C’è un momento, durante “Ciarlatani”, in cui parte lo struggente valzer lento “It’s A Wonderful Life” che Mark Linkous compose nel 2001. La canzone a un certo punto dice “io sono il cane che ha mangiato la tua torta di compleanno”. La vita è meravigliosa ma nulla è come dovrebbe essere o come tu pensi sia. D’altronde lo sapeva bene anche Frank Capra, che aveva bisogno degli angeli per mettere in scena la speranza nel sogno americano. Non stiamo divagando, anzi, lo spettacolo di Pablo Remón è tutto un divagare, è tutto un mettere altro e costruire strati. La narrazione è quasi filmica, e decisamente onirica. Il sogno come premonizione, come esperienza rivelatrice, come incontro con un subconscio che svela la realtà che la realtà non rende disponibile. Silvio Orlando è, ancora una volta, perfetto, straordinariamente padrone di ogni sfumatura anche non detta, mimicamente superbo. Ma tutto il cast è a livelli altissimi. In particolare una brillante e coinvolgente Blu Yoshimi. Di cosa parla “Ciarlatani” quindi? Più di che cosa parla dovremmo dire di che cosa mostra. Sono attori in cerca di personaggi, anime ingenue convinte che l’arte gli affranchi dalle pene. Un regista, un’attrice, un produttore, un autore, i 4 (Silvio Orlando, Francesca Botti, Francesco Brandi e Blu Yoshimi) arrivano a interpretare decine di personaggi, anche minimi, ma tutti deliziosamente necessari. Ci sono la soap opera, l’attrice star, la serie tv immancabile, la sceneggiatura d’autore, la figlia del grande regista scomparso, un produttore tossico che sogna i festival, i monologhi impegnati che non si fila nessuno, non c’è una linea drammaturgica unica e questo non è assolutamente un difetto, anzi. Si ride, parecchio. E il divertimento è anche dato dal ritmo serrato, dalle scene molto intelligenti che seguono i cambi di umore e di azione. Momenti più esilaranti: quando il bravissimo Francesco Brandi nei panni dell’autore della commedia confessa i suoi plagi e quando un improbabile Silvio Orlando seienne diventa critico teatrale snob. “Ciarlatani” è da vedere per capire come produzioni di classe siano con maestria portate in giro da “Cardellino” che fa con Remón quel che già aveva fatto con con Starnone, con Calamaro, o con Romain Gary di cui avevamo visto il meraviglioso “Momò” giustamente premiato come spettacolo dell’anno con un commovente Orlando. A Thiene forse il pubblico si aspettava altro, visti gli applausi non proprio trascinanti alla fine. Ma lo spettacolo invece merita lodi anche se, di fatto, la commedia non esce mai davvero, ma l’intento era proprio celarla dietro a riflessioni, a divagazioni, a strutture diverse. Quando si sente emergere “On Some Faraway Beach” di Brian Eno, spacciata come inno Kazako, a decretare la fine delle vicende di questi stralunati viandanti, la vena lievemente surreale del quotidiano vivere, prende definitivamente il sopravvento, con un po’ di malinconia e un calore buono e la convinzione che, come diceva Pessoa, l’arte è la prova che la vita non ci basta.
sdisOré. Per i classici un’Orestea rivoluzionata.
Una prima assoluta quella di sdisOré, in scena domani al Teatro Olimpico per il Ciclo dei Classici. Si tratta di