Le immagini della “Pietà” a Monte Berico, dal Vesperbild a Bartolomeo Montagna

Nel Santuario di Monte Berico, dove il pellegrino si reca in preghiera nei vari momenti della propria vita e con stati d’animo diversi – non solo quando il suo volto risplende di gioia e gratitudine, ma anche quando sopravvengono ondate di malinconia e dolore – l’immagine della pietà è una delle più venerate e ricorrenti, considerando anche la particolare devozione all’Addolorata che caratterizza i Servi di Maria, che dal 1435 custodiscono questo luogo sacro.

La prima testimonianza d’arte che incontriamo nel santuario mariano si trova nella Penitenzieria, ossia nella cappella delle confessioni costruita all’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso, dove il cemento nudo della struttura architettonica dialoga in modo suggestivo con le stagioni del paesaggio collinare che, attraverso le vetrate, penetra nell’edificio. La magnifica statua quattrocentesca della Pietà, ubicata attualmente nei pressi dell’altare, proviene in realtà dalla chiesa vicentina di Santa Maria in Foro, a un passo dalla piazza dei Signori, officiata anche questa per secoli dai Servi di Maria.

Scultore germanico, Pietà (“Vesperbild”), inizi del XV sec., Vicenza, Santuario di Monte Berico (Penitenzieria)

Realizzata in gesso duro o “colato” (in tedesco “Steinguss”), la statua nasce come policroma e rimane tale fino a un infelice intervento di restauro, eseguito tra il 1976 e il 1978, che comportò la totale perdita dell’originaria coloritura, veicolo di importanti significati simbolici. Il suo assetto formale riconduce a una variante compositiva conosciuta come “Schönes Vesperbild” (“Bella Pietà”), legata esteticamente al gotico internazionale, definito nell’ambito germanico come “Schöne Stil” (“Bella maniera”). Infatti, l’impostazione della scena è caratterizzata da una maggiore sinuosità del corpo esanime di Gesù, rispetto alla rigidità del canone precedente, e dal delicato intreccio delle mani, in grado di rendere con estrema dolcezza il silenzioso compianto della Madre sul Figlio.

Focalizziamoci ora sul termine germanico, Vesperbild (“immagine del Vespro”), che richiama la preghiera del tramonto, riferita in primis a quella del Venerdì Santo, dedicata anticamente dai Servi di Maria alla “memoria del dolore della beata Vergine presso la croce”. Legato al sentimento religioso del Trecento, che si esprime con altrettanta forza anche in letteratura e in musica, il soggetto trova le sue radici nell’ambito germanico, in particolare attorno alla valle del Reno. Nella penisola italica, invece, la rappresentazione del compianto avrà una particolare diffusione nel primo Quattrocento, sia grazie all’importazione di manufatti provenienti dall’area centroeuropea (germanica e boema), che attraverso l’adozione del soggetto soprattutto nell’ambito pittorico.

Infatti, due dipinti della Pietà a Monte Berico – realizzati entrambi dal celebre maestro Bartolomeo Cincani detto “il Montagna” (Orzinuovi, Brescia 1447 circa – Vicenza 1523) – si inseriscono in una compagine che trae spunto dal drammatico pathos dell’arte germanica, enfatizzando – attraverso il colore delle vesti, del paesaggio circostante e di dettagli naturalistici – il messaggio profondo della rappresentazione, dove la morte non è che un passo prima della risurrezione.

Passiamo quindi al primo, cronologicamente parlando, dei dipinti del Montagna, eseguito presumibilmente tra il 1480 e il 1485 e collocato originariamente nel chiostro quattrocentesco del convento, adibito anche all’area sepolcrale, in sintonia quindi con il soggetto iconografico. Alla metà dell’Ottocento, quest’affresco – segnato ormai in modo irreversibile dalla corrosione del tempo, come si deduce dall’attuale stato cromatico dell’opera – viene staccato a massello e poi collocato, nel 1852, per mano del muratore Pietro Cresole, nella sacrestia della basilica.

Bartolomeo Cincani detto “il Montagna”, Compianto su Cristo morto (“Pietà”), 1480-1485, affresco staccato e centinato, Vicenza, Santuario di Monte Berico (sagrestia)

Avvolta in un ampio manto di colore viola, Maria regge in grembo il corpo esanime di Gesù, con una postura resa rigida e quasi innaturale dall’immensa sofferenza che la percuote fino a farla sembrare ben più anziana rispetto a quanto tramandano le sacre fonti. Il senso del dolore trova il suo apice visivo nel braccio destro del Salvatore, segnato dal sangue raffermo della ferita, causata dal chiodo della croce.

L’ultima tra le opere nella presente rassegna, è un capolavoro assoluto dell’arte vicentina, ideato dal Montagna su commissione sconosciuta, nel 1500 o nel 1505. L’ambiguità della data dipende dall’interpretazione che si vuole dare all’iscrizione presente nel dipinto: OPUS BARTHOLOM | MONTAGNA | MCCCCC V AVRILE. Leggendo le cifre romane, rimane infatti un dubbio: “1505 [mese di] aprile” o “1500 5 aprile”? In ogni caso, il periodo a cui si riferisce la data è primaverile e vicino alla celebrazione di Pasqua.

Bartolomeo Cincani detto “il Montagna”, Compianto su Cristo morto (“Pietà”), olio su tela, Vicenza, Santuario di Monte Berico (altare della Pietà all’interno della chiesa gotica), 1500 (o 1505?)

In quest’opera, la scena sacra si inserisce nel paesaggio ameno dei colli vicentini, nello specifico all’interno di una grotta (“covolo”) o cava, collegata idealmente alla memoria del sepolcro di Gesù. La raffigurazione coinvolge altri tre sacri protagonisti: Giuseppe d’Arimatea, Giovanni Evangelista e Maria di Magdala, partecipi in modo commosso al congedo materno. Il linguaggio allegorico coinvolge i dettagli naturalistici presenti nel dipinto: si notano in primo piano alcune presenze animali e botaniche, come la falena e il fiore di aquilegia, simboli entrambi del mistero pasquale, nonché una mela rovesciata, emblema del male ossia del peccato sconfitto grazie al sacrificio del Figlio di Dio.

Bartolomeo Cincani detto “il Montagna”, Compianto su Cristo morto (“Pietà”), olio su tela, Vicenza, Santuario di Monte Berico: particolare raffigurante il volto piangente di Maria Maddalena

Merita una particolare attenzione la figura di Maria Maddalena, mentre china e piangente contempla i piedi del Salvatore feriti dai chiodi. Colpisce lo sguardo la bellezza cristallina delle lacrime sul volto della donna. Attraverso il finissimo disegno, a punta di pennello, il pittore svela il suo virtuosismo tecnico, aprendo al contempo il varco verso un pensiero spirituale espresso molti secoli prima da san Gregorio Magno: “Tornate come tenere creature al seno della vostra madre, l’eterna Sapienza; attingete alle abbondanti fonti della pietà di Dio; piangete le colpe commesse; evitate quelle che potreste compiere ora” (San Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli, a cura di Giuseppe Cremascoli, Roma 1994, p. 327).

Aprile 2024

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