Città a trenta all’ora, non un limite ma un’opportunità

Agli italiani non toccate la squadra di calcio e la macchina; la macchina, si, non l’automobile, la vettura o l’autoveicolo, la macchina, parola che racchiude in sè tutti quei significati che vanno oltre quello di semplice mezzo di trasporto: amore, sogno, alcova, libertà, misura di censo, dimostrazione di potere, estensione corporea financo a estrinsecazione della propria virilità o di femminile fascino. Prova ne è la fiammata di quasi unanimi consensi ricevuti da un tizio, o più tizi, che recentemente si è preso il buontempo di segare i pali di sostegno dei rilevatori elettronici di velocità lungo le strade. Poco importa se, numeri alla mano, il lavoro di fleximan è a difesa di un’esigua minoranza di patentati multati, calcolabili con prudenza al 2%, con buona probabilità a meno dell’1% dei totali: l’uomo è assurto alla gloria di difensore di popolo, quello che idealmente unanime pretende il diritto di avere il piede distratto sull’acceleratore. Per un bastian contrario come me il flame sui social è stato ghiotta occasione, ma pur di fronte all’evidenza di proporzioni e percentuali, non c’è stato verso.

Al pari, e probabilmente sull’onda del primo, è diventata un trend topic  l’implementazione del limite dei trenta chilometri orari nella città di Bologna. Torme di esperti si son ritrovate a ragionare di maggiore inquinamento, di code fino alla paralisi della città, di telefonini alla guida, di ciclisti contromano e di pedoni che saltan fuori come cucù dall’orologio, pur di non accettare un limite che già in molte situazioni non servirebbe, perché basta il traffico a tenere la velocità al di sotto, e che comunque è già presente da tempo senza problema alcuno in molte città del mondo occidentale evoluto, dove la qualità della fruizione urbana è decisamente migliorata. La viabilità non è una mia specializzazione, tuttavia un po’ di matematica e di fisica al liceo le ho studiate, e anche se son passati trentacinque anni, gli esami di urbanistica, di fisica tecnica e di economia dei trasporti, pur nell’anonimato dei dintorni di un ventiquattro, li ho passati, e con tali strumenti ho provato a discutere: niente da fare. La convinzione che la città trenta sia una vera iattura per gli automobilisti, limitandone la libertà e riducendo l’efficienza dei loro mezzi, è dura da scalfire. A sostegno di tale ragione si è arrivati perfino a girarla in politica, sostenendo che il limite a Bologna è l’invenzione di un sindaco comunista, così come comunista è il sindaco di Milano che nella sua città sta facendo altrettanto, senza sapere che l’operazione è stata appositamente normata e finanziata dal ministero dei trasporti, il cui titolare non è certo uno di sinistra, e già implementata a Treviso, a Olbia e a Genova, i cui sindaci tutto sono fuori che pericolosi bolscevichi. Quando poi è cominciato ad uscire qualche no vax a parlare di limitazione delle libertà personali da parte dei poteri forti, basta, me ne sono cavato fuori.

Siccome quello della mobilità urbana è un tema che mi sta a cuore e che mi coinvolge direttamente, molto come pedone e un pochettino anche come automobilista, ho voluto toccare con mano, ché una buona dose di San Tommaso spesso mette fine a tante discussioni. Mi sono quindi disegnato la mia città trenta, con il limite dei cinquanta solo sugli anelli delle circonvallazioni e sulle radiali principali in uscita dalla città, e tutto il resto, ma proprio tutto, con il limite dei trenta all’ora. Nella particolare fattispecie di Vicenza ho lasciato a cinquanta viale Rodolfi, viale Fratelli Bandiera, viale D’Alviano, viale Fusinato, viale Venezia, via del Risorgimento, via Bassano, viale Trissino, via Quadri, via Ragazzi del 99, viale Cricoli, viale Dal Verme, viale del Sole, viale San Lazzaro, viale Trieste e viale Trento; volutamente non ho incluso nei cinquanta strade come via Milano, corso San Felice o viale della Pace, perché nonostante rientrino nella categoria circonvallazione o radiale, sono a sezione ridotta, coi marciapiedi stretti e densamente popolate; tutto il resto trenta di default. E allora via, proviamo a rispettarcelo da noi, il limite.

Al primo giro la faccenda è un po’ nervosa: l’occhio al tachimetro, il senso di colpa che ti pervade se la lancetta supera la tacca e arriva a trentadue, la poca confidenza con le marce basse a regime, che non capisci se è meglio la seconda ruggente o la terza a borbottare. Vero è anche che dovendo fare attenzione finisce che acceleri molto più dolcemente e altrettanto il freno lo tocchi con delicatezza. Al secondo giro inizi a prenderci la mano, o il piede; seconda se il tratto è breve, terza se c’è un allungo un po’ più comodo, quarta se la circonvalla è sgombra; da dolci le accelerate diventano armoniose; il freno quasi non lo tocchi più, visto che il rosso o la coda alla rotonda li vedi per tempo. Al terzo giro hai fatto l’occhio al ritmo lento dei lampioni, degli alberi lungo i viali, dei portici e della linea tratteggiata in mezzeria, e puoi alzare un po’ il volume della musica. Al quarto giro sei decisamente confident, al quinto la faccenda è diventata un automatismo e, WOW, ti si apre un mondo! Il risvoltino sul monopattino in contromano è un avvistamento lontano a cui prendi comodamente le misure; lo scuro che ti attraversa la strada lo hai già visto camminare per venti metri sul marciapiede; che il bus davanti stia per fermarsi lo capisci dal “fermata richiesta” rosso lampeggiante che puoi vedere all’interno; riesci a decidere con precisione se stoppare o forzare l’ingresso in una rotonda e il più delle volte ci entri fluido avendo avuto il tempo di calcolare bene le traiettorie, alla faccia delle code. La spiega è abbastanza semplice: cinquanta all’ora sono quattordici metri al secondo, trenta all’ora sono otto metri al secondo. Per reagire ad un passaggio pedonale avvistato a trenta metri, a cinquanta all’ora hai a disposizione due secondi e qualcosina, a trenta ne hai a disposizione quasi quattro; in quei due secondi scarsi in più sta tutta la differenza tra sorpresa e controllo, tra la sensazione di essere un uccello che zampetta nervosamente guardingo o un gattone che cammina felpato nella notte con tutto perfettamente sott’occhio.

Tempi di percorrenza? Comodamente entro le previsioni di google maps. L’aggressivo che ti sorpassa ai settanta in viale Mazzini te lo ritrovi a fianco alla rotonda del Teatro, gli sei a culo a quella di corso San Felice e in fondo a via Milano rallenti quando lui inchioda per svoltare in stazione. Gli studi parlano di 2%, massimo 5% in più, sono trenta secondi ogni dieci minuti, un minuto e mezzo su mezz’ora, briciole. Non vado oltre, che mi sono ripromesso di non maneggiare più numeri e teorie, mi limito a dire “ragazzi, che figata!”, avete presente i macchinoni della polizia che percorrono sornioni le periferie dei film americani? Ecco, relax, lean back on your seat and enjoy a smooth ride; “smooth” è la parola, quasi intraducibile in questo contesto, perché “liscio” non è abbastanza, anche se rende l’idea. Davvero, cinque o sei giri e si entra nel mood, io che guido poco ci ho messo dieci giorni, a chi usa l’auto quotidianamente ne bastano tre. Lasciate per un attimo da parte discorsi e convinzioni, anche le più scettiche, abitudini e preconcetti, e provateci: non tornerete più indietro.

Dicembre 2024

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