La sensazione, crescente di giorno in giorno, è che ci sia una profonda dicotomia nel modo di vedere Vicenza: da un lato la “città bellissima” idealizzata e, dall’altro, la Vicenza reale, ben diversa, che si preferisce minimizzare e lasciare sullo sfondo a favore della prima.
Vicenza è una piccola città di provincia, con un numero di abitanti che si riduce progressivamente e che la sta portando vicina al declassamento. Ha una certezza: la propria forza economica, fondata sull’industria e sulla grande distribuzione, prevalentemente dislocate in provincia. E, infatti, la disoccupazione è molto bassa. Nella finanza, invece, non ha peso, non ha più banche né finanziarie.
Vicenza aveva una fiera dell’oro di rango globale ma, esaurito il boom del settore, ha dovuto cederne la maggioranza azionaria a un polo fieristico di un’altra regione. Aveva una quota importante di un’autostrada ma anche questa è stata venduta. C’era una volta, poi, una storica municipalizzata che gestiva gas ed elettricità ma si è dovuto fonderla con quella, ben più grossa, di un altro Comune, che, infatti, della newco controlla più del 60%.
Vicenza non ha mai avuto una università (ha perso nel Medioevo l’occasione di essere la sede del primo ateneo italiano) e, oggi, cerca affannosamente di crearne un facsimile ottenendo il decentramento di qualche facoltà dalle maggiori Università della Regione.
Vicenza aveva un aeroporto. Piccolo, inadeguato al traffico commerciale e a un capoluogo, soffocato dal sistema aeroportuale regionale. È stato dismesso e smantellato perché si doveva fare un piacere al principale alleato, a cui serviva uno spazio per una seconda base militare. Oggi non ha nemmeno un eliporto.
Vicenza non ha grandi centri culturali propri. L’unica istituzione rappresentativa è l’Accademia Olimpica, che gestisce con il Comune la Stagione degli spettacoli classici dell’Olimpico, unico ciclo teatrale con produzione autoctona (ma solo in parte). C’è stata l’era delle grandi mostre in Basilica Palladiana, ma sono state abbandonate a favore di mostrine, magari anche carine e ben fatte, ma di richiamo stratosfericamente inferiore.
Vicenza ha una squadra di calcio che è rimasta vent’anni in serie A, che è stata vicecampione d’Italia e che ha vinto una Coppa Italia. Tutto nel secolo scorso: dall’inizio del Duemila non vede la A e ha uno stadio costruito nel 1935, che definire obsoleto è un eufemismo.
Vicenza ha avuto politici di livello nazionale ma, da un bel pezzo, si deve accontentare di qualche parlamentare a cui, molto raramente, è concesso un posto nel Governo.
Vicenza non ha un negozio di un brand internazionale e molte vetrine hanno le saracinesche abbassate.
È una delle piazze principali nel Veneto dello spaccio della droga, ha una diffusa microcriminalità (i livelli superiori stanno nelle città più grandi) e infiltrazioni di organizzazioni malavitose non solo nazionali.
Vicenza ha una povertà crescente, tant’è che i centri di accoglienza sociale sono esauriti e prossimi al collasso. Tant’è che sono moltissimi i sussidi richiesti per pagare le bollette di gas ed energia elettrica. Tant’è che il Comune ha dovuto stanziare 100 mila euro per aiutare studenti e lavoratori a far fronte agli aumenti degli abbonamenti del TPL.
Questo cahier de doléance potrebbe allungarsi con altri contenuti altrettanto pregnanti. Fermiamoci qui, per carità di patria. E, dopo l’analisi, passiamo al quesito: come venirne fuori?

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