I racconti di Natale di ViCult – N°6

Natale e’ la strada illuminata…

Il medico sedeva alla scrivania, il suo sguardo rimbalzava tra i due genitori seduti di fronte a lui. Portava un
camice bianco immacolato, le mani appoggiate sul tavolo tremavano leggermente, si capiva dai fogli che
teneva in mano. Le sue ultime parole avevano creato un silenzio quasi surreale, eppure quei pensieri e
quelle parole, intrappolandosi nella testa dei presenti, facevano un rumore assordante e pesavano come
un macigno. Odiava quelle situazioni che lo costringevano ad essere latore di certe diagnosi che suonavano
come sentenze. Almeno avesse potuto dare una speranza di un qualcosa, ma non era così. Aveva di nuovo
frantumato la felicità di un padre e di una madre, genitori alla loro prima figlia , colmi di gioia e di
aspettative e lui , aveva preso quel loro futuro e in una manciata di secondi, lo aveva sbriciolato
trasformandolo in un qualcosa di cupo e oscuro, perche’ lo sapeva bene come sarebbe cambiato tutto
nella vita di quella famiglia, e lui non poteva farci nulla. Lui, non poteva mai farci nulla.
Giulia si girò a guardare il marito seduto al suo fianco. Stava fissando il medico con un’espressione
indecifrabile. Se ne stava là immobile, paralizzato come una statua … se in quel momento qualcuno si fosse
preso la briga di spolverarlo , non se ne sarebbe manco accorto. Distolse lo sguardo da Matteo e guardò
fuori dalla finestra. Il Natale era alle porte e il cielo era di quel grigio che chiamava neve. Le tempie le
pulsavano fortemente, le stava venendo un mal di testa cane. I pensieri si ammassavano, le sembrava di
vivere in un incubo. –Ma cosa stava dicendo quel medico? – pensò Giulia – La parola sindrome rara le
rimbombava in testa e le tempie, pulsavano. Guardò il medico e ruppe il silenzio -Ma scusi Dottore, non
ho capito, lei sta dicendo che nostra figlia ha una sindrome rara? – Il medico annuì. – Ma non abbiamo
nessuno in famiglia … neanche tra nonni e bisnonni – mormorò Giulia. -Capisco il vostro sgomento, e le
confermo anche che dal responso degli esami fatti su di voi non sono emersi motivi genetici o ereditari,
quindi presumiamo che la duplicazione del cromosoma sia avvenuta al momento del concepimento. E’
piuttosto insolito , ma succede –disse con delicatezza il medico. – Ed e’ per questo che parla appena? –
chiese il padre risvegliatosi dal torpore. – Probabilmente si. I sintomi presenti in vostra figlia possono
risultare la conseguenza di questa sindrome. Purtroppo ad oggi, non ci e’ dato sapere come evolverà in
futuro perchè non abbiamo trovato nulla in letteratura , ma naturalmente terremo tutto costantemente
monitorato. – Il medico si fermò un attimo per dare il tempo ai genitori di interiorizzare le sue parole , e
aggiunse – L’unica cosa da fare ora è continuare con la riabilitazione che state già facendo . Si fermò di
nuovo. Silenzio. Il medico riprese – Ma c’è un’altra questione di cui vorrei parlarvi – Si interruppe, si
schiarì la voce, mise i fogli sul tavolo e incrociando le dita proseguì guardando prima il padre; poi si fermò
sulla madre che ricambiò preoccupata. – Abbiamo notato, durante le sedute di osservazione, che la piccola
Serena cerca molto la sua immagine riflessa. Lo fa ovunque, dallo specchio alle pentole, quando gioca .
Nello specchiarsi ci siamo accorti che comunica, ma non comunica solo con la sua immagine riflessa.
Durante la valutazione e’ emerso più di una volta questo aspetto. Abbiamo visionato molte volte i video
delle registrazioni e siamo arrivati alla conclusione che Serena si sia creata degli amici immaginari .
Pensiamo che questo sia successo perché non parlando e non riuscendo a farsi capire dagli altri bambini,
abbia voluto crearseli lei come più le piaceva . Nel suo mondo – continuò il medico, – gli amici immaginari
che ha creato parlano con lei, giocano insieme , comunicano e si capiscono. Può essere una fase transitoria
certo, ma il consiglio che vi diamo è di cercare di non lasciarla mai da sola davanti a uno specchio o una
superficie specchiabile. Cercate di tenerla sempre su un piano reale, concreto. Fatele sentire la vostra
presenza, basta anche solo appoggiarle la mano sulla spalla, oppure inserirsi nell’immagine riflessa. In
questo modo si mantiene un contatto con la realtà.

