Arcangelo Sassolino è uno dei più grandi artisti italiani viventi. La sua incredibile capacità di cogliere i collegamenti tra umanità e tecnologia e farne ibridi e metafore che diventano monito e specchio, è al contempo geniale e disturbante. Non può mai lasciare indifferenti l’arte di Sassolino. Quel che stimola è un’iniziale reazione giocosa, quasi di stupore bambinesco. Ma se scavi appena un po’, cogli la simbologia e con essa la tua stessa persona messa a nudo. Quanti siano in grado di andare oltre il primo impatto non lo sappiamo ma, in fondo, il senso delle opere di Sassolino si basa anche su questa aleatorietà della comprensione. Sono creazioni che stanno lì, in apparente esistenza libera ed autonoma. Ma come un albero, un edificio o un paesaggio urbano, possono essere analizzati e capiti per una loro natura viscerale ed intrinseca, che a volte stravolge la percezione istantanea. I suoi sono corpi cronemberghiani, miscelati di virus e di potenza. Un “man machine” di kraftwerkiana memoria, che pulsa beat post industriali nella natura malata. Arcangelo crea un dispositivo e lo lascia vivere. Per lui “la tecnologia è il medium con il quale arrivare a parlare dell’essere umano, della sua condizione fragile, della sua instabilità”. C’è un senso di disastro imminente, di fallimento, di assoluta precarietà. Ma pure di bellezza, di grandiosità estetica, di un’esagerata sovraesposizione spettacolare del conflitto. Quel che più affascina, forse, del lavoro di Sassolino, è che mille parole non valgono quanto invece la visione dell’opera dal vero. Si parla d’arte per far filosofia e sociologia sempre di più, ma l’arte di questo grande artista vicentino ha parole proprie e una forza fisica tale, che il suo prender vita giustifica e spiega in pieno il suo essere.
Fino al 29 Luglio, presso lo splendido spazio di Atipografia, rimarrà aperta una personale di Arcangelo Sassolino intitolata “Il vuoto senza misura”. Un percorso concettuale negli spazi della galleria, che ha come protagonista il vuoto. Materiale invisibile che è senza misura ma che permette ogni tipo di realizzazione. La riflessione si sviluppa attraverso quattro opere. Sono quattro lavori che, come ci ha abituato l’artista, si fondano su una serie di macchine e materiali che mettono alla prova le leggi fisiche e meccaniche, creando un’atmosfera di tensione e di incanto. Le opere che Arcangelo Sassolino espone ad Atipografia sono delle sculture performative che interrogano tutti noi sulla possibilità di resistenza, sul tempo della vita, il tempo dei frantumi e il tempo della scomparsa.
All’esterno ci accoglie “Il vuoto senza misura”, concepita apposta per questo luogo. Si tratta di un enorme ventilatore che produce la forza di grado 12, ovvero il vento di un uragano. Una volta azionato, il dispositivo sprigiona una forza incredibile, tanto che, se si prova a resistere di fronte all’aria emanata, a stento si rimane in piedi e si viene spinti indietro. Ovviamente il grado 12 non viene raggiunto altrimenti
gli effetti sarebbero catastrofici ma il punto è che siamo di fronte ad un primo approccio critico verso il concetto di gravità che qui ha la meglio.
Proseguendo si arriva a “Marcus” (2017): uno pneumatico gonfio schiacciato da una struttura a ferro di cavallo. Le tensioni che si producono tra i due oggetti creano uno stato di allarme, di disorientamento, di precarietà emotiva.
Nello stupendo spazio principale all’interno trova invece spazio “Anche sì anche no” : una scultura che nasce site-specific per la mostra in Atipografia ed è composta da un’incudine da 290 chili appoggiata su una lastra di vetro sospesa, incurvata dal peso che la abbassa. L’inquietudine che l’opera sprigiona ci fa pensare a quando la lastra si spezzerà e al paesaggio di frantumi che produrrà: il visitatore sembra bloccarsi sull’uscio di un destino probabile.
Quarta opera è “Newton dice che…” (2021) e si compone di un mosaico di lastre di vetro tagliate a diamante tenute insieme da una serie di morsetti. Questi ultimi sembrano svolgere un compito ambiguo: aiutano le lastre a non cadere o le premono fino a frantumarle? E quanto possono resistere queste lastre?
Il trait d’union della mostra è l’aria. Il fortissimo getto del ventilatore, l’aria pressata nello pneumatico, i freddi getti d’aria che solidificano il vetro trasformandolo nel vetro temperato utilizzato nel grande tavolo e nelle lastre lavorate con il diamante. È l’aria, come forza e materia invisibile ma presente, l’oggetto di indagine di questa mostra.
Anche se, alla fine, il conflitto che esce da queste opere ci spinge a riflettere su come la nostra vita sia sempre al limite tra l’esserci e non. Noi siamo i materiali di Arcangelo. La riflessione è su noi stessi.