Vanno verso i 18 anni di vita, hanno prodotto sei album e un numero importante di singoli. Hanno suonato centinaia di concerti tra Italia ed Europa. Hanno avuto un cambio di formazione, progetti collaterali, carriere soliste. Si può quindi definirli dei veterani ormai. Davide Dalla Pria, Simone Pass e Alessandro Lupatin sono il power trio per eccellenza del rock vicentino. Da sempre entità a parte, fuori dalla mischia dei generi e delle scuole, se mai esistesse una scuola vicentina. Iconoclasti in tutto, anche nel nome. Due di loro avevano una Volvo Polar e tutti e amavano “Music For The Masses” dei Depeche Mode, ecco che il nome veniva da sé. Socialismo motorizzato probabilmente, ironia e cazzeggio di sicuro. Così come Davide ha chiamato “Spia” il suo progetto solista visto che il t9 del cellulare storpiava appunto in “spia” il suo cognome. Son partiti in 4, con Alessio Zerbinati alla seconda chitarra, poi hanno deciso per una via più minimale, il primo batterista era Jordan Brea che ha lasciato la band nel 2013. Ci troviamo al tavolo di un’osteria in centro a Vicenza con Davide e ci lasciamo andare ad una libera chiacchierata.
Dopo “Fuori”, album del 2016, avete prodotto solo singoli, 5 per l’esattezza. Si tratta di una scelta mirata o un nuovo album è dietro l’angolo?
Dopo l’ultima uscita siamo stati fermi per un po’ perché l’etichetta ha chiuso i battenti e, finita la vita dell’album con promozione e concerti, siamo stati fermi per un po’. Poi abbiamo trovato una nuova casa presso “IndieBox” (già etichetta di Derozer e Pankreas) e abbiamo sondato il terreno come prova facendo uscire un po’ di singoli solo digitali. Sono andati bene e abbiamo avuto una buona risposta critica e quindi l’etichetta ha preso coraggio e ha iniziato a promuoverci e abbiamo organizzato un tour italiano che stava per iniziare e poi… il covid! La prima data era Crema, che non è distante da Codogno, e mentre ci andavamo sentivamo la radio parlare di zona rossa e ci siam detti “qui si mette male”. Morale: tour annullato e i mesi passano e non si capisce bene cosa fare. Ad un certo punto proviamo a proporci per l’estate 2020 ma ci scontriamo con grandi difficoltà a causa dei cachet ridotti e di un circuito live ancora molto bloccato. Arriva l’inverno e avevamo pronto “Mutare” che era un buon singolo ed è andato anche molto bene ma per mettere insieme un album con successivo tour di diverse date di seguito aspettiamo l’anno prossimo. Intanto siamo comunque molto occupati. Alessandro fa didattica e suona coi Vertical. Io ho il mio progetto “Spia” e “Fantasmi del Futuro” con Denis Forciniti e Luca Zordan. Simone invece ha i “Colla” con Mauro Poli e Davide Prebianca. Ed è molto importante per una band che ha diversi anni alle spalle poter avere carriere anche fuori dal gruppo perché rende poi il lavoro assieme più vivo e fertile.
Com’è stato il cambio di batterista ed il passaggio da Brea a Lupatin?
Con l’arrivo di Alessandro è cambiato il sound e abbiamo cambiato metodo compositivo. Ora registriamo le jam sessions e prendiamo i frammenti più significativi come un fill di batteria, provando a costruirci un pezzo. I brani così nascono da elementi che di solito fungevano da riempitivo. Una nuova via che funziona visto che i dischi sono andati bene.
Parliamo di lingua. Credo che la scelta dell’italiano sia stata molto proficua e i testi siano migliorati.
Si, è vero. Al punto che adesso partiamo proprio dal testo a costruire una canzone. Simone è il paroliere e cerchiamo di dedicare molto tempo alla scelta del testo e delle parole giuste. Comunque il passaggio dall’inglese all’italiano è stato anche un modo per darci un giro di vite. Suonavamo spesso all’estero all’epoca, tra Germania, Austria e Svizzera e avevamo una specie di nostra roccaforte a Roma al “Contestaccio”, dove girava molta gente che conta. Ci siamo chiesti allora cosa potevamo fare per andare un passo avanti, per non rimanere ancorati ad un cliché, e la scelta di cambiare lingua ci è parsa logica a quel punto. Comunicare è fondamentale per noi e, ad esempio, andiamo fieri del fatto che Amnesty International abbia utilizzato il nostro brano “Laogai” che parla della drammatica realtà dei campi di lavoro.
Lo chiedo a tutti gli artisti: che differenza trovi tra Vicenza e il resto e poi tra l’Italia e l’estero?
Sicuramente all’estero c’è un attenzione per gli artisti che qua non c’è. Ci sono canali di divulgazione che qui mancano. Da noi se non sei davvero mainstream non passi in radio o in tv. Per quanto riguarda Vicenza, forse adesso non è una città propriamente rock perché sta vivendo un periodo in cui la scena hip-hop la fa da padrona, ma in passato è stata super rock. Oltre a noi c’erano i Mistonocivo, i Sinergia e poi i sempiterni Derozer ad esempio.
Simone è di Arzignano, Davide di Torri, Alessandro di Vicenza e Jordan era (è) di Montecchio. I Polar però sono sempre stati degli outsider qui
Non per scelta ma è capitato così. Abbiamo sempre fatto fatica ad inserirci in certi giri perché siamo poco etichettabili. Ogni disco poi cambiava il riferimento. Oggi componiamo come un classica band rock o cantautorale. Cerchiamo di raccontare la realtà come fossimo dei cronisti e c’è tanta Vicenza nei nostri pezzi ed è inevitabile magari, non in modo diretto ma così è.
Suonate molto per contrappunto e per incastro, diciamo che non cercate i 4 accordi classici alla Ramones per intenderci. C’è qualche rimando prog o sono eretico?
Beh, non siamo prog ma abbiamo un modo di comporre parente di quel mondo lì, è vero.
Ci sono degli artisti che potrebbero rappresentarvi?
Per Jordan di sicuro gli U2, Simone direi il Boss, anche per l’attitudine di fare 3 ore di concerto, Ale è sul versante Dave Grohl, almeno con noi, e per me invece i dischi dei miei 14 anni tipo i Big Country.
E mentre, come dicevano proprio loro, qui “sembra che sia tutto normale”, ci salutiamo e speriamo di rivederci con album e tour nuovi.
Rock on!