Sarò sincero Signori Carlisi – concluse il medico – il rischio è che Serena diventi anche lei un personaggio
immaginario perdendo così la sua identità. Se questo dovesse succedere sarà molto difficile riportarla
indietro.
Quando tornarono a casa erano ormai le 13 passate. Matteo l’aveva accompagnata fino all’ingresso e poi se
l’era svignata al lavoro. Doveva prepararsi per una riunione che avrebbe avuto nel pomeriggio – Non so a
che ora torno- le disse. – Beh come al solito – stava per ribattere Giulia ma questa volta lasciò perdere e
rispose solo con un laconico – ok – . Non avevano scambiato una parola durante il viaggio di ritorno.
Ognuno era rimasto immerso nei propri pensieri e Giulia non aveva di certo incentivato alcun discorso,
preferendo rimanere sprofondata nel sedile della macchina, con la testa appoggiata al vetro del finestrino.
L’ascensore era ancora fuori servizio e dopo 4 rampe di scale entrò a casa con il fiatone e le gambe che le
bruciavano…doveva tornare a fare sport – si ripromise-. Lasciò cadere la borsa sopra alla sedia colma di
posta , bollette e pubblicità più che altro e si tolse le scarpe. La casa era piccola ma ben arredata e anche il
contesto non era male, un po’ fuori dal centro di Vicenza in una zona verdeggiante. La palazzina, degli
anni 60 ben tenuta, era di trenta appartamenti, tutta gente tranquilla, principalmente famiglie e anziani .
Non era un appartamento molto grande, ma lei ci era affezionata perchè era appartenuto ai suoi nonni
materni. In ingresso aveva sistemato, nel piccolo atrio, un tavolino e una sedia, quella piena di posta.
Attraverso un corridoio si arrivava nelle camere da letto, due per la precisione una matrimoniale e una
cameretta dove dormiva Serena. Di fronte alla stanza matrimoniale c’era il bagno, con annesso
sgabuzzino, poi la sala da pranzo e la cucina da dove si accedeva a un terrazzo spazioso quanto bastava,
per farci stare un tavolo da sfruttare nelle giornate estive. Gettò il cappotto sopra il letto della sua camera,
e finalmente andò in bagno. Aveva la vescica che le scoppiava, poi si diresse in cucina. Era sfinita , il mal di
testa sembrava aver messo radici , aveva lo stomaco chiuso e non riuscì a mangiare nulla. Prese la pasta
avanzata dalla sera prima e buttò via tutto nel secchio dell’umido. Guardò l’orologio appeso sopra il frigo,
segnava le 14.30 aveva un paio d’ore per riposarsi prima di andare a prendere Serena a scuola.
Arrivò 5 minuti prima dell’uscita dei ragazzi mentre due assistenti scolastiche stavano aprendo il massiccio
portone in legno. Vide all’interno una maestra in procinto di allineare una classe in attesa del suono della
campanella. Gli alunni, in fila per due schiamazzavano allegri , alcuni si tenevano per mano, altri
scherzavano spintonandosi. -Ragazzi silenzio ho detto! -sbottò la maestra esasperata. -Si zittirono per
qualche secondo, poi il vociare riprese lentamente fino a tornare come prima. – Com’erano belli- pensò
Giulia guardando con tenerezza le due ragazzine in prima fila, con lunghe trecce che incorniciavano i visi
paffuti, e altri con berretti e sciarpe colorate per proteggersi dal freddo. Al suono della campanella si
alzarono le grida festose della liberazione avvenuta, e quella marea di ragazzini colorati invasero il cortile
correndo dai genitori che li aspettavano nel piazzale davanti alla scuola. Uscirono tutti, tranne Serena. –
Ecco ci risiamo – pensò Giulia – come al solito sua figlia e l’insegnante di sostegno erano le ultime ad
arrivare. Aveva insistito più di una volta perchè uscisse insieme ai suoi compagni, ma era ormai evidente
che non poteva essere così visto che ogni giorno ce n’era una. Giulia si sentì salire una certa ansia, c’era da
aspettarsi di tutto da Serena. A volte usciva dalla scuola felice, a volte urlando, a volte si puntava come un
mulo e doveva prenderla in braccio per riuscire a tornare a casa, impresa ardua dato che ormai aveva sei
anni, ed era alta per la sua età. Dopo circa una quarto d’ora di attesa vide la maestra arrivare da dietro un
corridoio tenendo per mano Serena anzi… forse sarebbe piu’ corretto dire …trascinando Serena. Una
mamma superò le due camminando rapida verso l’uscita stringendo a sè una ragazzina paonazza. Le lanciò
un’occhiata furiosa. – Che succede?- chiese allarmata Giulia guardando prima sua figlia e poi la maestra.
