Era impresa ardua ridurre per il palco il monumentale capolavoro tolstojano e l’adattamento di Gianni Garrera e Luca De Fusco ci è quasi riuscito. Quel “quasi” non vuole essere una diminutio, molto dello spirito dell’opera si è visto ed apprezzato durante la messa in scena, ma ci sono dei dovuti distinguo. Innanzitutto partiamo dall’interpretazione di Galatea Ranzi nei panni della protagonista. La sua è una Anna umorale, bambina, passionaria, volubile e folle, che non riesce mai ad essere chiara con se stessa, figuriamoci con gli altri. In lei scorre il pensiero forte del romanzo: una società che accetta il perbenismo e una donna che ne è vittima. La Ranzi è perfetta, il suo lungo monologo finale è il culmine dello spettacolo e al contempo un momento di bravura cristallina. La Karenina della Ranzi è credibile, carnale, manifesto palese dell’eros che la smuove. Il crescendo di febbri emotive che la porta verso il finale tragico è teso, sostenuto, bilanciato dentro alla recita generale. Sul palco ci sono nove interpreti. Nota di merito per un brillantissimo Stefano Santospago nei panni di Oblonskij.
Meno a fuoco ci è sembrata la figura del conte Vronskij, i cui panni veste Giacinto Palmarini che ha malcelato una insufficiente profondità, sebbene anche nel romanzo, di fatto, Vronskij non sia poi un carattere così denso e complesso. Tutto il cast comunque è su ottimi livelli, aiutato da una splendida (quella si) scenografia e dalla regia di De Fusco molto sofisticata. Il dialogo costante tra video e palco, con proiezioni frontali su un telo che “copre” la scena, è non solo di grande impatto ma risulta strumento narrativo adeguatissimo per la comprensione dell’identità del testo originale. In questo, l’idea di teatro di Luca De Fusco, diventa sia profondamente letteraria che moderna trasposizione del meglio della tradizione dei grandi sceneggiati televisivi, e questo detto come assoluto complimento. Due ore e venti (abbondanti) sono un po’ troppe e di sicuro sono un tour de force per gli attori e in particolare per la Ranzi, ma il primo tempo scorre via veloce, pieno com’è di dialoghi serrati e raffinati. Nella seconda parte si avverte però la sensazione di taglia e cuci approntati al fine di riassumere il romanzo e qualcosa si perde. La storia tra Kitty e Lèvin è molto approssimata, e soprattutto la figura di Lèvin (che nell’economia del racconto pesa moltissimo essendo un ritratto semi-autobiografico di Tolstoj) non mostra quel livello superiore che nel romanzo è invece evidente. In Tolstoj, il tema è l’inautenticità dei rapporti nella società moderna. Anna e Vronskij sono mossi da desideri egoistici e solo in superficie criticano gli ideali della morale corrente. In realtà, ne incarnano i princìpi individualistici fino alle più tragiche conseguenze. Entrambi sono quindi colpevoli perché si lasciano trasportare dai loro desideri senza riflettere sul senso della vita, come invece accade a Lèvin. Tutto questo, nello spettacolo, è in secondo piano rispetto alla storia di Anna, che con la sua vicenda personale prende quasi tutta la scena. Doveroso, avendo un’eccellenza come Galatea Ranzi, e forse anche inevitabile, dovendo puntare, come dice la presentazione, su “uno spicchio del romanzo in uno spettacolo compatto“. “Anna Karenina” rimane al Comunale di Thiene ancora oggi 6 e domani 7 dicembre. Consigliatissimo.