“In Palladio si trovano combinate tutte le proprietà, le doti, e le qualità, che richiede la buona Architettura, cioè la Solidità, la Comodità, la Decenza, l’Ordine, la Disposizione, la Proporzione, e costantemente la desiderabile e pregiabile Bellezza” Ottavio Bertotti Scamozzi
Non si contano le volte in cui ci siamo detti, o ci hanno detto, che Vicenza dovrebbe essere la città dell’architettura, che Palladio, o meglio, il “brand” Palladio, dovrebbe essere nel mondo il veicolo per identificare con esso la città tutta. Quante volte ci siamo beati di essere città Unesco per l’opera sublime del “nostro” architetto. Ed è tutto vero e tutto giusto. Vicenza è città nobile, di elegantissime proporzioni, forgiata dal lavoro e dalle “invenzioni” rinascimentali di famiglie che hanno segnato la storia della città e del lavoro rivoluzionario di Andrea di Pietro della Gondola. Dovremmo custodire il nostro tesoro in modo prezioso e accurato. Ma non si parla solo di conservazione, e qui sta il punto. Una città veramente votata all’architettura, infatti, deve rispettare il suo passato, elevare ad icona la sua peculiare storia artistica ma al contempo sviluppare un approccio laboratoriale nel presente e, soprattutto, nel futuro. Qui da noi, in sostanza, l’architettura e i monumenti tutti, dovrebbero rappresentare esempi virtuosi di “bellezza” e di ricerca estetica ed architettonica. Accade così nelle città importanti. Accanto alla tradizione, si sviluppa innovazione, e le due parti dialogano sul medesimo piano di dignità valoriale. Ma qui pare non lo si capisca, e mica solo da oggi.
Rapido elenco delle brutture che feriscono l’identità palladiana. La “Gotham City” altresì chiamata Tribunale e la zona circostante. Per altro a due passi da La Rotonda. Il monumento ai Bersaglieri in Largo Goethe, la funerea lapide che sorregge il busto di Neri Pozza scolpito da Nereo Quagliato in piazzetta San Paolo, il grappolo d’uva nella rotatoria di Ospedaletto, e potremmo dire anche del Teatro Comunale, che, al netto dell’importanza e del successo di presenze, non è certo un capolavoro architettonico, per lo meno dal di fuori. E sorvoliamo sul degrado generale, sui bivacchi sotto i portici che conducono al santuario, sulla situazione di diversi altri edifici che andrebbero recuperati, perché il momento è quello che è e non ce la sentiamo di dare colpe gratuitamente. Rimane il fatto che, da sempre, Vicenza andrebbe tenuta da conto in maniera ben più attenta.
E arriviamo alla cronaca. Si chiamerà “Penna con il mondo” il monumento di dimensioni decisamente importanti, che troneggerà di fronte alla stazione in viale Roma e che è dedicato al centenario degli Alpini di Vicenza. Autore l’arzignanese Giuliano Negretto, scelto nel 2021 da una commissione voluta dall’allora presidente del’Ana Luciano Cherobin, di cui facevano parte anche l’artista Galliano Rosset e l’assessore Marco Zocca. La spesa è di 30 milia euro che giungono dalla Provincia, da Agsm Aim e da Svt. Il problema è che si tratta di un’opera semplicemente brutta. Molto brutta. Il progetto di Negretto prevede l’installazione di un monumento in acciaio inox, formato dal pianeta terra, circondato da una fascia, e da un’imponente penna alpina. L’opera verrà collocata su una base in acciaio cor-ten dove scorrerà dell’acqua. Chi esce dalla stazione avrà quindi questa immagine di benvenuto. Aveva ragione il professor Giulianati a sostenere come sarebbe stato doveroso un monumento a Goffredo Parise in quel luogo, lui, il grandissimo scrittore vicentino, simbolo anche del viaggio. Ha ragione l’artista Silvio Lacasella a dire che quel monumento farebbe piangere Palladio e a parlare della penna alta cinque metri come di un ripetitore. Ha ragione Vittorio Sgarbi a dire che l’opera “finisce per essere una burla, una caricatura degli alpini, ed è intollerabile”. Molto probabile non si possa fare nulla ma noi ci proviamo lo stesso a lanciare l’appello per un monumento che “non s’ha da fare”!