Tutte e due avevano un’aria sfinita – Buongiorno signora – ansimò la maestra -Serena guarda la mamma ,
è arrivata la mamma hai visto? – disse rivolgendosi alla ragazzina e poi nuovamente alla madre tentando di
controllare il fiatone. –

Guardi Signora, oggi non sarebbe neanche andata male, abbiamo colorato, fatto dei lavori con il pongo e
anche scritto. E’ stata una giornata tranquilla…fino a 5 minuti prima della fine dell’ora. Prima del suono
della campanella ha voluto il succo di frutta , gliel’ho dato naturalmente, ma mentre lo beveva si e’
sporcata con la cannuccia , una sua compagna l’ha vista e si e’ messa a ridere. –Non fosse mai successo le
dico, si e’ talmente arrabbiata che le ha lanciato la bottiglietta del succo addosso. Un disastro – continuò
la maestra – succo dappertutto , sui vestiti della compagna, per terra , sui muri …perchè gliel’ ha scagliato
contro aperto capisce!? Le ha lanciato tutta la bottiglietta facendola roteare sopra la testa prima di
lanciarla –disse infervorata la maestra – così! –e imitò il gesto con il braccio. Proseguì sconsolata scuotendo
la testa – non le dico le urla, l’altra compagna si e’ messa a strillare e a piangere, e poi è partita a piangere
anche Serena. -Guardi un disastro, un disastro- ripetè la maestra continuando a scrollare la testa
guardando Serena che se ne stava seduta per terra con le gambe incrociate. Gli intensi occhi neri della
bambina arrossati dal pianto, sbirciavano ogni tanto la madre, poi tornavano al pavimento. Giulia guardò
sua figlia. I capelli castani erano sporchi e unti e una ciocca era appiccicata alla guancia. Della graziosa
codina che Giulia le aveva fatto con cura quel mattino non rimaneva traccia. Le mani affusolate che ora
avevano preso a martoriare un buchino trovato nei pantaloni della tuta anch’essi imbrattati, che presto sarebbe diventato grande come una tana, erano pennellate di rosso, blu e verde. – Si, un disastro proprio-
mormorò Giulia.

Il Natale era ormai alle porte ma al 23 dicembre, Giulia non aveva ancora fatto l’albero. In casa Carlisi non
era Natale. Non c’erano decorazioni. Non c’erano lucine o addobbi che lo potessero ricordare . Erano ormai
passate 3 settimane da quel fatidico giorno in cui avevano parlato col medico e dal casino combinato a
scuola da Serena, il giorno zero, l’avevano definito, e Giulia era entrata in una sorta di limbo dal quale
pareva non aver nessuna intenzione di uscire. La casa solitamente tenuta con cura e ordinata, sembrava
un campo di battaglia. In sala da pranzo una montagna di vestiti da stirare troneggiava sopra il tavolo e a
seconda delle esigenze veniva spostata sopra una sedia o sopra al divano mescolandosi così tra i giochi di
Serena, sparsi ovunque. Il cesto della biancheria sporca strabordava sul pavimento dello sgabuzzino, i letti
non erano mai fatti e in cucina i piatti da lavare aumentavano a vista d’occhio, ma a Giulia sembrava non
importasse nulla. Se inciampava su qualcosa, lo scavalcava o lo spostava. Se non c’erano più piatti o
bicchieri puliti…usava quelli di carta. Non è che fosse depressa, diceva lei, è che non aveva più interessi per
niente e per nessuno. Il fatto è che non era pronta per tutto questo e non sapeva come gestirlo, si sentiva
inadatta.
