In memoria di Stefano Dinarello

Ci sono mestieri poco osannati ma che rivestono un ruolo di assoluta importanza, anzi, di reale necessità. Qualsiasi concerto, convegno, spettacolo teatrale, discorso pubblico, e soprattutto registrazione in studio o in presa diretta di musiche o scene filmiche, semplicemente non sarebbe possibile senza un fonico. Il suo lavoro è quello di gestire la parte sonora (dialoghi, musiche, rumori, ecc.) di una produzione audiovisiva. Spesso trafelato, chino sul mixer, attento ad ogni minima variazione di suono, pronto a cambiare l’assetto di microfoni e strumenti anche per un minimo disturbo che magari solo lui sente. Un lavoro di passione, di dedizione, di amore e rispetto per gli artisti con cui collabora. Sia chiaro, mica tutti sono così impeccabili ma queste righe vogliono comunque lodare una professione troppo poco considerata come fondamentale. Purtroppo però, la scusa di questo articolo è tristissima. Pochi giorni fa è mancato quello che a Vicenza era IL fonico per eccellenza: Stefano Dinarello, per tutti “Dina”. Abbiamo pensato che ogni nostra parola sarebbe stata superflua e scontata quindi la scelta, da subito, è stata quella di chiedere a chi lo conosceva davvero bene di esprimere un commento a ricordo di questo grande uomo e professionista che mancherà a tutti.

Riccardo Brazzale (direttore artistico festival jazz): “Stefano Dinarello è stata una di quelle persone (e ce ne sono sempre di meno) che lavorano in silenzio. È uno che ha lavorato sodo e lo sanno bene tutti gli addetti ai lavori. Ciò che mi è piaciuto professionalmente di lui, è che ha continuato a imparare e a ‘restituire’ quello che via via imparava. E poi con lui si aveva subito l’idea di avere di fronte uno sincero e disponibile: caratteristica, anche questa, sempre più rara.”

Massimo Bertoldo (fonico): Stefano è stato il mio primo datore di lavoro, quando negli anni 90 ho deciso di intraprendere il lavoro di sound Engineer o fonico. Mi ha scoperto lui, quando in quegli anni era fonico e titolare del Centro Musica di Vicenza. C’era uno studio di registrazione ed un service solo audio. Che dire.. gli devo tanto .. i primi insegnamenti, l’inizio del tanto sognato lavoro, tante avventure, risate… che tempi. Una persona buona, forse troppo buona per questo mondo, sempre sorridente, con tanta passione per la musica, lo conoscevano tutti come un ragazzo d’oro! Inutile dire .. tutti lo sanno!
Mi hai lasciato un altra volta spiazzato, senza parole … buon viaggio Stefano

Max Bacchin (amico e compagno a Saluzzo al corso fonici nel ’93) :” Una persona stupenda. Non l’ho mai visto scaldarsi per niente nemmeno quando andavamo in giro per l’Italia e per il mondo, Sempre con una calma assoluta. Il più preparato dal punto di vista live tanto che è andato in tour con Vasco. Era una persona solare, bravo gentile e di enorme professionalità. Quando aveva aperto lo studio a Villaverla e poi in centro a Vicenza abbiamo lavorato spesso insieme e se capitava che non riuscisse a finire un lavoro, chiamava i compagni di corso e si informava su chi era disponibile. Un generoso come pochi”.

