Vivere a Villaga

Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. – Lev Tolstoy, “Felicità Famigliare”, 1859

Via Fornace, caldo, umido, polvere. Prima di attraversare la strada mia nonna mi urla di guardare a destra e a sinistra. Non c’è traffico a dire il vero. Passa si e no qualche trattore di tanto in tanto. Però ci sono i “camion di Piovan”, la fornace, appunto, che dà il nome alla via e che sovrasta la contrada. La “fornasa” è il simbolo dell’industria, in mezzo a campi di vigne e sorgo, a stalle, ad allevamenti, a fossi dove si pesca ancora, ai tori di Otello. Anche per questo, Piovan lo guardiamo come fosse una realtà aliena. Una sera io, mio cugino Massimo e Sergio Ghiotto, entriamo di nascosto nello stabilimento, solo per il gusto di far finta di essere ladri, di giocare agli intrusi, per rubare un bottino fatto di risate e portare a casa una bravata da poterci raccontare nei pomeriggi caldi quando giochiamo a calcio in mezzo al vignale. Il guardiano di notte ci becca quasi subito, noi scappiamo, uno dentro al fosso da una parte e due dall’altra. Quando viene a prendermi mia nonna siamo ancora euforici per l’avventura che rimarrà un segreto per sempre, beh, proprio per sempre no, diciamo fino ad adesso. Che altro poteva fare un ragazzino a Villaga alla fine degli anni settanta? Era campagna, quella vera, e la vita di campagna era ancora sana, genuina, semplice anche nella fatica. E quindi la natura aveva la meglio su tutto. La natura e il suo corso. Parlarne oggi pare banale, perché è ovvio che la campagna sia quella roba lì, però si sta perdendo, e con lei scolorano tradizioni, piccoli rituali, anche profondi valori. E questo articolo allora vuole umilmente e goffamente provare a spiegare quanto bello sia stato per chi scrive crescere a Villaga, un paese di campagna come tanti forse, ma speciale e prezioso, e quanto bello sia ancora quel mondo che racchiude Villaga, Toara, Pozzolo, Quargente e Belvedere.

Il veneto letterario raccontato da Meneghello e da Comisso, è tutto basato sulla dimensione umana della campagna, che non è solo un luogo in cui si coltiva la terra, si allevano animali e si vendemmia, è più un posto della mente, una dimensione quasi spirituale. In campagna i ritmi sono diversi, le abitudini seguono altre dinamiche, il rapporto con il tempo (sia quello che scorre che quello inteso come meteo) è altro rispetto a quello che si ha nei centri urbani. Crescere in campagna e viverci, ti segna, ti regala il dono di una consapevolezza profonda. Si dice che Dio lo si trovi con più facilità in mezzo ai silenzi delle vette più alte nei monti. Per quanto mi riguarda, il cattolicesimo contadino è invece il più umile, il più semplice e il più cristiano perché quello più popolare, più legato al calendario, alle tradizioni, finanche al cibo da mettere in tavola. La campagna non è più quella dell'”Albero degli Zoccoli” e non lo è più da tanti anni e per fortuna. Quelle privazioni, quella povertà, sono affascinanti in un film ma disumane nella realtà. Non è certo di quella campagna che si ha nostalgia. Il pensiero piuttosto va ai rapporti genuini come il vino che riempie il bicchiere ad ogni incontro, al senso di comunità, al rapporto con un paesaggio che ancora rimane dolce e non corrotto, o per lo meno non del tutto.

Come dice bene Eugenio Gonzato, sindaco da sempre, Villaga è “una piccola perla racchiusa in una lussureggiante conca verde, protetta da un abbraccio di colline, dove la natura, unita alla cura dell’uomo, rende l’immagine di un paesaggio incantevole”. Di questa “piccola perla” abbiamo notizie sin dai tempi dei templari, che in terra villaghese si instaurarono lasciando tracce importanti. A pochi metri dal centro del Paese si erge infatti un edificio miracolosamente scampato al logorio degli anni, denominato Villa Rasia-Dani, sec.XV-XVI, attualmente di proprietà della famiglia Lunardi. Faceva parte della “Commenda” di Villaga, Commenda dell’ordine dei Templari, dedicata a S.Silvestro e a S.Giovanni Decollato, poi Gerosolimitani e poi Cavalieri dell’ordine di Malta. Il luogo è stato frequentato ininterrottamente per secoli. Queste antiche mura hanno visto il succedersi di cavalieri e pellegrini che provenivano dalla Terra Santa e che lo usufruivano come punto di ristoro e ricovero ospedaliero, oggi risulta adibito a rimessa e legnaia.