Pensava con nostalgia a quella spensieratezza di soli pochi anni prima, alle aspettative che si era fatta
quando si era sposata, e a com’era tutto cambiato. Ora aveva un marito latitante, affetto da sindrome di
Peter Pan, che durante il giorno passava sempre più tempo in ufficio, e la sera aveva immancabilmente
qualche impegno inderogabile . Morale, a casa non c’era mai. La stava lasciando sola ad affrontare una
cosa troppo grande per lei, senza considerare quanto il confronto quotidiano con sua figlia la facesse
sentire inadeguata. In verità era questo il suo tormento principale: non riuscire a far parte del mondo di
sua figlia. L’amava profondamene ma c’era un muro invisibile che la teneva distante anni luce. I silenzi di
Serena erano disarmanti e il fatto che non dimostrasse affettuosità e neanche la richiedesse, non faceva
che aumentare il suo disagio. A volte avvertiva perfino un pò di paura …come quella notte in cui si era
svegliata di soprassalto e se l’era trovata in piedi di fianco al letto che la fissava, in silenzio. – Cosa c’è?- le
aveva chiesto con un filo di voce – La bambina, dopo qualche attimo, si era girata ed era ritornata nella sua
cameretta.

Finito di cenare Giulia lasciò Serena guardare i cartoni animati fino alle dieci , poi la mise a letto. Lesse la
stessa fiaba 3 volte, accompagnandola dolcemente al sonno. Uscì dalla camera lasciando la porta socchiusa
e la piccola luce del comodino accesa, come al solito. Una volta in corridoio fece un lungo sospiro, ora
poteva rilassarsi un po’. Andò in sala, prese dalla credenza un bicchiere e lo riempì. Non era sua abitudine
bere ma erano giorni difficili. Aveva cominciato a concedersi qualche bicchiere di Martini dal giorno zero,
scoprendo piacevolmente come quel meraviglioso liquore bianco avesse il potere di rilassarla e conciliarle
il sonno. Accese la televisione e si abbandonò nel divano.
Si svegliò di soprassalto. Si era evidentemente addormentata , il Martini doveva aver fatto effetto. Si
massaggiò le tempie – ma che ora era – si chiese. Le sembrava di aver sentito suonare il campanello .
Cercò con le dita l’orologio che aveva al polso ma non lo trovò – dove l’aveva messo?- Cercò il cellulare ma
non trovò neppure quello. Era buio, ma non totale, la luce filtrava dalle imposte lasciate aperte. Il
silenzio invece era assoluto. – Improvvisamente il suono del campanello squarciò prepotente il silenzio e la
fece sobbalzare – ma chi è? – il cuore impazzito martellava nel petto, andò davanti alla cameretta di Serena
, sbirciò dalla porta socchiusa e la vide dormire profondamente, per fortuna non si era svegliata. Rispose al
citofono – chi è ? Nessuna risposta – pronto chi è? – ripetè incerta. Per la paura che suonasse un’altra
volta, Giulia aprì la porta di entrata e uscì sul pianerottolo. Magari era Matteo che aveva dimenticato le
chiavi. Si dette della scema per non aver cercato prima il cellulare ma ora non sarebbe tornata in sala.
