Il “dizionario del nordest” di Stefano Allievi, alla ricerca di un modello che non esiste

Lo dice chiaramente già il sottotitolo quale sia questo viaggio etimologico che ci fa compiere l’ultimo lavoro di Stefano Allievi: contributi per l’analisi di un immaginario. Non di una realtà quindi, ma di un luogo che è quasi più mentale che fisico, una terra abitata da gente che crede fortemente nell’unicità della loro storia e del loro presente, a costo di scontrarsi contro una verità non propriamente rosea.

Incontriamo Stefano Allievi a Marostica, nella bellissima chiesetta di San Marco, dove presenta “Dizionario del Nordest”, uscito pochi mesi fa per Ronzani Editore. Allievi è figlio del nordovest, ed è quindi un “foresto” che legge il nordest da esterno anche se da 30 anni è “uno dei nostri”. La sua visione è puntuale e profonda e, ci dice, “è aiutata proprio dal fatto che, sebbene sia veneto ormai da tantissimo tempo, conservo uno sguardo laterale, un piccolo ancorato distacco che mi permette di sondare più a fondo senza remore emotive. Credo fortemente che ogni fenomeno sia analizzato meglio da chi ne è fuori”. E il “fenomeno” nordest, in questo libro viene sviscerato come in pochissime altre pubblicazioni. Allievi compie un serio lavoro sulla parola, nel senso di etimo, perché pur sempre di un dizionario si tratta ed il suo grande valore sta anche nel disegnare un identikit veneto a partire dai significati.

Ma è il veneto o il nordest, il tema del libro? “Quando arrivai qui nei primi anni ’90 si parlava solo di nordest, ma ben presto compresi come in realtà dietro a quell’etichetta si celasse solo il Veneto. Erano gli anni del vero boom del cosiddetto modello nordest”. E qui il professor Allievi sgombra subito il campo da ogni dubbio: “intendiamoci, il modello nordest non esiste e probabilmente non è mai esistito. Ed in ogni caso, più che di modello, si deve parlare di magma, come ben diceva il mio maestro Ilvo Diamanti. Un modello, per essere tale, deve avere fondamenta stabili e la possibilità di essere ripetuto e copiato. Quello che invece è accaduto qui ai tempi dei piccoli imprenditori e delle imprese nate nei garage di casa, era qualcosa che affascinava molto, questo è innegabile, ma era figlio del momento e della contingenza, sebbene sia doveroso legare a quei fasti anche la matrice caratteriale di questo popolo e la sua proverbiale dedizione al lavoro. Ma io sono milanese di nascita e vi assicuro che quello spirito acceso per la fatica e il lavoro è identico anche là. Non è una prerogativa veneta”. Un non modello che secondo il professore è alla lunga pericoloso visto che “la maggior parte delle aziende di quel sistema ha meno di 15 operai e questo significa rischio altissimo di emigrazione o di perdita di lavoro”.

Questo è un libro prezioso e che ogni veneto, che voglia uno specchio sincero davanti, dovrebbe leggere. Certo, ad alcuni può solo far storcere il naso. Non è certo una lettura che può incontrare il plauso dei veneti “tavernicoli” chiusi di mente e di cuore. Nelle pagine esce la ridicolaggine del “qua xe mio!” del campanilismo anche nei quartieri, da cui non usciamo. Del dialetto come lingua che poi lingua unica non è. E poi il problema culturale della chiusura mentale, il concetto di indipendentismo che si scontra contro una regione che non funziona e non è colpa dello stato visto che a fianco abbiamo regioni che vanno meglio e città come Brescia dove gli stipendi sono mediamente più alti. Il veneto degli imprenditori che hanno fatto i schei in tempi d’oro ma non hanno la cultura per capire il valore dei collaboratori. Il veneto delle costanti, petulanti, lamentele… Sono 34 le voci, da “Accoglienza” a “Volontariato”. E quindi scorriamo il dizionario che impietoso ci parla di “Ambiente” ricordandoci il consumo record di suolo, dell'”Attrattività” che è scarsa, visto che esportiamo moltissime persone e giovani soprattutto, dell'”Autonomia” che tutti vorremmo ma per farne cosa? … e poi, gestita da chi? Allievi parla di “Fame” e del Veneto povero e rurale e di “Fatica” come valore esistenziale. Si sofferma su alcuni aspetti che lo colpiscono più di altri come il dialetto, la percentuale di suicidi in fabbrica e la grande propensione al volontariato.

Il libro è amore e dolore, perché potremmo, eccome se potremmo, ma non facciamo; e saremmo, eccome se saremmo, ma non siamo. Il nord est per Stefano Allievi è “retorica e aspirazione” un po’ come l’America. Alla fine si intravede una soluzione, o almeno un consiglio, tra le pagine. “Questa regione investe 3,50 euro a persona in cultura. Una cifra mortificante e ridicola. Da questa regione i giovani vanno via sempre in numero più crescente. Eppure noi ci raccontiamo come fossimo la locomotiva d’Italia. Ma se lo fossimo davvero dovremmo confrontarci con la Calabria o con l’Olanda? Ecco, visto che la risposta è ovvia, direi che le riflessioni sul piano civico e culturale sono chiare conseguenze di questo ragionamento. E allora si investa in cultura!  Letteratura, musica e architettura sono un grande patrimonio che non viene valorizzato. Eppure siamo la regione più turistica d’Italia e con un turismo prettamente culturale. Forse perché non si fanno schei con la cultura, come diceva un ministro anni fa, figuriamoci con l’ignoranza però…”

Aprile 2024

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