DIAVOLI E STRISCE BIANCHE: LA LEGGENDA DELLA BISCA DI VICENZA

Rufus Sgolmin, come ogni giorno, prende l’auto e si getta in quel percorso infernale che dalla rotatoria di viale Milano arriva sotto Monte Berico, passando per la stazione di Vicenza. A Rufus non dà fastidio il traffico, quello che non sopporta sono le strisce pedonali. Sopra a quei rettangoli bianchi si riversa di tutto e Rufus pensa che i pedoni siano il male, oltre che un danno per l’economia in quanto non usano le macchine, non vanno dal carrozziere e nemmeno dalle prostitute. Ma, soprattutto, non rispettano più le auto. Investiti dal diritto di poter attraversare sulle strisce, i pedoni vengono accecati dalla superbia di poter fare quello che vogliono. Non danno il giusto rispetto alla materia, si lanciano su quelle strisce bianche e capita che vengono investiti dalle auto. In questo caso la vita del pedone inizia con un’investitura, quella del superpotere dato dalle strisce, e si conclude con un’altra investitura, quella che finisce con la morte o con le ossa rotte, se va bene. È una parabola della vita, riflette Rufus: “tutti sono investiti dal diritto di viverla, la vita, seguono i percorsi giusti e poi si stupiscono sempre quando tocca a loro morire”.

A Rufus, mentre deve fermarsi ogni pochi metri con l’auto per lasciar passare i pedoni, la parabola ricorda la leggenda del diavolo e della bisca clandestina. Quella bisca vicentina, nel piano sotterraneo di un locale che si trovava vicino ai due fiumi. La leggenda narra che una sera, appoggiato al bancone, c’era un  tipo sui 50 anni, pelato e grassoccio, con il solito vestito da grandi magazzini, la cravatta slacciata e in mano un gin tonic. Poco lontano, nella penombra del locale, altri due tipi stavano giocando alle slot machine. Si dice che a un certo punto la barista abbia portato da bere ai due, due birre. Loro le avevano toccato il culo, mettendosi a ridere. Il tipo al banco era uno che vendeva annunci pubblicitari per un giornale on-line, portando a casa poco o niente ma vivendo con una vecchia eredità che ormai stava per finire. Era uno che nella sua vita mai aveva diviso lo stesso tetto con una donna, abitando invece in un tugurio mediamente caotico. Era uno che pensava di essere il diavolo. Non un povero diavolo, ma proprio satana in persona.

Lo pensavano anche gli altri due tipi, per vari motivi. Uno, convinto di poter vivere senza lavorare, in realtà era un delinquente di mezza tacca, specializzato  in piccole ricettazioni e ignorato dalla polizia  in cambio di alcune soffiate di poco conto. Era un tipo a cui era sempre andata bene, a parte quando in città arrivava un questore fissato con la piccola ricettazione, ma anche in quel caso al massimo si prendeva una denuncia che la maggior parte delle volte finiva archiviata.

L’altro si sentiva il diavolo perché beveva e fumava reggendo benissimo sigarette e drink. Era un tipo che viveva con un assegno mensile che la sua anziana madre gli allungava. Un nullafacente specializzato in tabacco e alcol, qualche volta in susta se aveva un po’ di schei, ma soprattutto un campione di aperitivi e di resilienza al bar. Un omuncolo che qualche volta si portava a letto una donna, preferendo le bruttine e quelle dalla personalità fragile, magari uscite da una forte depressione, per non fare troppa fatica.

La leggenda narra che a un certo punto i tre diavoli abbiano deciso di sfidarsi a poker, guardandosi ferocemente negli occhi e scendendo sotto,  dove c’era la bisca. Una sfida tra diavoli. A Texas hold ‘em. Si dice che dopo molte ore dall’inizio della partita, nessuno riuscisse a vincere, anzi, misteriosamente, tutti e tre i giocatori continuavano a perdere. E a quel punto sarebbero impazziti perché non riuscivano ad accettare di perdere.  Come avrebbero potuto farlo? Ognuno di loro pensava di essere il diavolo. E allora avrebbero iniziato a uccidersi con quello che trovavano, strangolandosi, accoltellandosi con pezzi di bottiglie rotte, spaccandosi la testa con calci, le ossa con pugni. Alla fine la barista li avrebbe trovati tutti e tre stecchiti, sul pavimento della bisca, e si sarebbe intascata la posta. E poi avrebbe chiamato i suoi nani diabolici, saliti direttamente dalle profondità dell’inferno, per ripulire il tutto. “Ecco i pedoni dovrebbero rispettare le auto mentre attraversano sulle strisce”, pensa Rufus mentre l’afa lo avvolge e sente le ossa di qualcuno spezzarsi sotto le ruote. Quel crack crack secco che ricorda l’inizio di certi temporali estivi.

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