Accese le luci delle scale e si sporse a guardare in basso. – Matteo sei tu? – provò a chiamare sottovoce –
Scese la prima rampa e arrivò al terzo piano. Sentì il freddo del pavimento gelarle i piedi , per l’agitazione
non si era accorta di essere uscita in calzini. Una delle luci cominciò a sfavillare e poi si spense. Ora tutto
era immerso in una cupa penombra che metteva i brividi. All’improvviso sentì una porta sbattere con
violenza. Sobbalzò – Proveniva dal suo piano! Giulia si voltò di scatto – ohhh no no no no ! – corse su per le
scale ma arrivò troppo tardi . Era chiusa fuori casa e Serena era dentro, da sola! Il solo pensiero l’atterriva –
e se si fosse svegliata? …
Non trovando altre soluzioni decise di suonare la porta della vicina. La signora Martinelli la conosceva bene
e l’avrebbe fatta entrare senza problemi malgrado l’ora tarda e le avrebbe prestato il telefono. Stava quasi
per suonarle, quando le parve di sentire una vocina in lontananza. Si concentrò – mamma… mamma –
Serena? Possibile? La chiamò – Serena, Serena! – La vocina era debole e non riusciva a capire da dove
venisse ma sembrava provenire dalle scale. Si avvicinò alla prima rampa e riscese lentamente al terzo
piano. – mamma- sentì ancora chiamare. La vocina sembrava provenire dalla canna di caduta dei rifiuti
…possibile? Quel condominio, degli anni 60, aveva questa sorta di portello sul muro per buttare via le
immondizie. Non era più regolare ormai e avevano il divieto di servirsene, ormai da mesi aspettavano
qualcuno che arrivasse a cementarla. Giulia apri la botola e sentì la voce di sua figlia farsi più forte. I
pensieri viaggiavano veloci – Serena era là dentro? Ma com’era possibile? Che si fosse svegliata e non
trovando nessuno fosse uscita a cercarla finchè lei era scesa a chiamare Matteo?! Forse aveva preso paura
e si era nascosta là dentro? Al solo pensiero che sua figlia potesse essere all’interno di quella botola, le
mancò il respiro – Serena! Serena! – chiamò con voce isterica aprendo il portello. La bambina rispose e
Giulia non perse tempo, si fece coraggio ed entrò. Ci volle un attimo perchè i suoi occhi si abituassero al
buio, poi vide delle scale che scendevano. Non avrebbe mai creduto che ci potessero essere delle scale là
dentro… Lo spazio era stretto e non molto alto ma lei riusciva a scendere stando leggermente curvata in
avanti. Dopo circa una ventina di scalini, si trovò davanti a una piccola porta. L’aprì piano – Serena –
chiamò con un filo di voce. Con suo grande stupore si trovò davanti un ragazzino di circa 10 anni vestito
tutto di rosso con i capelli rossi come il fuoco. La stanza era piccola e lui stava seduto per terra con le
gambe incrociate davanti ad un fornellino, tipo quelli da campeggio, e stava scaldando qualcosa in una
pentola – Ciao – le disse – . Giulia lo guardò sgomenta – ciao…io io sto cercando mia figlia Serena -balbettò Giulia – ho sentito la sua voce qua dentro- aggiunse.- Il ragazzino la guardò con un’aria di
sufficienza – vuoi un tè? – eh? Un tè…no no voglio mia figlia.. tu sai dov’è? – certo – rispose sicuro – è con
Mil – Mil? – Ripetè Giulia – e chi è Mil …e… tu chi sei? – Io sono Red! – disse il ragazzino come se fosse
scontato chi fosse.- Vuoi un tè? – no, grazie…voglio mia figlia- si spazientì Giulia. Era tutto assurdo , pensò
. Il ragazzino la guardò come se la volesse sfidare. – Siediti – la invitò in tono perentorio. Giulia, dopo un
attimo di esitazione, obbedì. Il ragazzino fece un cenno di assenso nel guardare Giulia che si sedeva a
gambe incrociate davanti a lui. Il tè era pronto. – Devi rispondere a un indovinello – disse con aria solenne , poi si portò alle labbra la tazza fumante e scolò la bevanda tutto d’un fiato – poi potrai andare da tua figlia-
aggiunse appoggiando la tazza vuota con aria soddisfatta. Giulia annuì sempre più incredula. Il ragazzino cominciò – Qual’è il colmo per Babbo Natale? – Giulia lo guardò interdetta… fece per aprire bocca ma il
ragazzino esclamò eccitato – Essere colto con le mani nel sacco!- E cominciò a ridere sguaiatamente
tenendosi la pancia con le mani. Ancora con le lacrime agli occhi, proseguì – e cosa fa un pollo a Natale? E
subito dopo …il re-gallo!!! Si rispose torcendosi dalle risate. Giulia non sapeva che cosa pensare lo guardava
sbigottita. Improvvisamente il ragazzino si fece serio. Si alzò di scatto e infilandosi in una piccola porticina,
le disse – Se Serena vorrai trovare non ti resta che giocare – e sparì – Aspetta! Dove vai !? – gli urlò dietro
Giulia balzando in piedi e prendendosi una gran botta in testa. Sentì di nuovo la voce di Serena provenire
dalla porticina rimasta aperta da dove Red era scomparso. Non ci pensò due volte e si precipitò dentro.
