I DIECI DISCHI DEL QUARTO TRIMESTRE DELL’ANNO

Ogni trimestre vi consigliamo 10 dischi tra quelli usciti nei mesi in questione. Ecco quelli usciti dopo il primo ottobre. Qui quelli del primo trimestre, qui quelli del secondo e qui quelli del terzo.

Nicolas Jaar “Piedras 1 / Piedras 2”

Due dischi distinti per un unico progetto, quindi li inseriamo come fossero un solo corpo. Si tratta di una raccolta di brani presenti nello spettacolo andato in scena al Museo della Memoria e dei Diritti Umani di Santiago del Cile tra il 2022-2023 che intreccia la storia coloniale cilena, la dittatura militare e la causa dei palestinesi in una vertiginosa miscela di sonorità astratte e avant pop. La musica che accompagna i testi è impressionistica e in scala di grigi, con esplosioni di rumore a segnare i temi dell’alienazione e dell’identità in divenire quando non vira direttamente verso la sperimentazione cerebrale.

Max Richter “In A Landscape”

Torna il compositore contemporaneo più noto degli ultimi anni con un’opera che nel titolo omaggia il genio di John Cage. Piano, tastiere, quartetto d’archi, clarino e sax, questo l’ensemble che esegue le partiture di Richter, come sempre nel suo mondo postminimalista fatto di lievissimi movimenti in superficie sopra ad un corpo emotivamente intensissimo. Le melodie di Richter degradano in accordi cupi per creare un’atmosfera oscura. Dopo i “Blue Notebooks” la splendida rivisitazione di Vivaldi e il progetto “Sleep”, l’ennesimo grande lavoro di questo grande classico vivente.

Father John Misty “Mahashmashana”

Joshua Michael Tillman ne ha fatta di strada dai tempi di “Helplesness Blues” mentre i suoi ex compagni Fleet Foxes non hanno mantenuto le enormi promesse iniziali. Questo è il suo sesto album a nome Father John Misty ed è probabilmente il suo migliore. Sicuro, completamente formato, rifinito e farcito con una successione di canzoni emotive e robuste, un album che unisce in modo impeccabile stile e sostanza. Con la solita dose di humor, di LSD e di raffinatissima e artigianale capacità di scrivere splendide canzoni.

Kendrick Lamar “GNX”

Già oggi si può dire che Kendrick è forse l’artista più rappresentativo degli ultimi 10 anni (stiamo stretti) e che “To Pimp A Butterfly” è uno di quei 4 o 5 dischi da dare in mano alla storia per spiegare il ventunesimo secolo, o almeno quello che è il ventunesimo secolo finora. Ovvio che un suo album nuovo susciti un interesse enorme soprattutto se esce a sorpresa. Un omaggio al “west coast hip-hop”, un disco sicuramente diverso dai suoi precedenti che lascia qualche perplessità che mai prima d’ora Kendrick aveva suscitato. Come ha scritto il NY Times il tributo di Lamar alle sue radici californiane è un po’ un ripiegamento sulla sua “zona di comfort” e l’album alla fine è “impressionante ma leggero” con una produzione decisamente troppo pulita.

Jeff Parker “The Way Out Of Easy”

Il disco jazz (qualsiasi cosa voglia oggi dire) dell’anno. La chitarra di Parker ricama dissonanze, accordi sbilenchi e arpeggi melodici inserita alla perfezione in questo quartetto spettacolare composto da Parker, dal sassofonista contralto Josh Johnson, dalla bassista Anna Butterss e dal batterista Jay Bellerose. Quattro lunghi brani aperti dal punto di vista emotivo, per niente propensi a guidare l’utente verso riferimenti specifici o modalità di sentimento. A volte l’improvvisazione prolungata porta con sé un’aspettativa di dramma, in cui si pensa a ciò che è appena accaduto e a ciò che potrebbe accadere dopo. Un disco eccezionale che fissa l’attenzione sul momento presente.

Primal Scream “Come Ahead”

Ritorna dopo 8 anni di silenzio la band di Bobby Gillespie e lo fa con un disco che ha un sacco di funk sulla sua superficie, ma contiene ancora molto punk e granate di protesta nel suo bagagliaio. Arrangiamenti orchestrali, sarabande danzerecce e psichedeliche (c’è David Holmes a dare una mano alle tastiere) e i soliti ingredienti ovvero grooves acidissimi, testi quasi politici, melodie adatte alle feste di magazzino delle 2 di notte o alle ballate dei Rolling Stones. Funk e soul comunque spadroneggiano come mai in carriera.

The Cure “Songs Of A Lost World”

Sedici anni di attesa sono tantissimi, e considerando che gli ultimi lavori di Smith e soci non erano propriamente memorabili, c’era pacato scetticismo attorno all’uscita di questo nuovo lavoro che invece si dimostra un monolite di cupo esistenzialismo con un inizio e una fine da brividi e in mezzo altri sei brani perfetti nel loro essere maestosamente desolati. Ma è la fine soprattutto che segna questo disco, si chiama “Endsong” ed è uno dei brani migliori dell’intera carriera dei Cure. All’album mancano quegli aspetti più pop che hanno fatto la storia della band, ma è un ritorno molto più che dignitoso e di grande valore.

Laura Marling “Patterns In Repeat”

L’ottavo disco di Laura Marling è il suo migliore. La palette di colori è la stessa di sempre e ha toni caldi e di conforto pacifico, dal tono di voce alla morbidezza del suono e alla trasparenza dei testi. Dimenticate completamente le sfumature meno levigate dei primi lavori, Laura è finalmente padrona del suo songwriting intimo e i riferimenti a Joni Mitchell (ma quale cantautrice donna può sfuggirci in realtà?) pur sempre presenti permettono comunque traspaia limpido il talento dell’autrice e la bellezza di queste 11 canzoni.

The Necks “Bleed”

Sono quarantadue minuti di sogno liquido, di sospensione eterea in un mare screpolato di seta. Il lavoro forse più ambient del fenomenale trio australiano che da più di 30 anni ha portato un nuovo modo di intendere il concetto di improvvisazione avvicinando palati meno avvezzi alla musica colta contemporanea. Quarantadue minuti di profonda e ininterrotta esplorazione musicale.

The Smile “Cutouts”

Secondo disco in un anno per Thom Yorke, Tom Skinner e Johnny Greenwood è anche meglio del primo sebbene venga dalle stesse sessions. Un’emozionante testimonianza della chimica quasi telepatica che questi tre musicisti hanno affinato in due anni di tournée. Un disco libero, jazzy, psichedelico, forse non perfetto ma non si possono biasimare Thom o Jonny per non avere alcuna fretta di pubblicare un altro disco dei Radiohead. Quando uscì “A Moon Shaped Pool” la BBC Radio 6 Music trasmetteva ogni brano in sequenza, con reverenza, come se stesse tramandando le tavole del Monte Sinai. Troppa pressione. The Smile in confronto è uno spasso.

Aprile 2025

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