Il dibattito sul “caro turismo”, emerso con maggiore efficacia in questa magra estate del 2023, è una grande notizia. Grande sia per gli utenti, i turisti, sia per chi gestisce un’attività turistica. L’Italia e i piccoli comuni sono “comunità turistiche” diffuse, che distribuiscono punti di PIL integrando l’economia familiare e, molto spesso, giustificano l’immenso capitale inespresso dato dal settore immobiliare in luoghi ameni e che, con un normale affitto, non coprirebbe nemmeno le spese vive nella gestione di una casa, il più delle volte vetusta. Quante case di nonne, di “zie non sposate” o dei propri genitori diventano ingombrante capitale nell’asse ereditario degli italiani? Case che magari si trovano in zone meno attraenti del Mezzogiorno, o nelle ruvide e freschissime vallate di “mezza montagna” in Veneto. Oggi quelle case hanno un potenziale e molte famiglie sembrano averlo colto, visti i numeri crescenti che ogni comune riporta, spesso senza la consapevolezza delle amministrazioni. Delle “seconde case” che, distanti o non sufficientemente comode per viverci possono rivelarsi interessantissime località di villeggiatura per i turisti stranieri. Se questo fenomeno nei centri storici più importanti, come Roma e Venezia, sta allarmando per il processo di “gentrificazione” delle città, è invece una felice opportunità nei luoghi meno strutturati. Luoghi dei quali abbiamo smesso di capirne la bellezza, ma che, ad esempio, i cittadini dei Paesi Bassi, con un territorio generalmente piatto e privo di montagne, riconoscono. Turisti che cercano borghi alpini dispersi, contrade semi spopolate non distanti dai laghi o dai fiumi, ma che per noi italiani hanno smesso di apparire come posti da turismo già nella prima metà del Novecento. Così Recoaro, nella speranza che le amministrazioni comprendano che serve una vera e propria operazione da scenografo, ha visto un’impennata nel settore immobiliare. Così i borghi ad un passo dai centri industriali come Posina, rivelano una circolazione turistica inaspettata. Così i magnifici comuni dell’entroterra siciliano o Sardo, con l’operazione “case a un euro” si rivelano attraenti per comunità di stranieri alla ricerca di un’Europa verace e che, anno dopo anno, richiamano altri connazionali.
Chi scrive questo articolo è sia un operatore turistico familiare, da 22 anni, che un turista. Per questo sono lieto di condividere un’analisi personale, che nasce dal dialogo con i viaggiatori stranieri e la volontà personale di ispirare qualche lettore, che vorrà aggiungere una nuova iniziativa alla propria vita ed economia familiare. Inizierò dall’esperienza di operatore turistico: I viaggiatori sono di due tipi: informati o “turisti per caso”, questi ultimi non necessariamente Indiana Jones di beni artistici ma altrettanto curiosi di vivere le atmosfere di un luogo. Nei mesi estivi si muovono in famiglia, con bici e cane al seguito, in primavera e autunno sono coppie mature che vogliono il buon clima e delle visite culturali, bersi l’aperitivo in giardino e rilassarsi. La fascia Pedemontana, le vallate di passaggio nelle Prealpi o sistemi collinari come le Bregonze, sono considerate da molti stranieri, spesso ignari di questi paesaggi, come luoghi dal sapore inaspettato che non li spingono necessariamente a visitare Venezia o il Lago di Garda, nella loro più conosciuta magnificenza.
