“La voix humaine” ha chiuso il ciclo dei classici 2022. La recensione.

L’ultimo tassello nel mosaico di un Ciclo dei Classici, in cui il senso della sfida e la riflessione sull’eroismo hanno permeato gli appuntamenti con una coerenza interna e una proposta di riflessione intellettuale che ha pochi precedenti negli anni e nei decenni qui al Teatro Olimpico. A Giancarlo Marinelli va dato atto di aver trasformato la rassegna in un percorso narrativo, calibrando stili e fruizioni, offrendo un’idea di continuità oggettiva che nell’edizione di quest’anno ha raggiunto il suo culmine. L’eroe santo Thomas Becket che sfida Enrico II, Prometeo che si ritrova punito dagli dei per aver concesso troppo all’uomo, Filottete che è lo scandalo della malattia sbattuto in faccia all’umanità che rifiuta il suo lato oscuro. Tutto ci parla di contrasto estremo, di uomini/eroi in cui mito e realtà confluiscono, che si armano di coraggio sconfinato e di stoica accettazione. Ma soffrono, colgono il dolore a piene mani dalla fonte stessa del dolore e ne bevono come fosse pozione di eterna forza. Così come fa la donna abbandonata in Cocteau, che rappresenta l’apoteosi di questo ciclo, in cui la sfida eroica è tutta verso se stessi. Non tragga in inganno la donna che subisce, intesa come tale, qui siamo di fronte al male di vivere universale, in cui uomo e donna sono una cosa sola dentro alle vertigini insopportabili del male d’amore, che è malattia esistenziale e ridiscussione di ogni sistema. L’eroismo del suicida, anche solo simbolico, della consapevolezza di una strada solitaria dopo molto cammino comune. Il senso della vita nel pensiero che siamo tutti soli e cerchiamo di non esserlo finché, soli, non ritorniamo. Sophie Duez è stata semplicemente memorabile e questa “Voix Humaine” olimpica la rivediamo in 4 quadri, 4 capitoli, 4 titoli della stessa esposizione della sofferenza.

1- LA VOCE UMANA
La voce umana non ama, la voce umana vuole. La voce umana prega, lamenta la sua stessa esistenza, si contorce in singhiozzi imploranti. La voce umana è malferma, non arriva alla chiarezza, si fraintende, incespica sulle pause. La voce umana è carne lacerata, si traveste da parola ma in realtà è pianto. La voce umana irrita, è inutilmente chiassosa, rompe il silenzio come il rumore rompe il suono. La voce umana è necessaria all’uomo ma non alle sue relazioni, è suppellettile egotico, è frustrazione incomunicante. La voce umana è la nostra che noi non vogliamo ascoltare, come da bambini quando per la prima volta la sentiamo registrata e diciamo “ma sono io davvero questo?”. Eccola, serpe strisciante, diavolo tentatore e angelo tentato, la voce che dà voce a quello che non vorremmo comunicare. La voce umana, quando esce dall’uomo, rovina l’uomo, con la promessa dell’ascolto.

2- LA MORTE
Lui non c’è e nel suo non esserci si dipana la sua presenza. Lui non è nella casa, non è con lei, non è con il suo cane ma non è nemmeno dove si pensa possa essere, non è nella casa sua, di lui, da cui il maggiordomo proferisce frasi di ridicola circostanza. Lui non c’è nello spazio, sulla scena, all’orizzonte, nel futuro. Lui non c’è come uomo morto smette di esserci. Abbandonare qualcosa è voltare la pagina marmorea che non si voltava prima perché troppo pesante. Lasciare è lasciarsi, uccidersi un po’. E questa morte languida e romantica diventa allora l’agonia del domani immaginato che non potrà più essere tale. Diventa la veglia funebre per un “noi” che ora si tramuta in “io” e la morte si sconta con la solitudine, perché soli si cade e insieme ci si alza.

3- IL TELEFONO
La linea è disturbata. All’altro capo non c’è sempre chi vogliamo. L’amore, e quindi il diritto alla felicità, è lastricato di interferenze. L’apparecchio è un cuore, una bocca da baciare, un cuscino su cui giacere, un freddo pezzo di plastica da gettare contro la parete del pianto perenne. Noi inebetiti dal nostro telefono che ci fa da balia, siamo spettatori complici del disastro umano dentro alla comunicazione del nulla se non del nostro io bisognoso di consolazione. “Pronto… pronto… pronto”. Eppure è un monologo il suo, fors’anche il nostro. Quando si parla, con chi si parla? Non certo con la metafisica dei sentimenti, che mai ci risponderebbe al telefono. Parliamo con i fatti, discutendo dei fatti, ma sentiamo dentro come un afflato di tragedia che nessun apparecchio telefonico trasmetterà mai senza il crepitìo del rumore di fondo tipico di un cuore in subbuglio.

4- LASCIAMI DIVENTARE L’OMBRA DELLA TUA OMBRA, L’OMBRA DELLA TUA MANO, L’OMBRA DEL TUO CANE
“Tutte le lettere d’amore sono ridicole, non sarebbero lettere d’amore se non fossero ridicole” scriveva Pessoa decifrando l’estetica stessa dell’amore romantico contemporaneo, o per meglio dire della critica all’amore romantico fatta dalla contemporaneità. In Cocteau la tragedia d’amore è più vera del vero e non si affanna a smentire posizioni ottocentesche o persino operistiche sul dramma dei sentimenti. Tutto è viscerale, fin troppo, ed è un troppo che fa parte sostanziale del testo non scritto. La supplica “non lasciarmi” è sempre simile al “non uccidermi” del condannato a morte. Ma la sentenza, e lo sanno tutti, è già stata emessa. E indietro non si torna. E non basta nessuna promessa di costruire “regni di pioggia venuti da paesi in cui non piove mai”. Lo sapeva Jacques Brel, lo sappiamo noi che eppure partecipiamo alla sofferenza come fosse risolvibile.

QUINDI
Voce, morte, comunicazione e dolore. Unite nel profondo della modernità che Cocteau viveva, calate in un uomo smarrito nel suo tempo e che ora rimane tale. Un uomo, una donna, che piange la mancata corrispondenza con uomini e donne di oggi, intrappolato in un eroismo non cercato ma trovato, di fronte allo sgomento di essere così soli. Forse l’insegnamento di questo Ciclo di Classici è che la connessione con gli altri è più che mai fondamentale e che nessun eroe sopravvive alla sua missione se non la fa diventare la missione di tutti. Sipario.

Maggio 2024

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