Al ciclo dei classici l’attualità delle Baccanti e il volto eterno di Dioniso

Scrivere oggi delle Baccanti di Euripide, e del loro dio, Dioniso, significa immergersi in un abisso che non ha tempo, un gorgo che ci risucchia nella carne viva del nostro presente, come se il mito non fosse mai stato altro che un specchio ustionante della nostra condizione. In questo senso è andato in scena per il Ciclo dei Classici grazie ad Anagoor e gli straordinari allievi del III anno dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni, per la regia di Simone Derai, uno spettacolo vivo, un balletto, un concerto, un profluvio di sinestesie, di luci e di crescendo sonori. Un tour de force fisico che ha riportato l’opera all’oggi, come la direzione artistica del Teatro delle Albe ha tracciato da due anni a questa parte.

Euripide, con la sua tragedia, ci parla ancora, ci ferisce, ci scuote, perché Dioniso non è un dio morto, relegato a un pantheon di statue infrante: è il pulsare del sangue, il grido represso, l’ebbrezza che esplode e distrugge. È il dio che ci abita, oggi come allora, nelle nostre città di cemento, nelle nostre solitudini connesse, nelle nostre rivolte senza nome. Dioniso, nelle Baccanti, è il dio dell’eccesso, ma non solo. È il dio della contraddizione, del confine che si spezza, dell’ordine che si frantuma sotto il peso di ciò che l’uomo reprime. Penteo, il re rigido, il custode della legge, è il nostro doppio: il tecnocrate, il burocrate, l’uomo che misura il mondo con il metro della ragione e del controllo. Ma Dioniso lo travolge, lo seduce, lo spoglia. Lo conduce alla montagna, tra le menadi, tra le donne che danzano e squartano, che si liberano e si perdono. E Penteo muore, dilaniato, perché ha negato il dio, perché ha creduto di poter dominare ciò che non si domina: l’istinto, il caos, il desiderio.

Oggi, il nostro mondo è pieno di Pentei. Li vediamo nei governi che regolano, nei mercati che calcolano, nelle tecnologie che ci incatenano al loro ritmo disumano. Ma Dioniso è ancora qui. È nelle rivolte delle periferie, nelle danze sfrenate delle notti metropolitane, nei corpi che si ribellano alle norme, nelle urla di chi non accetta più il giogo. È nei giovani, nei poeti, negli ultimi che si alzano e rompono il silenzio. Dioniso è il dio della crisi, e noi viviamo in un tempo di crisi perpetua. Le Baccanti ci parlano perché ci mettono di fronte a una verità scomoda: non si può esorcizzare Dioniso. La sua forza è ambigua, è sacra e terribile. È la liberazione che diventa violenza, l’ebbrezza che si fa massacro. Euripide non ci dà risposte, non ci consola. Ci mostra Agave, la madre che tiene in mano la testa del figlio, credendo sia un trofeo, e poi si sveglia, devastata, riconoscendo l’orrore. È il prezzo del dio, il prezzo della liberazione che non sa controllarsi, che si nutre di sé stessa fino a consumarsi. Non è forse questo il nostro tempo? Un tempo di rivoluzioni che si mangiano i loro figli, di libertà che si trasformano in nuove catene, di desideri che ci portano al confine della distruzione? Eppure, Dioniso è anche altro. È il dio della metamorfosi, della vita che si rigenera, del teatro stesso, che nasce dal suo culto. È il dio che ci ricorda che l’uomo non è solo ragione, ma carne, sogno, follia. In un mondo che ci vuole macchine, che ci misura in dati, che ci riduce a profili digitali, Dioniso è la ribellione del corpo, del respiro, del vino che scalda le vene. È il teatro, ancora, che ci fa vedere noi stessi, che ci costringe a guardare l’abisso senza distogliere gli occhi. Scrivere di Dioniso oggi, significa sporcarsi le mani con la polvere delle strade, con il sudore delle piazze, con il sangue delle contraddizioni. Significa riconoscere che il dio è ancora tra noi, nei nostri mercati globali come nelle nostre solitudini, nei nostri corpi che danzano e si perdono, nei nostri sogni di rivolta e nei nostri fallimenti. Le Baccanti ci chiamano, ci interrogano, ci provocano. Ci dicono che non c’è salvezza senza rischio, non c’è ordine senza caos, non c’è vita senza Dioniso. E noi, che siamo figli di Penteo e delle menadi insieme, dobbiamo imparare a danzare con il dio, sapendo che ci può salvare o distruggere. O forse entrambe le cose, nello stesso istante.

Novembre 2025

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