Sandro Pupillo (per anni in società del quartetto): “Ho conosciuto Stefano una quindicina di anni fa. Ricordo benissimo il tutto perché stavamo organizzando, al tempo, il primo concerto al teatro comunale di Vicenza. Il primo in senso assoluto perché il teatro era stato inaugurato da appena tre giorni. Grazie a Matteo Quero eravamo riusciti ad avere una disponibilità quasi immediata di Sergio Cammariere, nonostante non fosse in tour. E ricordo bene che dal suo agente ci arrivò una scheda tecnica molto corposa (audio/video) in cui la band chiedeva anche di poter utilizzare strumenti del “posto”: una batteria con determinate caratteristiche, una serie di percussioni di non facile reperimento, un contrabbasso e via dicendo. Non era facile in così poco tempo reperire tutta quella strumentazione e garantire una scheda tecnica così complessa. Bisogna poi ricordare che allora il teatro non aveva praticamente alcuna dotazione propria. Era io dicembre del 2007. Mi venne allora in mente di chiedere un consiglio a Patrizia Laquidara e subito mi diede il nominativo di Stefano Dinarello di Centro Musica. “Con Stefano vai sul sicuro!”, mi disse. Ed in effetti fu subito “amicizia a prima vista”. Ricordo benissimo, come fosse ieri, quanto Stefano si prodigò per quel concerto. Non solo nel fornirci un set audio/luci strepitoso, ma anche nel cercare tutti gli strumenti che ai musicisti piacquero moltissimo.
Da allora la collaborazione fra Quartetto e Dinarello è stata intensa e raramente abbiamo trovato una persona di così rara bontà e disponibilità. Sempre pacato, misurato, paziente, ma altrettanto così puntiglioso, scrupoloso, quasi maniacale nel settare il tutto alla perfezione che restavi meravigliato da come una persona, all’apparenza quasi flemmatica, fosse poi invece così energica e stakanovista!
Stefano a quel tempo mi aveva parlato dei suoi problemi di salute, ma sempre con grande dignità e compostezza. Quando dopo alcuni anni ho avuto un problema di salute analogo al suo, mi è stato molto, molto vicino. Ricordo le telefonate e i messaggi che finivano sempre con un suo incoraggiamento, quasi un mantra: “con pazienza, le cose si aggiusteranno”. Purtroppo nell’ultimo periodo ci siamo un po’ persi di vista, ma il nostro interessarci l’uno dell’altro non si è mai spento. Mi aveva confidato -due o tre anni fa – sempre con la sua gentilezza e misura, di una recidiva che si era ripresentata e che si stava curando a Genova. Ci siamo poi sentiti recentemente e ho capito che le cose non stavano andando bene. Lui non me l’ha voluto dire esplicitamente per non darmi una preoccupazione, ma tra le righe lo avevo capito.
Apprendere della sua scomparsa è stato un grande dolore. È nostro dovere ricordare “Dina” con enorme rispetto e ammirazione, lui che ha collaborato con alcuni tra più grandi artisti italiani e non”.

