Sono Benedetta, sono una donna, sono una giornalista, non sono una madre. Quindi posso dire la mia su due fatti fondamentali per questo paese che ormai è diventato una grande ora di lezione di terza elementare (o di asilo nido, il dubbio è atroce). Parlo ovviamente di Prodi che “violenta” una collega e di Franceschini che “risolve” il patriarcato. Il primo, Romano, un 85enne che gli tocca intervenire ancora perché il PD è un ectoplasma e quindi la Repubblica (inteso come giornale) chiama in aiuto il vecchio saggio, ha reagito stizzito ad una domanda idiota. Perché, santo cielo, finiamola con questa storia che tra giornalisti si è sempre solidali. Abbiamo la peggior classe politica dal dopoguerra ad oggi, ma questa classe politica qualcuno la vota e quindi, di deduzione in deduzione, abbiamo anche la peggior classe giornalistica dal dopoguerra ad oggi. In primis ego. Ma almeno non son fessa da cadere nel tranello del “maestra aiuto mi tirano i capelli!”. Se avesse tirato i capelli a me gli avrei detto “senta, come si permette?” avrei preteso le scuse e sarebbe finita lì. Ma il punto é che non avrei mai chiesto ad uno come Romano Prodi se condivideva quella parte di Manifesto di Ventotene, perché quella domanda, fatta a uno con la storia di Prodi, è una roba che neanche in terza elementare, appunto, oppure solo a Striscia la Notizia. Però l’abbiamo fatto diventare il caso del giorno. Siamo messi così. La mia solidarietà va a tutti i colleghi e le colleghe serie, che fan domande serie, e che cercano di star fuori il più possibile da quest’aria di propaganda ultrà che ha preso come un virus tutta l’informazione. Morale: Prodi non ha violentato nessuno, è solo stato molto spiacevole e sgarbato (e con la stampa lo era spesso anche da premier) ma le cose serie sono altre. Andiamo avanti.

Poi c’è Franceschini. Quello che voleva istituire la Biblioteca dell’inedito. Una biblioteca che doveva raccogliere testi mai pubblicati, scarti e appunti accartocciati. Proposta che, all’epoca, suscitò molte perplessità, specie fra gli addetti ai lavori che giustamente temevano che l’immagine della già bistrattata cultura venisse compromessa da scritti che al massimo servivano per incartare il pesce. Che poi per questa funzione ci sono già i giornali. Lo stesso Franceschini che durante la pandemia fece nascere ITsART, la Netflix italiana, una piattaforma che, solo nel primo anno di vita, praticamente senza che mai uscisse un singolo contenuto degno di tal nome, costò 30 milioni di investimento e produsse 7,5 milioni di perdite. Lo stesso Franceschini che lanciò verybello.it, un portale che doveva raccogliere e comunicare le bellezze italiane in vista dell’expo e che non è mai, dico mai, funzionato. Una roba che Open To Meraviglia è un esperimento riuscito. Bene. Adesso il prode Dario trova il sistema per annientare il patriarcato: dare il cognome della madre ai figli. In effetti, la priorità di cui il paese aveva bisogno e anche pensata perfettamente. Tutto questo mentre l’opzione del doppio cognome (l’unica e vera forma paritaria, ma spiegarlo agli woke de noantri è troppo difficile) esiste già e basterebbe approvare una legge che permetta la scelta di un cognome o tutti e due! Invece si butta lì la solita solfa “de sinistra” che serve a far dire alla destra che a sinistra non capiscono nulla e si fa sempre più fatica, anche con la più buona volontà, a non dargli ragione a sti pur sempre impresentabili che ci governano. E dall’asilo nido (che in effetti è più realistico della terza elementare) è tutto. Magari la prossima volta parliamo delle chat americane in cui chi comanda il mondo è al livello Salvini sulla scala serietà, parliamo di Putin, di chi non arriva a fine mese. Magari eh? Anche se immagino che distoglierci dai capelli tirati e dai cognomi delle madri sia difficile.
