I nuovi nati in provincia di Vicenza sono calati da 8592 (anno 2002) a 5926 (anno 2022). 31 per cento. In venti anni questo è il poco invidiabile traguardo raggiunto. La ricerca sulla denatalità presentata dalla Cisl di Vicenza ci riporta questa fotografia. L’inverno demografico, così viene chiamato, è freddo. Gelido.
Né si intravede una primavera. Gli under 35 sono poco attratti dall’idea di diventare genitori. Uno su cinque non si vede come genitore nei prossimi 15 anni. Senza un ricambio di forze e con un progressivo invecchiamento della popolazione, il sistema sociale, quello previdenziale e sanitario, infatti, rischiano di diventare insostenibili. Questa è la giusta lettura del sindacato.
Dal canto suo il mondo economico ed in particolare quello imprenditoriale temono di non poter mantenere il livello occupazionale a causa della carenza di addetti disponibili. Questo significa l’abbandono di certe attività, la ricollocazione di attività produttive in altre zone più popolose del mondo. O altre scelte ancora. Mancano artigiani, perché i giovani non vogliono fare lavori manuali. Ma cominciano a mancare proprio i giovani. Ci sono motivazioni sociologiche alle spalle di questo impoverimento genitoriale. Altre priorità, alcuni egoismi, diverse prospettive di vita, le relazioni sempre più spesso a tempo. Non solo i contratti a tempo indeterminato che sono difficili da raggiungere, anche le relazioni sentimentali sembrano sempre più precarie.
Certamente l’aspetto economico è un elemento altamente dissuasivo per persone che forse cercano il benessere personale prima di ogni altra cosa. La gestione dei tempi, la paura di non poter tenere il lavoro lo sconforto nel non poter fare carriera. I giovani e le donne in particolare hanno bisogno di conciliare i tempi. Si lavora per vivere. Non il contrario. C’è stato un periodo in cui i concetti erano capovolti. Oggi non è così. Bisogna prenderne atto. Non c’entra nulla il giudizio superficiale di qualcuno che dice che “i giovani non hanno voglia di lavorare”. Non è così. Semplicemente hanno l’obiettivo di vivere una vita equilibrata e non compressa. Un atteggiamento ragionevole. Se ci facciamo tutti un esame di coscienza, sacrifici o non sacrifici, in tantissimi l’abbiamo pensata per anni anche noi. Tutte preoccupazioni che sono presenti con varie percentuali, ma ognuna di queste è sufficiente da sola per decidere di non avere figli.
Ne parlavano in Camera di Commercio al Cuoa un mese fa. Pagnoncelli presentò uno spaccato complesso della società italiana che si sovrappone nella sostanza, o almeno nelle conclusioni, alla ricerca presentata da Stefano Dal Prà Caputo e da Francesco Peron. Le bocciature dei giovani riguardano un po’ tutto lo stato sociale esistente. Non vengono bocciati solo gli aiuti economici – ad esempio l’assegno unico è valutato negativamente dalla metà degli intervistati – ma anche altri strumenti al servizio delle famiglie – gli asili nido riscontrano solo il 25 % li valuta positivi o molto positivi sono considerati insufficienti. Si salva il doposcuola ma la ricerca di una tata è un cruccio per oltre il 70% degli intervistati. Nell’ampio articolo di un quotidiano locale si ritrova tutta la preoccupazione del segretario provinciale di Cisl Raffaele Consiglio. Su una cosa sindacati e industriali sembrano d’accordo a prescindere: l’inverno demografico spaventa e sembra irreversibile.