Trovò un’altra ripida scala che proseguiva verso il basso, e non si vedeva la fine. Era tutto più piccolo e
stretto del precedente passaggio e faceva molto freddo. La paura la attanagliava ma si fece forza, trasse un
profondo sospiro, e cominciò a scendere. E scese, scese sempre piu’ giù, sempre più in profondità. Non
sapeva da quanto tempo scendeva, aveva perso la cognizione del tempo già da un po’ e le sembrava che
quella scala non avesse mai fine e che non portasse da nessuna parte. Il freddo era pungente, tremava,
batteva i denti, e non sentiva piu’ le mani nè i piedi; qualcosa la sfiorò tra i capelli ed emise un urlo. Il
cuore pulsava veloce, la gola secca – Serena – mi senti? –Sere.. sbattè addosso a un muro…no, era un’altra
porticina. L’aprì con meno delicatezza questa volta . Un calore ristoratore la avvolse e vide un camino
acceso. Davanti al camino una sedia a dondolo. Si avvicinò per scaldarsi e sfregandosi le mani si girò a
guardare la piccola stanza. Notò un alberello di Natale dentro ad una nicchia nel muro. Sotto c’era una
busta rossa con scritto – Per Te. – Schiuse con delicatezza il bottoncino rosso e sedendosi sulla sedia lesse

  • Se il bottone rosso schiaccerai la bella filastrocca ascolterai e se anche me vorrai incontrare , brucia la
    busta e inizia a sperare… Giulia rilesse , forse stava impazzendo…Prese la busta , schiacciò il bottone e la
    buttò nel fuoco. Bruciò immediatamente e nel contempo il fuoco cominciò a spegnersi lasciando la stanza
    immersa nel buio. Giulia si mise in attesa e dopo qualche minuto vide materializzarsi dal muro, o così le
    parve , una ragazzina . – Ciao- le disse – Io sono Ludmilla e nasco da una scintilla. Giulia la guardò con gli
    occhi spalancati, aveva un vestito bianco lucente e lunghi capelli d’argento . Dopo qualche secondo esordì
    con tono solenne – Questa è una filastrocca per Te , per le Regine e i Re –
    Natale e’ un fiocco di neve, che scende dal cielo candido e lieve. Natale e’ una stella splendente che brilla nel
    cielo e allieta la gente. Natale è la strada illuminata, l’abete lucente, la casa adornata. Natale e’ un gesto
    del cuore che dona la gioia e regala l’amore! Buon Natale!
    – E sparì dentro il camino non prima di averle detto – Se Serena vorrai trovare, ti rimane solo una cosa da
    fare. – Ludmilla aspetta! le gridò dietro Giulia , ma Ludmilla era già scomparsa. Giulia trattenne a fatica le
    lacrime . La piccola stanza era diventata una ghiacciaia, vedeva il suo respiro trasformarsi in una nuvola
    bianca – Tremando dal freddo si fece coraggio e cominciò a tastare il muro in cerca di una porta, ma non
    trovò nulla. Provò all’interno del camino, se la ragazzina era venuta da lì forse c’era una via d’uscita… Sentì
    un mattone inclinarsi, spinse con forza e si apri’ un piccolo varco.

Vi s’infilò , passando a malapena trovandosi innanzi ad un tunnel talmente stretto che l’unico modo per
andare avanti era strisciare per terra.
Cominciò a procedere facendo leva sui gomiti e aiutandosi con le ginocchia. Non sapeva da quanto tempo
stesse avanzando o quanta strada avesse fatto ma le sembrava un’eternità. Era sfinita, esausta e incapace di formulare un pensiero che desse un senso a tutto questo… – Forse sono nell’anticamera della morte-
pensò fermandosi per riposare. Immagini di lei e Serena le invasero il cuore. Frammenti di vita quotidiana rimbalzavano tra passato e presente; si rivedeva mentre la cullava tra le braccia , quando giocavano
insieme, mentre la pettinava o le leggeva una fiaba. Capì che quel tunnel era il preludio di come sarebbe
stata la sua vita, se non fosse riuscita a trovarla.