Patrizia Laquidara (artista): “Ci sono persone che rappresentano cosi tanto nella nostra vita che è difficile raccontarne e spesso è meglio il silenzio al posto delle parole ma qualcosa mi spinge oggi a vincere la ritrosia e a ricordare Stefano, lo faccio col cuore ancora sofferente. Per me non era solo il fonico bravissimo che tanti conoscono. Di ricordi ne ho tanti, tantissimi. Quante chiacchierate abbiamo fatto seduti sui muretti lungo le vie del paese scambiandoci sogni sul futuro. Lui era uscito dal seminario poco prima che ci incontrassimo e sembrava per certi versi un essere quasi impreparato al mondo, per altri versi invece aveva una saggezza antica e io apprendevo da lui ad ascoltare a capire le cose con maggiore profondità. Con lui ho vinto il mio primo concorso canoro, era lui che mi spronava a cantare, insieme abbiamo fatto il nostro primo concerto dentro il campetto sportivo del paese con una manciata di amici come pubblico. Insieme abbiamo organizzato un “recital” si chiamava cosi allora coinvolgendo tutti i ragazzi del paese noi eravamo davvero molto giovani, ci credevamo davvero di poter cambiare il mondo con la musica. Abbiamo aperto le porte di un vecchio cinema e li abbiamo cominciato a provare, a suonare, “Impressioni di settembre” mi ricordo tra le altre. Abbiamo creato un gruppo, “Pane e salame rock band” l’avevamo chiamato, dio che nome assurdo, ma la musica e le canzoni ci univano e davano direzione e senso alle nostre giornate, al nostro futuro. Scorrazzavamo con una 126 scalcagnata, portando nel sedile posteriore un microfono io e lui la sua tastiera. Quando eravamo in ritardo passavamo sopra le aiuole. Mio padre ci rimproverava, eravamo distratti, una volta siamo finiti addosso ad un garage, da li siamo diventati un po’ più attenti. In camera sua ripassavamo le canzoni, ne apprendevamo altre, trovavamo le tonalità, lavoravamo su un repertorio ampissimo di brani con un entusiasmo a cui sono adesso grata e che ci ha portato a suonare insieme per un po’ di anni. Facevamo piano bar, 60 mila lire per 5 ore di musica, 10 minuti di pausa. Quanta musica Stefano! Ma soprattutto quanta vita, quante confidenze, quanto affetto ci siamo dati. Quante lacrime quando ti confidavo che mi sentivo sbagliata, era la mia grandiosa adolescenza quella, quante volte mi hai detto che non capivo proprio nulla o che ero troppo istintiva, un animaletto dicevi mentre io mi sedevo sul marciapiede imbronciata. Poi hai aperto una studio di registrazione, il Centro Musica, anche li eravamo vicini, passavamo le notti a registrare. E sempre parlavamo di noi, del mondo, del futuro, di passato ce n’era poco allora da raccontare. Grazie a te ho fatto da spalla a Lucio Dalla e abbiamo festeggiato quando lui venne in camerino a chiedermi di firmare un contratto con la sua etichetta (occasioni perse per strada, forse, ne ho perse tante allora senza nemmeno saperlo, non avevo certo la mentalità giusta per fare carriera, mi piaceva solo cantare e tu lo sapevi benissimo). Con te ho registrato il mio primo cd, non me n’è rimasta neanche una copia, te ne avrei chiesta una se ci fossimo incontrati prossimamente, ci pensavo , avrei voluto riascoltare quelle canzoni fatte assieme. Poi la vita ci ha portati su strade diverse, per certi versi vicinissime e lontane. Ci sentivamo al telefono ogni tanto. Mi parlavi delle tue esperienze sui grandi, grandissimi palchi. Qualcuno mi raccontava della tue enorme bravura di fonico. Tanti anni dopo mi hai chiamata. Avevi saputo della tua malattia mi chiedevi se potevo ospitarti a casa mia, avevi bisogno di stare tranquillo per qualche giorno. Cosi ho aperto il divano letto in salotto e ti sei trasferito da me. Parlavamo ancora, ma meno, eri stanco quei giorni. Io ti preparavo la zuppa ogni sera, ci sorridevamo, mi sedevo accanto a te e stavamo in silenzio. Mi dicevi che avevi fiducia, ce l’avresti fatta. Si, avevi molta fiducia e io con te. Ti dico la verità, non ero preoccupata, sapevo che ne saresti venuto fuori, ne ero convinta, sentivo che c’era tanto futuro ancora davanti. Cosi è stato, e tu hai ricominciato ad andare, io pure. A volte mi raccontavi di te, eri felice l’ultima volta che ci siamo sentiti, mi hai mandato delle foto. Ma l’altro ieri la notizia tremenda della tua scomparsa, dopo tanti anni qualcosa ha ceduto. Lo so che sei in pace, eri un essere tra i più buoni, pazienti, generosi che ho mai incontrato, lo so che sei nella pace. Insieme al “nostro” Padre Franco abbiamo organizzato un sacco di serate, parlato tanto di Dio. Ma io ci tengo a tenerti qui stretto stretto, più che posso. Ho chiamato i nostri amici di allora, ci rincontreremo e parleremo di te, li tra noi ti ricorderemo e ti rincontreremo, in ogni palco ti ricorderò perché sei stato tu ad accompagnarmi nei miei primi passi, sempre mi hai sostenuta e ora ti ringrazio per aver condiviso con me un pezzo di strada, e anche per quella litigata pazzesca, al ritorno da una serata di merda al piano bar, quando mi scaricasti in mezzo alla strada di notte e poi tornasti indietro. Io ero davvero insopportabile a volte, avevi ragione tu.. Ciao “dina” amico mio”.

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