La metamorfosi di una professione (la riforma Gentile)

Questo è il primo di tre articoli sulla scuola attraverso interviste a Giuliano Parodi.

Allo scoccare dei cento anni dalla presentazione, parliamo della riforma Gentile, con Giuliano Parodi, insegnante di filosofia per molti anni nei licei vicentini, studioso e promotore di importanti proposte di riforma della scuola italiana. La riforma del 1923 introdusse grandi innovazioni nella scuola elementare. Fu una riforma liberale, con caratteristiche apertamente conservatrici, che rafforzò il carattere selettivo dell’organizzazione scolastica. Fu caratterizzata da una sottovalutazione della cultura scientifica privilegiando il carattere umanistico della cultura.

Come era la situazione scolastica, e la figura dell’insegnante, precedente alla riforma?

Sappiamo poco sulla figura dell’insegnante prima della Riforma Gentile. L’alfabetizzazione del Paese, vale a dire l’obbligo scolastico, la scuola popolare previsti dalla Legge Coppino, del 1877, aveva introdotto alcune novità rispetto alla legge Casati. Elevando da due a tre gli anni di obbligo scolastico per fanciulli e fanciulle, imponendo alla fine del biennio un anno di corso serale o festivo,  introdusse delle sanzioni per le famiglie che disattendevano all’obbligo. L’attuazione di questa legge fu comunque oltremodo difficile e conobbe un’applicazione a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Il cambio di organizzazione pensata da Gentile dipendeva dalla preparazione dei maestri. Accanto al rifacimento completo dell’impianto generale e della programmazione disciplinare, Gentile si occupò con particolare cura della figura professionale dell’insegnante a partire dal maestro elementare che fu profondamente rinnovata e valorizzata. Pensare di rivedere di sana pianta l’intera struttura dell’educazione nazionale senza tener conto dello stato degli addetti all’insegnamento rischiava di fallire dal principio, mentre occorreva guardare alla scuola di base e alla sua riforma a partire dalla formazione del maestro che doveva essere culturalmente solida.

Cambiare la scuola senza cambiare gli insegnati fu difficile allora come è difficile oggi…

È noto come Gentile si occupò direttamente dell’Istituto Magistrale  che doveva formare le nuove maestre ed i nuovi maestri.  Lo Stato – che nella visione gentiliana sfiorava la sacralizzazione – doveva farsi carico dell’educazione nazionale di massa attraverso un rafforzamento dello spirito morale e civile delle nuove generazioni per mezzo di un ministro, il nuovo maestro, all’altezza della situazione. In questa logica, l’Istituto Magistrale, assumeva i tratti appena moderati del Liceo Classico – la scuola pilota per Gentile – e forniva l’insegnante elementare di una solida cultura nozionistica. Dunque il maestro non era chiamato ad una visione critica e autonoma della realtà e della cultura, riservata alla classi dirigenti che uscivano dai licei. Aveva il compito di trasmettere nozioni. A partire dagli anni ’30, maestri e maestre diventano figure fondamentali della società italiana, il tramite istituzionale fra popolo e classi dirigenti.

Giovanni Gentile

Nella visione sostanzialmente ottocentesca di Gentile, la gran massa degli italiani dovevano ragionevolmente completare la loro educazione nell’arco dei cinque anni dell’obbligo (eventualmente perfezionati dalla scuola complementare di avviamento al lavoro) e questo semplice fatto rendeva la figura dell’insegnante elementare strategica e fondamentale perché era a lui che veniva affidata di fatto la nazione del futuro e da lui dipendeva il profilo che si intendeva prefigurare per il cittadino medio. Da qui nasce l’impostazione a ciclo chiuso dell’educazione di base che doveva fornire un bagaglio limitato ma completo di conoscenze, competenze e abilità. Dobbiamo tenere conto che la scuola popolare non era propedeutica a nulla. Essa rappresentava il pacchetto educativo previsto per la massa degli italiani. Come ogni riformatore che deve fare i conti con lo stato di fatto del campo da riformare, Gentile si lamenta del personale di cui la scuola dispone. Anche la secondaria,  nelle sue varie articolazioni e nella distinzione fra inferiori e superiori (la scuola media farà la sua comparsa solo con la Carta della Scuola nel 1939), secondo gentile doveva ripensare alla figura dell’insegnante, irrobustendolo culturalmente, dandogli uno status adeguato, non molto distante – soprattutto nei licei – dal personale universitario, e, soprattutto, coagulandolo in un “corpo insegnante” cosciente di sé e del suo ruolo centrale nello Stato. Questo cambiamento richiederà del tempo e non è quindi bizzarro ritenere che prenderà effettivamente corpo solo nei primi dieci/quindici anni dopo la guerra.

Una riforma a suo modo ambiziosa, dunque che scontava tuttavia il carattere dichiaratamente antimoderno che la caratterizzava…

Per molti versi è così. Non è un caso che questo aspetto si evidenzi già con l’allontanamento di Gentile dal ministero dell’Educazione Nazionale, affidato al più malleabile De Vecchi. Era quindi inevitabile che, superati i primi difficili lustri del dopoguerra e avviatosi celermente il boom economico la scuola italiana venisse successivamente riformata in chiave funzionalista, dovendo rispondere alle nuove esigenze di un Paese che si affacciava definitivamente all’industrialismo.

Giuliano Parodi (Trieste 1955), vicentino di adozione, già docente di storia e filosofia al liceo, dottore di ricerca in Filosofia con tesi sul liberalsocialismo di Guido Calogero. Ha pubblicato un manuale di filosofia, “Il profilo di Argomentare. La filosofia dalle origini al Novecento”, B. Mondadori, 2003. Socialista in gioventù, quindi iscritto al Partito Democratico dalla sua fondazione, per il quale è stato impegnato negli organi direttivi provinciali e regionali, collabora a “Mondoperario”, la rivista fondata da Nenni nel 1947 che ha ripreso la pubblicazione nel 2009. Si occupa di critica politica riguardante partiti e istituzioni in Italia, politica europea e politica scolastica.

Aprile 2024

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