Ricordando Renato del Cursore. L’osteria che diventa la casa di tutti

In un presente in cui fare lo “chef” è diventato uno scopo di vita ed un modello sociale, in cui anche chi scotta un petto di pollo alla piastra in un locale che fa pranzi a prezzo fisso si fa chiamare “chef”, le osterie sono ancora un avamposto di umanità, di convivio antico, di semplice schiettezza tradizionale. All’osteria la star non è il cuoco, ma l’oste, e a Vicenza fino ad appena due mesi fa, c’era un oste sorridente, generoso, amico di tutti, appassionato, a cui hanno voluto bene in tantissimi. Dentro e fuori la chiesa di San Pietro, la mattina dei funerali, c’era così tanta gente che potevi, senza fatica alcuna, scorgere intere generazioni di clienti, di gente con cui avevi, almeno una volta, bevuto un bicchiere, di una comunità che assomiglia ad una specie di famiglia allargata. Ed erano là per lui, per salutare Renato Rigodanza, per tutti, semplicemente, Renato.

L’osteria al Cursore nasce nel maggio del 1991, da un desiderio di Renato, che dopo aver fatto corsi da sommelier e da grand gourmet, voleva un punto di ritrovo per gli amici, per poter trovarsi a brindare alla vita nonostante la vita, in quel preciso momento, fosse stata parecchio cattiva con lui. Il figlio Andrea era morto appena un anno prima, a soli 18 anni. La più atroce delle tragedie, il dolore più inconsolabile, diventa anche la spinta per cercare di distrarre la mente, di sfogarsi per sentire meno quel peso insopportabile. Il Cursore, come tutte le vere osterie, è anche questa cosa qui: un luogo dove abbandonare ogni pensiero, dove staccare la testa e rifugiarsi nella semplicità di una risata, di una discussione su un fuorigioco, di un bicchiere di vino genuino e una fetta di salame. Fuori, il mondo non va sempre come vorremmo, ma almeno dentro qui, che sia festa. Il figlio Luca lascia il lavoro e sposa la causa del Cursore, insieme a loro c’era il socio “Ciaccio”, noto in città perché gestiva anche il “bar Commercio”, locale in piazza Biade che manteneva un’estetica da caffè di lusso. Al Cursore però il lusso è superfluo, qui il pregio è l’onestà, la sincerità e la spontaneità. Ciaccio rimane per poco, intanto, dopo due anni, arriva anche l’altro figlio, Fabrizio “Icio” con la sua simpatia ed energia, che ora sta dietro ai fornelli ed è prassi per molti clienti recarsi in cucina a salutarlo, come si fa quando si va a casa di qualcuno e si curiosa tra le pentole. Loredana, altra colonna del locale, moglie e madre, custode della famiglia, dice che appena vide il posto disse: “io dentro lì non metterò mai piede” perché c’erano due avventori piuttosto alticci appollaiati sul banco e il tutto le comunicava un disagio palpabile. Ma l’osteria ti conquista, ti entra sotto la pelle, diventa un modo di vivere. E la Lory è sempre là, inamovibile e necessaria. Renato veniva da anni di successo lavorativo presso la Zenith, azienda che lo portava a girare l’Italia a vendere borse e accessori, ed ovviamente ad approfittare per conoscere i vini e la cucina del paese. Per avviare il locale, all’inizio venne reclutato un professionista chiamato da tutti Meno che aveva la piccola debolezza di essere un po’ troppo generoso nell’offrire ai clienti ma che però ha insegnato moltissimo a Luca, che presiede il bancone ormai da 30 anni. Nel ’91 l’ambiente comprendeva solo le prime due sale e si mangiava giusto degli “spuncioti” e poi mortadella e prosciutto tagliati a mano, fino a che nel ’94 con l’acquisizione della doppia licenza di ristorazione si son cominciati a fare due primi e due secondi per poi, pian piano, arrivare ai giorni nostri con un menù completo.

