Valmarana, ora del tramonto. La valle sottostante pare un presepe. Immobile, silenziosa e puntinata di luci colorate. Gli alberi nel boschetto si stagliano verso la sera incipiente. Campane tubolari risuonano mosse da un vento leggero. Alan sorride e ci dà il benvenuto nel suo mondo. Da qui, messere, si domina la valle. E si dominano anche molti inutili orpelli di una modernità che Bedin rifugge. Ma senza lo snobismo di chi non partecipa al circo contemporaneo, ma con la calma e la serenità di chi semplicemente ha trovato la sua dimensione. Ed è una dimensione di comunione con corpo e spirito, innanzitutto una scelta naturale di valori.
Il percorso che Alan Bedin ha intrapreso negli ultimi anni, sposa spiritualità a musica, insegnamento a collaborazioni, comunità a ricerca personale. Un punto di arrivo (che non è mai una fine) dopo anni e anni di musica. Di lui si può infatti dire sia una vecchia volpe della scena vicentina. Fu voce solista nei “Sinergia”, più di vent’anni fa. Un collettivo che proponeva una miscela di prog, beat italiano e una sezione fiati spettacolare. Vinsero un “Sanremo Giovani” e pubblicarono un album “Mr. Freud” in cui classicità e ricerca cercavano una strada comune. Poi ci furono i lunghi anni in Cramps Records come direttore artistico. Attraverso la storica etichetta, Alan approfondisce l’amore puro per artisti come Demetrio Stratos o John Cage e per la scena prog italiana anni settanta. Un modo alternativo di concepire il progetto musicale, un approccio più intellettuale e filosofico. Le collaborazioni sono tantissime: Paolo Tofani, Ares Tavolazzi, Mauro Pagani, il gruppo d’avanguardia Opus Avantra. Poi viene l’esperienza de Il Magnetofono, trio jazzy italiano di musica d’autore, con il quale ha realizzato più di 300 concerti. Ma per la biografia vi rimandiamo al suo sito. Quello che conta è il qui ed ora, e si chiama “Hanuman”: scuola di musica e danza indiana. Entriamo nel suo studio, ci togliamo le scarpe, vediamo le immagini di Krishna sulle pareti. Ci sediamo.
Alan Bedin è un calmo fiume in piena. La passione e la gioia lo rappresentano. Non è il freak che ha trovato la religione indiana come stile di vita anticonformista o per nostalgia hippy o per emulare George Harrison. La ricerca di Alan è stata spontanea, ed è partita dalla musica, anzi, dalla voce. E da una sorta di classicismo legato alla storia dei gruppi della grande stagione del pop italiano. “Ristampare prog adesso è fare diffusione culturale, è riprendere due grandi scuole della musica italiana, è diffondere la storia dell’arte. Vi era un tempo in cui l’avanguardia in musica univa le culture più alte in maniera sinergica. Pensiamo solo alle Stelle di Mario Schifano. Successivamente nacquero due grandi scuole: il conservatorismo e la scena contemporanea avanguardistica o acusmatica, ed in questo, la voce italiana non anglofona ha portato uno strano effetto”.
Prosegue Alan:” l’Italia è tra i paesi in cui l’importanza della contaminazione delle arti ha avuto maggiore cittadinanza. E in particolar modo il mondo rappresentato dalle arti orientali. Nella musica orientale (musica modale orientale) non c’è più l’armonia, quel che vince è la melodia perché se una nota è continua e non ci sono più accordi, la voce diventa totale. La cultura sta cambiando. La musica più antica sta diventando moderna. Un retaggio che viene da Scelsi, Berio, dalla musica circolare, e che si collega alla musica indiana ciclica e rotativa. Il concetto chiave è quello di bordone, in cui si creano degli intervalli (raga) da noi dette “identità musicali”. Non c’è ego. Non conta affatto sapere quante note fare, quel che conta è sapere quali fare”.
“Sono partito dal futurismo, dal rumore, da Marinetti e Pratella; Daniele Lombardi mi ha ufficializzato come futurista. Andavo a studiare la declamazione futurista. Ho capito che quello che mi interessava era arrivare al suono, all’essenza, al totale. Oggi qui da me vengono persone da tutta Italia per vivere una full immersion di musica italiana a capire l’arrangiamento delle diverse strutture. Ma lo trovi anche nel rock. Gente come PJ Harvey o Bjork o i Radiohead, tutti hanno studiato musica indiana. Per non parlare di Terry Riley o di Philip Glass”.
“Siamo imprigionati dalla triade dei soliti accordi, mentre senza alcun accordo e con una sola nota riusciamo ad essere liquidi, fuori dal sistema temperato e cromatico, e in questa liquidità io insegno. La laringe si rilassa, vi è un aspetto fisiologico fondamentale che porta la persona come “dentro” al suono per diventare alla fine più sensibile. Il cantante è lo strumentista più importante perché, se ci pensi, tutti gli strumenti cercano la voce. Ma chi strumentalizza la persona umana? Lo yoga, il nada, lo studio del suono. Immergersi in tutto questo è trovare l’essenza”.
Fin dai tempi dei Sinergia, Bedin era interessato al bordone e alla voce come elemento principe. La dedizione verso Demetrio Stratos si sposava già con la passione per strumenti come la ghironda. Il suo percorso, se letto in successione, è lineare e coerente. Dal prog a Stratos, dal canto armonico ai raga, quindi all’India ed il suo mondo, e la sua religione. Dal punto di vista spirituale, Alan ha sposato la cultura hare krishna come forma della spiritualità indù. “Percepisco ogni divinità come forma musicale. Esiste una corrispondenza nella trimurti indiana (Brahma, Vishnu e Shiva) come le tre fasi in cui si crea, si conserva e si distrugge: questa dimensione mi fa scoprire sempre cose nuove”.
“Quel che dico sempre ai ragazzi a cui insegno è: non suonare per te ma suona per il suono, la musica esiste e usa il tuo corpo per rivelarsi. Sento molto la tradizione della scuola orale, dell’insegnamento da maestro ad allievo. Ho 40 studenti in tutta italia. Tutti arrivano qui a Valmarana e la amano, ne conoscono la gente e le anime. Uso il sistema della musica indiana insieme a quello occidentale. Ho un mio metodo, che spiego in un libro che uscirà a breve.”.
Non solo India nella vita artistica di Alan Bedin. È consulente artistico della Artis records. Ha curato la guida definitiva all’ascolto per un vinile inedito di Demetrio Stratos pubblicato da De Agostini. Ha un progetto che comprende le ristampe di alcuni titoli del catalogo Cramps. In Giappone ha pubblicato gli Opus Avantra nel cui ultimo disco, tra l’altro, compare anche lui insieme a Tony Esposito. Sta lavorando ad un suo disco in italiano, cantato, in cui unire il pop all’India. Ha una pubblicazione all’orizzonte a nome “Viira” (sanscrito per “coraggio”) di musica totale con musicisti indiani e italiani. “Sono un figlio del suono. Non c’è suono che il cervello non sappia riprodurre se almeno una volta l’ha sentito. Il suono cura il corpo. E lo so bene, visto che insegno suonare la voce partendo dalla respirazione funzionale fino al canto moderno contemporaneo, nāda yoga. Usare la propria voce e non voler somigliare a qualcun altro. Non si canta ‘come’, ma ‘perché. Non serve il pezzo di carta, serve l’anima. Serve usare la propria voce e non voler somigliare a qualcun altro. E non serve il pezzo di carta, serve l’anima. Alla fine la mia vita è il mio lavoro”.