IL CARCERE DI VICENZA: UN SISTEMA AL COLLASSO COME IN TUTTA ITALIA

In questi giorni si parla molto, e giustamente, di una carcerata, Ilaria Salis, mostrata ignobilmente in catene al processo a suo carico a Budapest. Ma il dubbio, fortissimo, è che l’attenzione verso il caso Salis sia molto strumentale, mentre l’impegno vero, concreto, contro la disumana situazione che si vive nelle carceri nostrane, sia politicamente quasi nullo. Come ha scritto Michele Brambilla sull’Huffington Post: “Ci sono altri corpi di cui non frega niente a nessuno, neanche per specularci sopra perché non portano voti. Ad esempio. Nelle 189 carceri italiane ci sono attualmente 60.924 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 51.187. Le celle fanno schifo e i detenuti ci stanno dentro ventidue ore al giorno senza far nulla, perché su 60.924 solo 2.400 possono lavorare. Il 90 per cento di chi è dentro ha dipendenze da droga, alcol, gioco; ha problemi psicologici e spesso psichiatrici; poi ci sono i disperati arrivati con i barconi. Tutta gente che andrebbe curata, ma fa più comodo metterla in un quell’enorme discarica dell’indifferenziata che è oggi il carcere. Già 66 persone sono morte nelle nostre prigioni dall’inizio dell’anno, 28 per suicidio”.

Noi incontriamo l’avvocato Laura Piva proprio il giorno in cui arriva la notizia del ventottesimo suicida. È presidente della Camera Penale Vicentina e da tempo, insieme alla Commissione Carcere, monitora la situazione alla casa circondariale Filippo Del Papa, luogo che tutti chiamiamo più semplicemente “il carcere di San Pio X”. Un carcere che soffre una situazione ormai al collasso. “Alla fine dello scorso anno è arrivata una nuova direttrice – ci dice Piva – con tantissimo entusiasmo e voglia di cambiare le cose ma adesso è costretta ad affrontare le emergenze quotidiane”. A San Pio X ci sono al momento 365 detenuti su capienza regolare di 275 circa (tasso di affollamento 130%). Di questi, 200 scontano pene definitive e 150 sono stranieri. Il sovraffollamento, unito a vari disagi, a religioni diverse, e alle mancanze strutturali del carcere, di fatto pone le basi per una polveriera.

“Manca molta polizia penitenziaria – prosegue Piva. Essendo le pene individualizzate, dovrebbero idealmente esserci gruppetti di 10 detenuti seguiti da un operatore e invece abbiamo 2 operatori e mezzo (in quanto uno è part time) per tutti i detenuti del carcere. Ma i problemi sono davvero molti. Manca un coordinamento salute, ci sono poche attività culturali/ricreative che coinvolgono pochi detenuti, la direttrice dice che andrebbero tenuti occupati e invece praticamente non fanno nulla e questa cosa alla lunga li annienta. Hanno dieci minuti a settimana di telefono per chiamare casa e un colloquio ogni due settimane con supervisione. Condividono celle anguste, spesso in 3 o 4, con dentro water e lavandino vicini e una piccola tv al muro. E in aggiunta c’è il grande tema dell’interrazialità. A dare meno problemi solitamente sono i definitivi, mentre tutta la piccola delinquenza porta più conflitti e malessere. E se si continua su questa linea di pene per i piccoli reati la situazione non può che peggiorare”.

I numeri relativi alle condanne ricevute dall’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per le condizioni delle carceri e la violazione di alcuni diritti umani basilari sono impietosi, così come le statistiche del Consiglio d’Europa sulla situazione disastrosa del nostro sistema penitenziario. Partiamo dalla Cedu: da quando la Corte è stata istituita, nel 1959, fino al 2021 l’Italia è il terzo paese ad aver ricevuto più condanne (2.466), dopo Turchia e Russia. L’Ungheria ne ha ricevute 614. L’Italia è stata condannata 9 volte per tortura (l’Ungheria mai), 297 volte per violazione del diritto al giusto processo (21 l’Ungheria), 33 volte per trattamento inumano e degradante (38 l’Ungheria), addirittura 1.203 volte per la durata eccessiva dei processi (344 l’Ungheria). In Italia, dal 1990 al 2020 i detenuti sono passati da 30 mila a 60 mila, a fronte di un numero di omicidi che è sceso da 2 mila a 300. Dal 2012 al 2022 le notizie di reato si sono ridotte di un quarto e parliamo di rapine, piccoli furti e aggressioni. L’Italia oggi è il paese con meno reati d’Europa. Ma per una bancarotta si prendono dai 3 ai 10 anni con tutti i bonus per cui esci sempre prima quando finisci dentro (e non finisci affatto sempre dentro) mentre la droga ha pene altissime ed è previsto arresto anche per quantitativo minimo.

Laura Piva con Camera Penale Vicentina è scesa a manifestare a Roma il 20 marzo scorso, presente Rita Bernardini, che con i Radicali Italiani è la voce più forte e presente sul tema. “La situazione è seriamente al collasso – ammette una preoccupata Piva – e quel che si chiede è l’opzione amnistia e indulto. Basta con i nuovi reati e basta con i decreti Caivano, non tutto è penale e l’inasprimento delle pene ha dimostrato di non ridurre affatto le infrazioni. L’Unione Camere Penali è compatta. Il CSM non ha espresso una posizione ma è comunque contrario al panpenalismo. In ogni realtà va fatto un gran lavoro. Bisogna aprire il carcere ai giovani, alle scuole, fare opera di informazione. I detenuti devono essere realmente rieducati e ora in queste condizioni non è assolutamente possibile. Escono peggio di prima. E intanto Nordio dice che invece per combattere il sovraffollamento bisogna costruire nuove carceri”.

Non serve citare la arcinota frase di Voltaire, quel che esce da questo resoconto è evidente. La questione è vasta: fa riferimento alle libertà e ai diritti umani, al significato che in generale una società dà alla questione della convivenza sociale e degli sforzi che devono essere fatti per consentire a chiunque, anche a chi ha sbagliato, di farne parte. E il pensiero non può che andare a quel testimone esemplare di questo connubio esistente fra carcere e civiltà: Alexis de Tocqueville, il quale si recò in America per studiare il sistema penitenziario, e comprese invece che la domanda fondamentale che il carcere gli poneva davanti agli occhi era una domanda di civiltà e di diritti, di democrazia e di libertà. Il carcere, quindi, quale specchio della civiltà e di un ordine civile: altro che discarica sociale. Quella di Laura Piva con la Camera Penale e quella di Rita Bernardini è anche la battaglia di questo giornale. Non finisce qui.

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