Il quartetto Goldberg a Villa Ghislanzoni Curti – La recensione

Uno dei più bei film sulla musica si chiama “Una fragile armonia” e parla di un quartetto d’archi famoso in tutto il mondo, pluripremiato, con decenni di concerti alle spalle, che è improvvisamente preda di malumori e crisi serie al proprio interno. Fare musica è, di fatto, condividere moltissimo. Spazi, viaggi, successi e insuccessi, sacrifici, ore ed ore di prove, cadute e naturali screzi personali, discussioni caratteriali. Nel film, quando il personaggio interpretato da Christopher Walken capisce di avere il parkinson, il quartetto si trova inaspettatamente costretto a fare i conti con l’imminente prospettiva della perdita del più anziano dei membri. I quattro musicisti si trovano così a riconsiderare i loro rapporti sul piano professionale e personale. Pochi altri film raccontano cosa vuol dire fare musica insieme in questo modo. Parliamo di musica colta, quindi di qualcosa che sconvolge i sensi, percuote l’intelletto, mette a dura prova la resistenza nervosa di fronte all’abisso della creazione pura di una delle forme d’arte (LA forma d’arte?) più vicine all’essenza dell’esistenza stessa.

Quel quartetto (in cui il mai troppo ricordato Philip Seymour Hoffman interpretava il secondo violino), inizia a sfaldarsi mentre è impegnato a preparare l’esecuzione dell’opera 131 di Beethoven, uno dei suoi ultimi, inarrivabili, geniali quartetti. Quello che fece il titano di Bonn in quegli ultimi anni è ancora oggi sconvolgente per quanto moderna, inaudita e clamorosa fosse quella musica. Ludwig aveva già composto capolavori che dureranno fino alla fine dei tempi, quando arrivò a creare questi ultimi quartetti. Aveva alla spalle le 9 sinfonie che cambiarono il mondo, aveva la messa solenne che è un everest per molti ancora inesplorabile, 32 sonate per piano tra cui alcune delle pagine più intense e mozzafiato dell’intera storia della musica, 5 concerti per pianoforte con gli ultimi due soprattutto di un livello quasi non umano, e alla fine dei suoi anni decide di tornare al quartetto, questa forma classica partorita dal maestro Haydn, che però Beethoven, puntualmente, reinventa. Dopo 200 anni non ci sono ancora parole per descrivere l’op. 130, che originariamente culminava nella tensione sovrumana della Grande Fuga, supremo, lucido, vertiginoso delirio, tanto sconvolgente e trascendentale, tanto libera e ricercata da indurre lo stesso autore a pubblicarla a parte come op. 133. Ma quello che a noi interessa da vicino è il lavoro successivo: l’op. 131, che mette in discussione la natura stessa del quartetto come genere: in esso ciascuno dei sette movimenti confluisce nel successivo in uno straordinario lavoro di logica interna. Un quartetto che rappresenta, per qualsiasi ensemble, una prova suprema e un punto di arrivo decisivo.

Questa lunga introduzione per dire che al Quartetto Goldberg vanno i nostri sinceri applausi ma non la nostra totale approvazione per quanto sentito domenica a Villa Ghislanzoni Curti. I 4 musicisti, tutti molto giovani, si sono formati come quartetto giusto due anni fa, e in 24 mesi arrivare alla totale armonia umana e tecnica che serve per un’opera così devastante, è forse al di là della loro attuale portata. Tra un po’ di anni siamo sicuri che l’impresa potrà essere realizzata appieno ma ora abbiamo sentito un po’ troppe sbavature. Il tempo leggermente troppo veloce, le pause tra i movimenti eccessivamente presenti, l’irruenza a volte sgrammaticata del violoncello, ma soprattutto l’evidente e lodevolissima capacità tecnica che si scontrava con una certa rigidità nell’esposizione lirica. È stata una 131 (quartetto n° 14) da “compitino” ma con poca anima. E pensare che il Quartettsatz di Schubert e il Langsamer Satz di Webern che avevano aperto il programma, erano stati più che incoraggianti, sebbene anche là si sentisse ancora un fluire acerbo soprattutto laddove occorre puntare sull’interpretazione e sul sentimento.

Però che meraviglia un pomeriggio in questa villa, e che vero lusso sentire le note del sommo risuonare tra i fiori e le colonne settecentesche. La società del quartetto è un vero orgoglio e patrimonio vicentino e negli anni ha portato da noi alcuni tra i nomi dell’olimpo musicale mondiale. Solo quest’anno possiamo ricordare geni come Buchbinder o Greilsammer o quella serata incredibile e commovente con le meravigliose sorelle Labèque, forse il concerto dell’anno. Quindi grazie davvero alla SDQ, e torneremo certamente a risentire il Quartetto Goldberg, che come un frutto dolce, non può che migliorare col tempo.

Aprile 2024

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