Si definisce un “architetto giocoso”, ed è infatti mosso da una curiosità esistenziale vivace e incessante. Se non fosse anche un compagno di avventure di questo giornale, potrei parlarne pure meglio, ma non volendo passare per compiacente, mi limito ai fatti. Il Paolo architetto ha progettato case, piste ciclabili, piazze e una serie di lavori “originali” che nel suo sito sono spiegati molto bene e in cui vi è tutto il suo mondo. Un approccio serio ma mai serioso, che sposa l’utile al dilettevole sempre, puntando su un “di più” che va verso il rapporto con l’ambiente, con se stessi in quanto esseri finiti e con la consapevolezza della fragile armonia che ci tiene in piedi. “Il penultimo viaggio” è la sua seconda fatica letteraria, dopo “Incursioni di enigmistica botanica” di cui avevamo parlato qui. Questa volta il tema di fondo è il tema dei temi: la morte. Ma non c’è angoscia e nemmeno dolore, la morte per Paolo M. Stella è una compagna discreta e una pacata e intima accettazione. Il libro è un viaggio, appunto, verso la conoscenza della grande mietitrice. Non ci giocherà a scacchi come il crociato di Bergman, ma anzi la troverà felice di incontrarlo, dopo un percorso che lo vede accompagnato da una ragazza e una donna anziana. Da qui partiamo.
Il protagonista del tuo romanzo si muove insieme ad una “danzatrice” giovane e ad una donna anziana che si chiama Elsa Romano. Perché sono due donne? Forse che la morte è femmina?
Io penso istintivamente che prima dei 30 anni e dopo gli 80, le persone si impegnino di più, nel senso che in mezzo siamo troppo occupati a fare soldi e famiglia e siamo distratti da questo mentre prima e dopo abbiamo l’esigenza di ragionare. Perché le donne? Perché sono più portate al dialogo, alla cura, all’interesse verso l’altro.
Nel tuo libro precedente c’era la natura che diventava un linguaggio da comprendere e ora abbiamo la vita stessa che diffonde messaggi sulla sua fine. Pare che tu voglia sempre vedere oltre, andare verso qualcosa che la realtà da sola non dice.
Non ci avevo pensato ma è vero, nel senso che essendo architetto, ragiono da progettista e guardo oltre a quello che non c’è ancora. Uno dei progetti più lunghi della mia vita è stata proprio la mia vita. La mia vita è pensata, rifletto sempre su cosa fare, molte volte il progetto non è andato a buon fine ma ho sempre avuto una visione lunga. Una delle prospettive che ho è quella della morte che mi ha sempre interessato da quando avevo vent’anni.
La morte è entrata nel nostro quotidiano con la pandemia, tu dici che “non sottrarsi al confronto con la Morte sia una buona strategia di vita.” Pensi ce ne fossimo allontanati? Che rapporto trovi la gente abbia in generale con l’argomento?
La gente tende a rimuovere anzi, se ne nasconde. Nel dibattito sociale la morte è completamente assente mentre invece è presente la giovinezza eterna. La morte spaventa e non si affronta, cosa che secondo me è un errore clamoroso. Non solo perché saremo impreparati quando arriverà la nostra (ed essere impreparati è stupido) ma anche per quella delle persone che ci stanno vicine. Il motivo per cui ho scritto questo libro è che spero la gente ci pensi di più. Non esiste contrapposizione tra morte e vita, la morte è solo il termine, ma fa parte della vita.
“Meditare sulla morte è meditare sulla libertà” dice Montaigne, il tuo di certo non è un libro esistenzialista ma ha un approccio quasi vitalistico verso la morte, se questo non sembrasse un forzato gioco di parole.
Assolutamente si. Vivere la morte si può e non è un ossimoro. Capire il significato profondo dell’essere in transito e del godere di quel che si vive proprio perché tutto ha una fine. Affrontare la morte senza paura non vuol dire sfidarla ma proprio l’opposto: vuol dire capirla.
Come te la immagini?
Come una cesure totale, finiamo di vivere e ci trasformiamo in cenere che messa sotto un albero diventa natura, ci trasformiamo. E rimarremo nel ricordo di quelli che ci hanno voluto bene e delle cose che abbiamo fatto, se abbiamo fatto qualcosa.
Il libro è dedicato ad Andrea Pelosi
Era uno dei miei migliori amici. L’ho conosciuto durante la sua attività politica mentre anch’io ero impegnato, sebbene ad un livello inferiore al suo. Ci siamo incontrati e trovati molto affini. Io, che ho frequentato altri politici vicentini, non ho conosciuto nessuno che avesse la sua capacità politica ed analitica. Sapeva suggerire cosa fare in maniera speciale. Oltre ad essere una persona squisita. Era molto umile, era in diversi cenacoli di poeti ma pubblicava solo insieme ad altri perché era troppo schivo. Mi manca.
“Il penultimo viaggio” è edito da Edizioni Dal Faro.