Successe tutto in una frazione di secondo. Il terreno cominciò a sbriciolarsi sotto il suo corpo e un varco
enorme si aprì sotto di lei . Giulia lanciò un grido di terrore e precipitò nel vuoto. Quando riaprì gli occhi, si
trovò all’interno di un grande pozzo o così pareva. Doveva aver perso i sensi con la caduta- pensò
rimettendosi in piedi barcollante. Strinse gli occhi per vedere meglio. La vide. Serena se ne stava
raggomitolata in un angolo, il viso nascosto tra le gambe e il pigiamino tutto strappato. – Serena! – urlò –
ma la bambina non si mosse- Stava per correre da lei quando si accorse del grande vetro che fungeva da
parete. – Serena! – urlo’ disperatamente. Mentre cercava un sasso o qualcosa di appuntito per rompere il
vetro , una voce profonda alle sue spalle disse – Risparmia le energie, e’ inutile rompere quel vetro – Giulia
si girò di scatto- Non si era accorta che nel pozzo c’era qualcun altro – Chi sei? – Io sono Mil . Sono il
custode di questo posto e delle generazioni Y, X e Z. – Giulia lo guardò – Mil significa Millennial? Domandò
incredula – esatto – rispose facendo un passo avanti. Giulia lo vide e rimase impietrita. – Ma sono io! sei
identico a me! – esclamò poi basita – Mil sorrise. – Io prendo sempre le sembianze di chi riesce ad arrivare
fin quaggiù . Non sono molti sai, quindi ti faccio i miei complimenti, in genere abbandonano prima. Ora sei
tu il custode di questo posto, non serve rompere il vetro; hai tutto quello che ti serve. E sparì.
Si svegliò in un lago di sudore tremando dal freddo. Si guardò intorno…era a casa! Stava sognando! Era un
incubo! Si alzò di scatto, la testa le giro’ vorticosamente. Attese un attimo per riprendersi e corse in
camera di Serena. La bambina dormiva pacifica, sembrava quasi sorridesse. Giulia non riuscì a trattenere
le lacrime, con delicatezza alzò la coperta, si rannicchiò al suo fianco e sprofondò in un sonno senza sogni.
Il mattino dopo, Giulia si alzò presto. Lasciò dormire Serena e si diresse in cucina a prepararsi il caffè. Fuori
dalla finestra vide che nevicava copiosamente. – Uh che meraviglia! – esclamò. Nonostante la sua mente
fosse disturbata da diversi flashback dell’inquietante incubo , Giulia si sentiva piena di energia, felice. Si
mise di buona lena puli’ , rassettò , fece lavatrici, stese la biancheria lavata e profumata e corse a
comprare un bellissimo albero di Natale e tante lucine. Serena, che nel frattempo si era svegliata, la
seguiva dappertutto con un’aria divertita che Giulia non aveva mai visto.
Il giorno di Natale la casa della famiglia Carlisi era bellissima. Sotto l’albero tutto illuminato c’erano pacchi e
pacchettini di ogni forma e colore. Giulia aveva invitato i vicini di casa, i signori Martinelli, che sapeva
essere sempre da soli durante le feste perchè i figli studiavano all’estero e tornavano a casa solo durante le
vacanze estive. Avevano accettato con gioia l’invito e ora Giulia li stava andando a chiamare per il pranzo.
Uscendo dalla porta di casa, d’impulso lanciò un’occhiata alla botola delle immondizie , dove “si era infilata
per cercare Serena” si canzonò fra sè. Sorrise nel vederla chiusa con tanto di cemento , e scuotendo la
testa pensò …che razza di incubo assurdo…

Era una giornata di festa, allegra e spensierata. Anche Matteo e Serena si stavano divertendo. Il momento
di scartare i pacchetti colorati era arrivato e Giulia radunò tutti attorno all’albero di Natale. Serena prese in
mano il regalo che la Signora Martinelli le aveva voluto assolutamente fare. Le piccole mani affusolate
cominciarono ad aprirlo delicatamente, finchè ne trasse una bellissima scatola argentea. – Puoi metterci
dentro tutte le cose preziose che hai – le disse la Signora Martinelli con dolcezza – Serena la guardò, il volto
si illuminò , corse in camera e ritornò con qualcosa in mano che mise con cura dentro la scatola.
Nel silenzio della sera, mentre tutti erano a letto , Giulia si attardava nel sistemare le ultime cose.
All’improvviso, le tornò in mente la scatola di Serena . Non riuscendo trattenere la curiosità entrò nella
cameretta di sua figlia e prese la scatola che si trovava sopra il comodino.
L’aprì e vi trovò dentro tre foto. Erano le foto di Red, Ludmilla e Giulia.

Michela Rompato, Vicenza

Aprile 2024

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