Incontriamo l’Avv. Laura Piva, Presidente della Camera Penale Vicentina che anche recentemente ha partecipato ad un apprezzato convegno dedicato al carcere di Vicenza con la presenza di Rita Bernardini.
“L’estate ha segnato un momento di rinnovato interesse per il tema carcere.
Una settimana fa gli avvocati della Camera Penale Vicentina hanno visitato la Casa Circondariale di Vicenza unitamente all’Associazione Nessuno Tocchi Caino e ad alcuni magistrati, nell’ambito del Viaggio della Speranza per monitorare la situazione delle carceri italiane.
Sempre a luglio il Sindaco di Vicenza e l’Assessore alle Politiche Sociali hanno incontrato la Direttrice del Carcere ed è di ieri la notizia dell’interrogazione parlamentare presentata dalla Senatrice Sbrollini al Ministro della Giustizia per sollecitare un’adeguata copertura di personale”.
Creare una attenzione sui temi del carcere, dei carcerati e degli agenti sembra quasi parlare di qualcosa che con la città sembra centrare poco.
“In realtà il carcere per sua natura ha una storia a sé. Ma queste sono occasioni che si inseriscono in un momento virtuoso di consapevolezza della rilevanza sociale di una realtà spesso trascurata.
La giornata dedicata a tale realtà dalla Camera Penale Vicentina è stata intensa, ricca di incontri, confronti e riflessioni che, grazie alla partecipazione della Direttrice del Carcere, del Responsabile della sanità carceraria, della polizia custodiale e del personale giuridico pedagogico, hanno consegnato numeri allarmanti insieme alla consapevolezza che il carcere riguarda tutti noi”.
Come ha trovato la situazione?
“Attualmente risultano ristretti presso la Casa circondariale 337 detenuti in 269 posti regolamentari, ma tale tasso di sovraffollamento si accompagna a una gravissima e ormai cronica carenza di personale: la pianta organica della polizia penitenziaria, a seguito dell’ampliamento della capienza dell’istituto (con la realizzazione di un nuovo padiglione), non è stata aggiornata ed è pertanto parametrata su 137 detenuti. Gli educatori al momento operativi sono 2 a tempo pieno e 1 a tempo parziale, con un rapporto di oltre 100 detenuti a educatore da seguire individualmente”.
Una situazione difficile?
“È chiaro che con questi numeri, l’umanità e la funzione rieducativa della pena rischiano di rimanere principi costituzionali senza alcuna probabilità di effettivo compimento”.
Dunque bisogna intervenire per recuperare valori che altrimenti rischiano di andare perduti?
“Aprire il carcere, sensibilizzare al tema carcere, significa alimentare la consapevolezza che alla detenzione seguirà la liberazione e il ritorno del detenuto alla convivenza sociale: solo una esperienza detentiva che si limiti alla legittima privazione della libertà personale senza diventare afflizione e solo l’accesso a un trattamento personalizzato possono restituire cittadini pronti alla risocializzazione”.
Per usare le parole del Responsabile della sanità penitenziaria dott. Stefano Tolio: “L’omologazione non funziona. Si recupera agendo direttamente sulla persona nel rispetto della storia individuale”.
“Si. In questa prospettiva, alla necessità di assegnare personale qualificato in misura idonea, siamo convinti che si accompagni anche quella di puntare a un sistema sanzionatorio “decarcerizzato”, prevedendo delle forme di risoluzione del conflitto diverse da quelle incentrate sulla privazione della libertà personale”.
UNA NUOVA FORMA DI COLONIALISMO
Dalla storia abbiamo imparato che le “colonie” nell’antichità erano un insieme di cittadini di uno Stato che si stabilivano in