I racconti di Natale di ViCult – N°4

TITO
La colonna era in marcia già da tre giorni, le legioni erano disposte in una fila così sottile che il tramonto e il suo orizzonte sembravano inghiottire il procedere dei soldati. Il vento della sera spazzava la sabbia in superficie, poi muoveva i vessilli dei reparti, i mantelli dei fanti, le code dei cavalli, i teli dei carri e per ultimo il suo ciniero.
Aveva un portamento fiero e ritto per la giovane età, ma non sembrava inesperto o spavaldo, anzi era così assennato nelle sue scelte che i suoi luogotenenti -anche se avevano dei dubbi- si affidavano completamente ai suoi ordini; ci pensavano poi i fatti a dargli ragione. Era successo anche quando diede l’ordine di attaccare quell’ultimo giorno di assedio, senza aspettare le legioni di rinforzo. E aveva ragione da vendere: si scoprì poi che Gerusalemme si stava riorganizzando e che la notte seguente un contingente avrebbe compiuto una sortita nell’accampamento. Avevano corrotto il turno di guardia della porta est con tutto l’oro del tempio, d’altronde non ci si sfama con l’oro quando si è costretti fra le mura.
Io ero stanco di camminare dietro di lui, scivolavo ad ogni passo per i solchi che aveva fatto il cavallo sulla sabbia con gli zoccoli . Gli stavo dietro a fatica, ma sapevo che se avesse avuto bisogno di me e non fossi stato subito a disposizione, frustrato dalla stanchezza com’era, mi avrebbe frustato almeno 30 volte. Mancavano solo 6 giorni prima che l’anno cambiasse e Vespasiano voleva che fosse a Roma per celebrare il trionfo subito dopo i festeggiamenti del nuovo anno:
«Se non dovessi portare tutte le mie legioni con me mi starei già imbarcando a Cesarea»
«Non potete fare il trionfo sfilando da solo…» gli rispose Tiberio Giulio Alessandro, il suo luogotenente, uno degli uomini più cari che aveva;
«Avrei potuto sfilare con i reparti che sono a Roma»
«Quale sarebbe il senso del trionfo, se chi deve essere onorato non c’è?»
«Qual è il senso del trionfo in generale… Abbiamo vinto una città di barbari in rivolta, costringendoli alla fame. È stata lei ad abbattere Gerusalemme, non il nostro valore»
«In verità non si può dire che fra i nostri soldati non ci siano esempi di grande valore»
«Ho visto con quanto valore davano fuoco alle case, bastonavano gli anziani e radevano al suolo il tempio»
«Lungi da me sembrare impertinente, ma siete stato voi stesso a dirgli di fare ciò che volevano»
«Mio Tiberio… Se fossi un generale capace quanto sei sincero, ora anche Giove ci verserebbe i tributi.Cosa avrei dovuto riservare a quei riottosi pezzenti? Fiori e corone di alloro?»
«Non oserei mai indagare sui motivi della sua crudeltà, mi sono sempre affidato alla vostra perizia: se era la cosa giusta per voi, lo era per tutti.»
«Hanno tirato troppo la corda, senza sapere che era legata alle colonne portanti del loro Tempio».
E all’ improvviso, la luna si spense.
Tutto si fece buio, non vidi o sentii più nessuno attorno a noi, l’unica persona vicino a me era il mio padrone. Mi stava davanti, girato di spalle, immobile sul cavallo possente. Le tenebre aleggiavano come sabbia finissima in una tempesta, ci avvolgevano completamente, le vedevo muoversi veloci e sibilare in modo calmo, senza fretta. Fui strangolato dalla paura, le mie mani tremavano in una danza primordiale, al ritmo di quel tamburo che era diventato il mio cuore.
Una luce accecante.
Un fischio assordante.
Avevo come la sensazione che una serpe stesse entrando dalle mie orecchie e mi stesse avvelenando il cervello, perchè quel fischio era talmente forte da poterlo addirittura sentire sulla pelle. Sentii a tratti una voce parlare con Tito, sentii lui risponderle. Non capivo cosa si stessero dicendo, lo intravedevo muovere solo le labbra e nessun altro muscolo o arto; era pietrificato, incantato da quella luce (come facesse a guardarla così direttamente poi, io non me lo spiegavo). Sicuramente lui non si era accorto della mia presenza: non si era voltato nemmeno una volta, anche se lanciavo senza sosta grida disperate. E quando provavo ad avvicinarmi a lui, scoprivo che il mio corpo si era ammutinato.
E tanto improvvisamente era successo, tanto rapidamente tornò la realtà.
Non capii mai cosa o chi fosse quella luce, non seppi mai che cosa disse a Tito Flavio Vespasiano.

Seppi solo che il giorno XXV/XII/LXX, la notte stessa, egli decise di rendermi un uomo libero.

E che in futuro lo avrebbero chiamato «Amore e delizia del genere umano».

Marco Meggiolaro, Montecchio Maggiore

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