L’8 MARZO NON E’ UNA FESTA

Le mimose anche no, grazie. I messaggi sulle chat di whatsapp nemmeno. Io, ogni anno, vivo questa scadenza tra il malessere e la frustrazione. Ne scrivo adesso che son passati 4 o 5 giorni perché l’avessi scritto l’otto marzo, questo pezzo, sarei stata molto poco attenta alle parole. Chiariamo subito una cosa fondamentale: l’otto marzo non è una festa! È una giornata internazionale per i diritti delle donne, che in molti Stati del mondo non sono garantiti. L’otto marzo io chiederei alle Istituzioni di andare ad omaggiare le vittime nei vari cimiteri. Questo sarebbe un gesto, quanto meno, doveroso. Al contrario ci sono sempre i triti blah blah che, puntualmente, non ascolto. L’otto marzo non è una festa!

La cosa più sconcertante è leggere frasi paternalistiche stracolme di stereotipi che ti fanno capire che la strada da percorrere è ancora lunghissima, purtroppo. Fare gli auguri a una donna e celebrarla l’8 marzo è la cosa più maschilista che possa esistere. L’8 marzo non è una festa. È l’international women day che ricorda come le donne vengano ancora discriminate, picchiate, infibulate, violentate, uccise e subiscono tante altre violazioni di diritti a seconda dei luoghi in cui vivono. Nulla da festeggiare. Tanto su cui riflettere.

L’otto marzo se posso non esco di casa perché odio, davvero odio mi facciano gli auguri. Non dobbiamo avere più quote rosa, dobbiamo avere semplicemente lo stesso livello di considerazione di un maschio, ma soprattutto dobbiamo poter accedere agli stessi stipendi e poter avere la stessa formazione e lo dico oggi che è il 13 marzo come lo dico il 20 di aprile o il 4 di ottobre, come lo dico tutto l’anno, senza farmi fare gli auguri. Non votate una donna in quanto donna, non comprate dei prodotti perché arrivano da aziende “al femminile”, noi donne non stiamo correndo i cento metri piani, per cui siamo fisicamente differenti dagli uomini, vogliamo solo la fine di ogni discriminazione. Io non sono femminista, io sono per la parità. Deve essere davvero così difficile da comprendere?

“Donna, vita, libertà” è lo slogan che guida tutta la straordinaria protesta che è partita dall’Iran dopo l’assassinio della giovane curda Jîna Mahsa Amini da parte delle guardie del regime di Teheran il 16 settembre 2022. Una morte che ha enfatizzato la discriminazione, la libertà negata e la negazione del corpo delle donne che da 44 anni regna in quel Paese e in generale in tutti i paesi del Califfato. In questi giorni la rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, ha dovuto ammettere, a cinque mesi di distanza dal pogrom, che le informazioni sulle violenze sessuali commesse da Hamas, “inclusi stupri, torture sessuali e trattamenti crudeli disumani e degradanti”, sono “chiare e convincenti”, e che quelle violenze continuano, con ogni probabilità, su chi è ancora tenuto in ostaggio dai terroristi. Ora, io mi chiedo, com’è definita in medicina quella patologia che porta alcune ragazze, certamente indottrinate, a manifestare contro il patriarcato esponendo i simboli del più feroce patriarcato esistente sul pianeta, cioè quello islamico?

Non è poi che in casa nostra siano tutte mimose. In questo derelitto paese puoi abortire fino al terzo mese e non fino al sesto come in Inghilterra e un po’ in tutti i paesi civili; in questo derelitto paese non puoi abortire nel privato se vuoi e se te lo puoi permettere; in questo derelitto paese la 194 è stata approvata quarantasei anni fa e (si presume) coloro che già facevano i ginecologi e che si erano specializzati quando non esisteva l’aborto legale, e andavano tutelati con l’opzione dell’obiezione di coscienza, si suppone che questi signori divorati dall’etica siano ormai in pensione, e quindi a cosa diamine serve l’obiezione di coscienza, epperò lì sta, un po’ come fossimo pieni di cabine a gettoni. Altrove sono messe meglio, sì.

In Italia, l’Iva sui prodotti mestruali ha subito continui sali e scendi negli ultimi anni. Nel 2022 il governo Draghi l’ha abbassata dal 22% al 10%. L’anno successivo l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha ridotto ulteriormente l’Iva dal 10% al 5%. Nel 2024, però, la premier di FdI ha fatto una vera e propria retromarcia riportando nuovamente la tassa al 10%. E ancora diciamo “hai le tue cose”.

In Italia solo una donna su due di età compresa tra 20 e 64 anni lavora. Il dato è ancor più preoccupante se confrontato con quello dei partner europei: siamo gli ultimi. Per dare un ordine di grandezza, il tasso di occupazione femminile tedesco si attesta al 77 per cento (25 punti percentuali in più del nostro), quello francese al 65, quello ellenico al 56. In Grecia la situazione è migliore persino dal punto di visto della dinamica: nell’ultimo decennio l’incremento della quota di donne con un impiego è stato due volte superiore al nostro.

Il gender pay gap, i femminicidi, le discriminazioni non sono “problemi delle donne”. Sono problemi degli uomini e della loro società nei confronti delle donne. Invece di fare gli auguri, regalare mimose o imbastire codici sconto, iniziamo a capire questo concetto.

Aprile 2024

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