Indicare all’ospite la possibilità di prendere il sole nelle spiagge sul Brenta, o nei laghi della Valsugana, attraversando borghi e castelli, li affascina e li fa ritornare. Il “nordico” è molto disponibile a guidare fino alle due ore di auto per visitare città o siti che il padrone di casa ha suggerito. Alcuni di essi osservano anche i prezzi e la possibilità di acquistare qualcosa, ma quasi tutti riscontrano costi generalmente alti per gli immobili italiani, considerando che è un paese in recessione demografica e che sconta costi proibitivi per le ristrutturazioni. Altro aspetto piuttosto interessante è che i turisti al di sopra delle Alpi appaiono molto informati sull’andamento dell’Italia anche nei suoi fenomeni di lungo periodo. Per tutti, analizzando anche le temutissime recensioni lasciate dagli ospiti, emergono due priorità: gentilezza e pulizia. La gentilezza andrebbe considerata come uno “standard” di familiarità e cortesia internazionale, fondamentale nel rapporto commerciale con una persona. Per noi europei consiglio di imparare dall’affabilità e modestia dei portoghesi, dalla cordialità dei greci, dalla disponibilità dei maltesi che sono il primo souvenir che generalmente si riporta a casa. Questo aspetto, a mio avviso, non raggiunge livelli sufficienti se si gira per trattorie, ristoranti, carissimi bar nei centri storici. Del resto chi, residente, non si lamenta anche della maleducazioni di alcuni servizi pubblici o negozi? È evidente che quando non si sa che pesci pigliare nel lavoro si apre un bar o un servizio di ristoro, o un negozio per turisti. Lo si fa ma non sempre si è disposti ad offrire tutte quelle necessarie attenzioni che il viaggiatore chiede, a prescindere dal suo livello di educazione. Tra i più gravi danni che si possano creare al sistema turistico è la maleducazione o la sciatteria nello svolgere il proprio lavoro. L’improvvisazione che molto spesso riscontro in chi offre servizi, anche per il pubblico locale (succede tanto nella provincia quanto nel centro di Venezia), è mortifero sotto l’aspetto del benessere che un turista vuole raggiungere. Sbagliato pensare che un servizio offerto da un piccolo operatore privato debba risultare rigido come al Grand Hotel, dove l’ospite registra la carta di credito all’ingresso. Gli ormai virali “due euro” per tagliare il toast nel bar di Como, è una delle tante, troppe forme di arroganza che taluni operatori, generalmente in luoghi di storica opulenza turistica, infliggono ai turisti. Anche chi offre servizi viaggia e accumula un bagaglio di confronti utili al proprio lavoro.
Da viaggiatore vorrei condividere alcune esperienze nel solco lasciato dalle polemiche di questa estate. Per citare la presidente della BCE Christine Lagarde, il sistema turistico, anche italiano, è da tempo approdato ad una “inflazione da avidità”. Tralasciando i vergognosi cartelli delle compagnie aeree, mi limito agli aspetti che riguardano le attività familiari o private, di piccole dimensioni, non quelli delle grandi compagnie o società dell’industria turistica che vivono dinamiche diverse e incontrano utenti disponibili a pagare il sovrapprezzo di un servizio rinforzato. Andrebbe chiarito innanzitutto che l’Italia non ha “troppi turisti”, come è luogo comune ripetere (ricorda la famosa stupidaggine “Roma ha un problema con le metropolitane per colpa degli scavi archeologici”). Nel rapporto residenti/turisti il rapporto è poco più che 1:1. Il fenomeno che riguarda l’Italia è che questi sono concentrati prevalentemente verso i siti tradizionali, di innegabile valore ma, non per questo gli unici meritevoli di turismo. Nonostante la società stia cambiando, continua la pratica delle “ferie” di luglio e agosto, portando le località alla speculazione, con una generale esplosione dei prezzi.
