Metto su l’ultimo disco di David Byrne, l’uomo che parlò del futuro con un pugno di canzoni schizofreniche e un album, forse l’unico nella storia del rock, che evocava i fantasmi. L’inverno è arrivato sorprendentemente tardi nella pianura, ma non cambia molto. La tranquillità qui rimane più o meno la stessa. Si parla di affari, qualcosa di filosofia da strada – è giusto citarla – del prezzo dei locali, qualcosa di sesso, molte volte di desiderio e raramente di amore. Alle sette precise le campane suonano ancora in ogni quartiere della città dei Santi. Non ne ho mai contati tanti, di Santi, in nessun altro posto. Il sole li illumina ogni giorno tutti da sopra le colline, anche quando inizia l’inverno a nord-est. Mentre guido per Vicenza penso che non vorrei fare la fine di mio nonno. La mia famiglia ha una tradizione di almeno 500 anni da becchini e almeno un secolo da imprenditori nelle pompe funebri. Mio nonno ha creato un impero, ma verso gli 80 anni lui non vedeva più gente, vedeva solo potenziali clienti. Si sentiva una specie di Caronte. La solidità economica che aveva raggiunto, tutta quella ricchezza che aveva lasciato a figli e nipoti non era niente nei confronti del suo delirio. Quando morì lo seppellimmo senza bara, sotto alla serra aziendale, come aveva voluto. Io non ho seguito la sua strada. Ho venticinque anni e faccio marketing sociale. Posso farlo anche grazie a mio nonno. Inizialmente provavo un senso di vergogna nei confronti dei miei coetanei perché ero il nipote dell’ultimo becchino. Ma poi ho pensato che alla fine siamo tutti figli di becchini e saremo tutti loro clienti, in queste città sprofondate nella pianura.
(nella foto: Tomba famiglia Appiani, cimitero di Stagliano a Genova)