. Un’era intera che aveva un volto, un sorriso, un nome: paolorossi.

Paolo, la prima moglie Simonetta e un piccolo Alessandro

Il 1982 è l’anno della vita per la famiglia Rossi. Non solo quello che tutti sappiamo ma anche l’arrivo del primo figlio Alessandro. Un anno segnato dal destino. E Alessandro ora è la proiezione di suo padre.
In questi giorni, mentre la data del 9 Dicembre si avvicina, il ricordo di Paolo diventa sempre più un impegno di vita, un peso da portare avanti però con leggerezza e col sorriso che è identico a quello di papà. Alessandro ora gestisce gli affari del padre, collaborazione tra i due che era comunque già iniziata anni fa.
“Quest’anno è stato duro – esordisce Ale – intenso sia emotivamente che lavorativamente perché lui era una presenza fortissima in famiglia e io vivevo la famiglia allargata anche da prima visto che stavamo sempre assieme”. Pochissimi sapevano della malattia e Paolo ha lottato fino all’ultimo con Alessandro presente al suo fianco.
“Gli ultimi giorni sono stati terribili ma lui ancora sorrideva”. Inevitabile, parlando con lui, non sentire quel sentimento di appartenenza ad un modo di vivere sereno e forte allo stesso tempo.
“Vicenza gli dava questo tipo di normalità, con pochi amici e giusti, una vita normale e quando poteva tornava sempre anche negli ultimi anni. Per lui c’erano solo il lavoro e la vita famigliare. Dai 40 ai 52 anni di fatto non si era quasi più visto in giro e poi ha ripreso a lavorare in tv come commentatore. Nove anni a Sky, due a Mediaset e uno in Rai. Io andavo spesso in trasmissione con lui e poi a mangiare tra mille risate con Bergomi o Costacurta. Tardelli e Cabrini comunque erano gli amici più grandi con cui si sentiva sempre”.
E il giorno del funerale c’erano tutti, i campioni di Spagna e anche tutti gli altri, insieme ad una città che si era stretta attorno al suo campione. “Ho sentito un amore immenso al funerale e soprattutto alla camera ardente allo stadio, sono ricordi che non dimenticherò mai”.

La moglie Federica, Alessandro e il Sindaco Rucco all’inaugurazione di Largo Paolo Rossi

Essendo nato nel ’82, ha potuto gustarsi poco o niente il padre calciatore in attività. “Beh si, ho visto una partita a Torino che avevo 3 anni e poi andavo a vedere quelle delle vecchie glorie col Club Italia ma in sostanza io ho sempre visto mio papà sui filmati d’epoca”.
Chissà com’è essere figli di Paolo Rossi, capire la portata di quel che ha rappresentato per un paese intero e per mezzo mondo. “Ho iniziato a capire qualcosa in prima o seconda elementare. Andavo in Piarda, avrò avuto 9 o 10 anni e una mattina mi accompagnò lui a scuola. Di solito ci andavo con la nonna o con la mamma e arrivavo a scuola in dieci minuti scarsi. Invece quella mattina ci avrò messo un’ora. Tutti lo fermavano di continuo e così ad un certo punto gli ho chiesto come mai e lui ha detto “eh perché giocavo a calcio e mi conoscono”.
Per me la sua fama non è mai stata di peso anche perché lui ha sempre cercato di tutelarci. Non posso nemmeno dire di aver avuto chissà quali vantaggi perché lui cercava sempre e fermamente la normalità. Ad esempio è divertente quel che succedeva coi voli aerei. Lui comprava sempre il biglietto economy perché gli piaceva stare in mezzo alla gente, detestava i privilegi. E così capitava spesso che quando veniva riconosciuto (e veniva sempre riconosciuto!) ci offrissero il viaggio in business e nonostante la sua ritrosia ci trovavamo a volare ospiti in prima classe. Lui è uno che a 27 anni aveva i miliardi in banca ma non si è mai e dico mai atteggiato o montato la testa”.

“Pablito”, il vino

Il lavoro di Alessandro ora è sue due fronti, quello del vino e quello della fondazione. “Il vino abbiamo iniziato a farlo nel 2006 e poi è partito il progetto “Pablito” che abbiamo presentato al Vinitaly nel 2019. Il 2021 è il primo anno commerciabile”.
Ale segue la linea produttiva dei vigneti e la società con l’agriturismo in Toscana (Poggio Cennina) con le camere, l’area ricettiva, gli impianti sportivi, le biciclette e il lago da pesca. Parlando del bere invece esiste una linea di vini chiamata “Pablito” e poi una “Cennina”, oltre che a tre tipologie di birre prodotte da “La Villana” a Grantorto

Le tre birre Pablito

Poi c’è la fondazione, che come ci dice Alessandro “è stata costituita a Luglio e l’idea è di avere la sede a Vicenza con annesso il museo. Stiamo pensando a dove fare il tutto ma ci sono già molte idee e stiamo cercando i fondi. Solo dopo la morte ben 250 opere d’arte da 20 paesi del mondo sono arrivate in onore di papà.
Abbiamo già fatto una mostra a Prato e diventeranno parte della fondazione. Per il resto l’obiettivo è finanziare borse di studio perché lui diceva sempre che ci son molti ragazzi che non hanno possibilità e se lo meritano ed è giusto aiutarli.
Tutta l’idea ce l’ha avuta lui. Tutti i progetti che ci sono adesso a nome suo sono cose portate avanti e nate da lui. Vogliamo chiudere e tenere il ricordo vivo per lui perché sarebbe stato il suo lavoro”. Tale padre tale figlio quindi. A noi non resta che alzare il calice con il suo vino e brindare a lui, ad Alessandro e a tutti noi stretti nel ricordo.

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