Villa della Commenda

Le bellezze di Villaga sono molte. L’eremo di San Donato, sulla cima del Monte Tondo, da cui si può ammirare tutta la pianura sottostante che dalle pendici dei Berici corre fino ai Colli Euganei, tappezzata di vigneti e campi coltivati ed in giorni particolarmente limpidi si possono intravedere il mare e la laguna di Venezia. In uno dei covoli della parete rocciosa si trovava, un tempo, il complesso monastico di San Donato del Covolo, un piccolo monastero edificato intorno al 1240, del quale rimangono oggi solo tracce delle sue fondamenta. Da qualche anno, le grotte di San Donato hanno acquisito anche un grande valore culturale per lo svolgimento al loro interno della tradizionale rappresentazione del “Presepio vivente” nel mese di dicembre.

San Donato

Stupenda è la frazione di Calto, un borgo in cui fino al 1960 erano presenti un mulino, un forno, un’osteria, una rivendita di generi alimentari, una bottega di falegname e addirittura una scuola elementare (un’unica pluriclasse composta da una quindicina di alunni che andavano dalla prima alla quinta). Oggi Calto è un luogo di pura bellezza, una valle immersa in un silenzio rotto solo dal canto dell’acqua che scorre ininterrotta nei ruscelli.

valle di Calto
vecchio mulino a Calto

Poi Toara, sotto il monte, con la sua piazzetta e Villa Piovene Porto Godi a dominare e a fare da richiamo per chiunque ami bere come Dio comanda. E Pozzolo, che per noi di Villaga era come andare in montagna, e che di fatto è un piccolo altipiano fatto di ampi prati, terreno coltivati, uliveti e brevi tratti di bosco. Sono molti i percorsi seguiti dagli escursionisti in queste zone. Sia di livello impegnativo che da passeggiatori della domenica, finendo poi comodamente a tavola in uno dei tanti posti che propongono la cucina classica del territorio come dalla Sabrina, in piazza a Villaga, o alla Trattoria Berica, alla Valle Verde, alla Gemma dei Berici (storicamente conosciuta come “alle cave”) o dal più moderno Barbagianni.

Pozzolo
Villa Piovene Porto Godi a Toara

A Belvedere poi si trova il “Castello”, nome con cui tutti chiamano Villa Barbaran, in ricordo dell’antico maniero che sorgeva su quest’area e ne ha fornito le fondamenta. Il suo giardino è prezioso e vi si accede tramite un lungo viale alberato che taglia il brolo conducendo alla villa. L’area verde asseconda i declivi della collina fino a stendersi nella pianura sottostante, ancora ben delimitata dalle antiche mura in pietra.

il “Castello” di Belvedere

E poi le fontane e i pozzi e i prodotti della terra tra cui i “rampuzoli”, i “bisi” e le patate di vera eccellenza. Oggi Villaga conta poco più di 1950 abitanti. Le aziende agricole con bestiame sono rimaste appena 3. Fino agli anni novanta c’erano quattro preti per quattro parrocchie e quattro associazioni combattenti. Adesso c’è una sola parrocchia unita sotto l’unità pastorale di Barbarano. Per un paesaggio e per delle bellezze che rimangono intatte nei secoli, c’è quindi una società che è molto cambiata. La ricchezza ha in parte rovinato l’antico spirito. La Villaga in cui la parrocchia era un centro in cui tutti si riconoscevano non è più realmente così. Dall’alto la guarda costantemente Silvio Mazzaron, sindaco anch’egli per moltissimi anni e rappresentante sublime di quei valori. Un uomo di cui han gettato lo stampo. Aveva sempre capito i suoi compaesani. “Villaga – diceva – è come una famiglia con 4 sorelle. Una volta che te compri la traversa a una, te toca comprarla anca alle altre”. Era mio zio, e questa terra per me rimarrà per sempre la sua e le cose che mi ha insegnato, anche senza dirmele, sono fondanti dell’amore che nutro per Villaga.

Anche la scuola è sempre stata un’istituzione permeata da un grande rapporto umano, da tradizioni popolari e umilmente vicine alla crescita di tutta la comunità. Fin dai tempi della storica maestra Matilde Dani, per arrivare a Linda De Marchi, che è anche autrice di poesie che descrivono in versi la dimensione paesana e pura. Come in queste due, dedicate alle vecchiette di un tempo e al cibo più diffuso e più caloroso: la polenta.

Eugenio Gonzato oggi è il riferimento per tutti in paese. Non un semplice sindaco, ma una presenza di grande umanità dentro al quotidiano di tutti i paesani. Lui si che porta avanti il vecchio spirito anche se è nato a Mossano e ci ride sopra. “A Villaga abbiamo un coro molto importante e di altissimo livello e pensa che il direttore Giovanni Minuzzo, è anche lui di Mossano”. Quando arriva sera, tra questi campi e queste contrade, si beve un goto di tocai rosso, ci si riposa, si ringrazia il cielo per un altro giorno passato e si guarda l’orizzonte che un tempo portava molte più nebbie e ora si è addolcito, come modernità impone. Mio Zio Silvio, seduto fuori casa sua, in Fornasa, una sera mi disse “sti pori vecioti che sta su una carega a vardar le macchine che passa, in realtà i conta quelle che non passa”. La vita qui è dolce.

Aprile 2024

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