Arriva in sala una ragazza, avrà più o meno 20 anni, cerca i suoi amici e quando li trova non trattiene la sua gioia. “Gli ho parlato! – dice, rossa in faccia – e mi sono fatta una foto con lui”. Sono le 18.30 di un lunedì di metà dicembre, alle Opere Sociali in Piazza del Duomo a Vicenza. L’ospite è puntuale, spacca il minuto, cosa rara in occasioni come queste. Non è un influencer, nemmeno un cantante pop, ma l’atmosfera che si respira è quella degli incontri con gli idoli degli adolescenti. Certo, ci sono molti leghisti in prima fila, come da tradizione nel gioco del potere, ma paiono quasi fuori luogo, nel loro ossequioso servizio. Qui, l’amore per l’uomo al comando, è popolare, folkloristico, genuino come un calice di vino di campagna. L’apparato partitico non c’entra proprio nulla. I molti giovani presenti ridono alle battute del Presidente. Quando ripete per la terza volta in due minuti “vi sblocco un ricordo”, si danno di gomito come neanche sui banchi di scuola. La forza di Zaia è tutta qui. Non sta nella politica (che esce ridicolizzata e immiserita al suo cospetto) ma nel rapporto alla pari con chiunque. L’uomo è talmente empatico che negli anni è riuscito a creare per le masse quel fenomeno chiamato “stravedamento”, termine che alcuni ritengono essere di origine chioggiotta, che si riferisce a una situazione metereologica di ampia nitidezza all’orizzonte. Quando i venti soffiano forti e liberano la pianura da smog, foschia, nebbia e polveri varie, la visibilità passa velocemente da pochi chilometri a svariate decine, alle volte anche centinaia. Il monte Civetta, che in molti stravedamenti è proprio sopra il Palazzo Ducale, dista ben oltre i 100 chilometri da Venezia.
Il “doge” Zaia è come la vista su Venezia. Guardandolo, si vede nitidamente ben altro e ben oltre. L’olimpiade cortinese è diventata poca cosa rispetto a quanto si sperasse? Pazienza, non è colpa sua, non offusca il carisma del governatore. La pedemontana è un vero e proprio buco nero voluto proprio da lui? Non se ne parla, nessuna critica. La sanità veneta è in crisi grave in fatto di strutture, personale, strumenti? Sono cose che si dicono ma prova tu ad andare in un ospedale a Catanzaro e poi vediamo se ti lamenti ancora della sanità nostrana. Non c’è una sola nuvola ad offuscare la vista sul fenomeno Luca Zaia. Tutto è limpido, profondo, illimitato. Ma Zaia non è solo comunicazione. Zaia è la più grande impersonificazione dell’ideale veneto dell’uomo lavoratore, sveglio, con la battuta pronta, che vive in dialetto ed è del popolo e nel popolo. Un “pojana” al comando, che a differenza del personaggio di Andrea Pennacchi però non è minimamente arrabbiato, ma vive nel suo eden personale che si chiama Veneto. Siamo in un’era in cui i fatti contano sempre meno, in cui i contenuti diventano orpelli inutili, in cui la politica è quel che dice e non quel che fa. A chi si lamenta dello zaiastan sarebbe opportuno ricordare che se si vuole battere il presidentissimo, si deve essere più veneti di lui, più da osteria di lui, parlare in dialetto più di lui, apparire indipendenti dai partiti più di lui, essere alla moda più di lui. Poi, solo poi, vengono le idee politiche e le proposte. Così è, prendere o lasciare. Ma il fatto è che uno come lui non lo trovi mica facilmente. Uno che si batte per il fine vita come un leone, per i diritti civili, per le comunità lgbt, persino per gli immigrati. Insomma uno che fa tutto quello che il suo capo partito aborrisce, come niente fosse, e rimane in Lega lo stesso perché tanto lui è Zaia e gli altri no. Immaginarsi una lega a guida Zaia è così divertente che il giochetto si fa fatica a non farlo. Soprattutto quando il buon Luca inizia a raccontare il suo ultimo libro, che poi è il motivo per cui siamo qui a sentirlo.
Si chiama “Fa’ presto, vai piano” e dice che il titolo l’ha scelto lui “perché era la raccomandazione della mamma quando sei piccolo, e io la penso in dialetto e poi la traduco in italiano”. E giù risate. Il campionario zaiano è talmente ricco che nessun Crozza riuscirebbe mai a catalogarlo tutto. Perché non si tratta solo di frasi-tormentoni, ma di tutta una retorica lessicale e comportamentale che gli permette di essere il perfetto esempio di amico di tutti, l’adulto che fa il figo come i bocia, che quando dice che lui e i suoi amici (i protagonisti del libro) erano partiti in direzione Marbella “per far festa”, si cala totalmente nella parte del veneto da sagra, prosecco in una mano e attrezzo da lavoro nell’altra, e vanti sempre. Un cul de sac antropologico da cui francamente non si vede come si possa uscire, almeno nel breve. Pare una di quelle liste che iniziano con “noi che…”, quelle robe super melense che ricordano come noi giocassimo coi soldatini e le figu, ci sbucciassimo le ginocchia, pedalassimo sul Ciao per farlo partire eccetera… Banalità sesquipedali che sono divenute passe-partout sociologici. Il suo libro che parla di fuga (che poi fuga non è), di gioventù, di una due cavalli (poteva esserci macchina meno iconica?) è l’ennesimo tassello nella costruzione del monumento Luca Zaia sull’altare della comunicazione personale.
Ma la cosa più rilevante di tutte è quel che Zaia dice sui temi veri. Si parlava prima di diritti civili, del fine vita, del gender e dei migranti. La sua non è propaganda, lui ci crede davvero. Zaia è un leghista talmente eretico che la propaganda la fa sulle cose di casa ma non sui grandi temi. Infatti non esiste affatto un “modello Zaia” di buon governo veneto. Semplicemente perché il suo non è stato un buon governo, e solo i militanti leghisti o della destra regionale non se ne accorgono. Esiste però, eccome, una visione zaiana dei rapporti e delle istituzioni e qui il governatore è praticamente un radicale pannelliano. Raccontando del viaggio presente nel suo libro, affronta il tema frontiere e Europa e si accalora descrivendo il suo sogno che è quello di vedere prima che sia troppo tardi la nascita degli Stati Uniti d’Europa, con un solo governo, un solo presidente e una struttura federale. Tutto questo mentre quell’altro raduna a Firenze l’ultradestra anti Europa e sovranista. Se ci metti anche che Zaia è decisamente attento al climate change mentre l’altro è di fatto un negazionista, allora il surreale diventa cifra massima. In un mondo normale uno che la pensa come il presidente del Veneto non prenderebbe nemmeno l’ascensore con il segretario della Lega. In un mondo normale sarebbe sorta da tempo in regione un’opposizione in grado di proporre un’alternativa allo zaiastan. In un mondo normale un politico si valuterebbe per quello che fa e non per quello che dice e Luca Zaia sarebbe giustamente criticato ed accusato per le numerose e gravi mancanze del suo governo. In un mondo normale… Intanto, qui, dal Veneto secondo Luca, è tutto.
Foto di copertina di Marco Contessa