In questo 2023 uno dei temi sembra il caro ferie in Puglia. Per molti anni, da bambino, ho frequentato il Salento con i miei genitori, quando in Veneto quasi nessuno sapeva dove fosse collocato (al tempo nella stessa regione andava per la maggiore il Gargano). Degli anni Ottanta ricordo perfettamente quale fascino e bellezza esprimessero quelle immense campagne pulite e coltivate, dei centri storici semi abbandonati e di un contesto molto modesto ma ricco di sapore, di servizi familiari che costavano poco e che si accettavano per una disorganizzazione ricca di fascino. Oggi la situazione è completamente capovolta: centri storici tirati a lucido dai fondi europei e animati da iniziative culturali non necessariamente di livello, ma capaci di vivacizzare il contesto, case in affitto destinate a sei ospiti dove non ti garantiscono nemmeno il numero di stoviglie sufficienti per poter cucinare adeguatamente e mobili di riuso da vecchie case, spesso inadeguati e poca analisi dell’esigenza di comfort minimo. Quelle che un tempo erano modeste trattorie familiari, molto richieste dai turisti, oggi rimangono tali ma con prezzi da via Manzoni a Milano e servizi generalmente improvvisati, senza che vi sia una parola in inglese per gli stranieri. Non è raro che nella carta dei vini si trovi il bianco del Trentino o il pesce surgelato in riva al mare. Se trasferiamo l’analisi al livello macroscopico, la vera piaga del turismo in alcune aree d’Italia è la sporcizia. Nell’ultima vacanza in Puglia, estate 2020 tra le province di Bari, Taranto e Brindisi, sono rimasto inorridito da decine di chilometri di rifiuti abbandonati lungo le strade, soprattutto quelle secondarie di campagna, dove ettari ed ettari di splendide coltivazioni, cinte dai tipici muretti a secco e gli olivi secolari, erano altresì percorsi da immondizia di qualsiasi genere. Ricordo che ne parlai con alcuni operatori turistici locali, ma sembrarono non essersi mai accorti di essere circondati dalle immondizie. Una situazione a quel livello mi era capitata solo in Campania, nella costa che va da Salerno al Cilento e, ancor peggio, in alcune provincie della Sicilia, incluse le tanto decantate isole, dove i villeggianti sembravano indifferenti a stendere il telo vicino a piramidi di sacchi di immondizie. La spiaggia fuori Taormina, le poche di Marettimo o il blob urbanistico nella strada che da Palermo va all’aeroporto mi rimasero sfortunatamente impresse. Ma anche nel male siamo in buona compagnia: i paesi del Mediterraneo hanno un enorme problema di gestione dell’immondizia, soprattutto plastica, come sa bene chi frequenta la Grecia o Malta ma che sembra non interessare all’Unione Europea (e nemmeno ai suoi cittadini): nelle spiagge attrezzate o in concessione è pulito, mentre nei litorali lasciati selvaggi si può assistere a chilometri di plastica vista tramonto, al limite della distopia. E per chi come me, non ama il chiasso e le spiagge attrezzate, questo è un limite oggettivo. Se invece si frequenta il sud della Francia, la Toscana e la Sardegna, le nostre spiagge di Nord Est, la Liguria, l’Andalusia o la Costa Vicentina, il problema è molto ridotto, al limite dell’accettabile, evidentemente perché i servizi funzionano meglio (non giurerei dipenda dal rispetto dei villeggianti). Per concludere, credo tuttavia che questo 2023 possa essere visto come una grande opportunità: il turismo dovrà sempre più puntare sulla reputazione e sulla consapevolezza degli utenti, a costo di boicottare le zone inutilmente arroganti. Se le società di turismo, richiedessero al viaggiatore di indicare anche il livello di percezione dei servizi pubblici, probabilmente tante teste politiche salterebbero, complici di danneggiare gli operatori privati. Il turista medio ha diritto ad un rapporto qualità prezzo accettabile, di sentirsi a casa dove chi opera per i servizi, inclusa la politica, deve trattare gli avventori con rispetto e desiderio di accoglierli. Solo amministrazioni e operatori consapevoli potranno richiedere, altresì, maggior rispetto delle regole e una convivenza costruttiva, che inviti a tornare, persino ad investire. La sensazione che si respira è che in alcuni territori italiani, toccati recentemente dai flussi turistici, si viva una sorta di euforia che si trasforma in arroganza, in saccheggio dalle tasche di viaggiatori provenienti da paesi più solidi del nostro e che, questo è il punto, il viaggiatore comprende perfettamente e riferisce ai suoi contatti. L’atteggiamento corretto è di credere che la risorsa turismo non sia inesauribile e che il nostro gesto quotidiano diventi sistematico, inclusa l’educazione civica e la gentilezza, che spesso perdona le piccole inefficienze. Già negli anni Novanta L’Instituto de Turismo de España recitava “TUrismo”, come a dire che ogni singolo cittadino è partecipe di un’industria dal grande potenziale di sviluppo per il Paese ed è ambasciatore della ricchezza di
cui anch’egli gode.