Partho Sarothy entra nell’Odeo del Teatro Olimpico portando con se la sua bellezza interiore. Sono le 14.30 di una domenica pomeriggio di un autunno ancora non freddo, e la sala è piena di gente che attende qualcosa che conosce bene, o che sente di conoscere. La spiritualità della musica indiana è entrata nel quotidiano occidentale da diversi anni. La pratica dello Yoga l’ha molto divulgata. Ma oggi quello che si percepisce è qualcosa di realmente vissuto, non una moda. Hanuman sta svolgendo da tempo un lavoro profondo e attento sul tema, tanto che quando Alan Bedin presenta l’evento c’è un senso di quieta partecipazione, come si fosse tutti in un salotto gentile.
La musica può armonizzare la nostra anima, dice da subito il maestro Sarothy ed introduce ai dettami della musica indiana classica. Spiega lo Sarod, che insieme al sitar è lo strumento predominante nella musica tradizionale della regione chiamata Hindustan, a nord dell’India. L’aspetto divulgativo è da subito molto predominante, quasi uno sforzo educato per rendere partecipi gli orecchi europei. Poi inizia un raga infinito. Musicisti e pubblico entrano nella stessa dimensione spirituale. Una musica in perenne movimento. La mente abituata alla chitarra convenzionale, si sposta verso nomi come John Fahey, ma onde del mare mosso destano l’ascolto e poi lo calmano allo stesso modo. E quella nota (il do) continua a penetrare. Le tabla attendono e attendono e alla fine non intervengono nel primo brano che dura 25 minuti. Il maestro la descrive come una preghiera per tutti. Per la prosperità e la bellezza. Il secondo brano è un altro raga, questa volta accompagnato dalle tabla. Un’improvvisazione a due. Molti, tra il pubblico, tengono gli occhi chiusi. Alla fine l’applauso è simile ad un grazie collettivo. Dopo i saluti, parliamo con Partho Sarothy.
La musica indiana è sempre più nota e vissuta nelle nostre zone. A Vicenza anche grazie al lavoro di Hanuman e del Conservatorio Pedrollo e a Venezia con la Fondazione Cini. Secondo lei perché si sente così forte questo legame con il vostro patrimonio culturale?
La cultura indiana e lo Yoga sono popolari nel mondo e la cultura chiama altra cultura. A volte capita che anche noi prendiamo dalla vostra cultura. Io credo che voi facciate un lavoro eccellente nel portare il meglio di quanto la nostra tradizione può essere positiva e penso che fino a che ognuno di noi prende il meglio dall’altro allora ci sarà sempre più saggezza.
Ad un pubblico non “iniziato” cosa consiglia di ascoltare per entrare nella musica classica indiana?
Innanzitutto voglio dire che noi suoniamo per l’anima e non per altro. La musica è universale, non ha nessuna barriera, niente è come il suono. Nulla è come le note ma anche la religione non deve mettere steccati, fino a che si parla di liberazione e amore. Ascoltate Ravi Shankar, il mio maestro. Io sono stato con lui per molti anni, in tutto il mondo. Il suo nome è una leggenda, ma il suo spirito è nella mia musica, perché la nostra musica è indissolubilmente legata al significato che porta con se.
Che musica occidentale ascolta? Cosa sente vicino alla sua sensibilità che arrivi da noi?
Molta musica classica. Molta davvero. Ma quella che non aggredisce e che comunica bellezza. Ed è talmente vasto il catalogo che non potrei nemmeno dire un nome. Amo la musica classica europea.