Ma, diciamocelo, al Cursore ci vai si per bere e mangiare, ma soprattutto ci vai perché è un po’ una seconda casa. Lo spirito e l’anima di Renato si rispecchiano dal primo giorno nel suo locale. Un posto interclassista, in cui tutti sono uguali, in cui il titolare d’azienda e il manovale bevono lo stesso vino al banco, fianco a fianco, in cui le partite a carte diventano ovvie battaglie colorite aperte a tutti, in cui i gol della domenica si commentano come fossimo ad un bar sport. Ecco, un altro enorme collante del Cursore: il calcio. Fin dai primissimi giorni si istituisce qui il “Club Biancorosso Andrea Rigodanza” che nel ’94 prese il diploma d’onore. Negli anni d’oro di Guidolin e di Pieraldo Dalle Carbonare, venire al cursore significava incontrare sempre, ma davvero sempre, almeno metà squadra del Lane. Ed il tutto con totale normalità, senza che i tifosi/avventori importunassero i giocatori, perché anch’essi facevano parte di questa grande famiglia allargata, tenuta insieme da valori antichi come il rispetto, l’immediatezza e l’autenticità. E quante feste dopo le vittorie di quegli anni…

Renato nel 1997 subisce un intervento purtroppo molto invasivo che, di fatto, gli impedirà di parlare quasi definitivamente. Intervento che comunque gli salva la vita e non gli toglie il sorriso, la voglia di essere sempre e comunque nella sua osteria. Parlare con Renato, paradossalmente, diventa da allora un’esperienza quasi più intima, più permeata di affetto. La sua voce debolissima e sibilante, bastava per capirsi, per ridere come prima e anche più di prima, perché ridere fa bene, berci sopra anche, e che vada a quel paese sta vita che ci mette continui ostacoli davanti. L’osteria è quel posto dove tutti conoscono il tuo nome, dove puoi non preoccuparti di come sei vestito o del fatto di aver alzato un po’ troppo il gomito. L’osteria, non a caso, propone “cucina casalinga” perché il concetto di casalingo rimanda a locali informali, popolari, con una cucina di sostanza più che di apparenza. Ma anche, semplicemente, a quelli che ci accolgono mettendoci a nostro agio, a prescindere dal tono e dall’impostazione. Le osterie si trovano spessissimo anche nella storia dell’arte. Pensiamo ai “Promessi Sposi” e a come Renzo entri nelle osterie al calare del sole e di come la sosta rappresenti sempre l’epilogo di un’intensa giornata. O le straordinarie poesie di Umberto Saba, o “La Locandiera” di Goldoni. E quanta arte è passata anche al Cursore. Attori, cantanti, comici. E quanti aneddoti. Come quando una sera, tra lo stupore generale, entrò in sala Horst Tappert, niente di meno che l’ispettore Derrick, vestito da ispettore Derrick perché stavano girando qui in zona e quindi ancor più riconoscibile. Il locale, strapieno, si ammutolisce, mentre lo zelante tedesco, chiede un tavolo ma gli dicono che no, al momento non si può. E allora lui, da buon europeo ligio alle regole, si beve un bianco al bancone e poi, quando capisce che l’attesa sarebbe stata troppo lunga, saluta, ringrazia e con educazione se ne va. Perché l’osteria è quel posto dove se sono davvero tutti uguali, allora tutti sono trattati nella stessa maniera, anche se sei una star della tv, ci mancherebbe anche altro. Eppure attaccate ai muri ci sono tutte le foto dei personaggi passati per di qui. Dal mondo del calcio soprattutto, gente come Luis Vinicio, l’immancabile Pieraldo, Arturo Di Napoli, Lamberto Zauli, Mimmo Di Carlo, ma anche splendide eccezioni, come Mario Rigoni Stern, che si muoveva pochissimo dal suo amato altipiano, ma che scese in città per venire proprio a cena qui, o Federico Faggin, uno dei vicentini più importanti di ogni tempo, anche lui appassionato di queste mura e di questo clima famigliare.

Ma il Cursore non è fatto solo dalla gente che ci va ma ha corpo e mente in chi ci lavora e ci ha lavorato in questi 30 anni. Bastano i nomi: Mirco, Christian, Zunga, e Arianna, che oggi è da tantissimo tempo parte integrante del locale, con la sua vivacità contagiosa, la memoria storica di quello che prende ogni cliente e la personalità da donna forte e sempre disponibile. Ci piace pensare che Renato osservi ora tutto dall’alto, insieme al suo amato Andrea, seduti alla tavola della più bella osteria che ci sia. Cin Cin caro Renato, qui si sta facendo il meglio perché sia sempre tutto come quando c’eri tu.

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