Forse il viaggio è una risorsa della vita. Un movimento connaturato alla necessità di rifuggire qualcosa e alla possibilità di conquistare qualcosa di nuovo e di diverso. Una dinamica che inerisce all’esistenza, che scaturisce dall’esigenza di darsi una meta, un senso verso cui orientare quel moto inesausto che è la vita, e che solo la felicità o la morte appagano.
F. Volpi
Talvolta nell’animo si manifesta l’insopprimibile desiderio di spostarsi, da cui scaturisce la passione per il viaggio. Per comprendere cosa sia il viaggio e le ragioni che tanto ci spingono al mutamento, è necessario cogliere il valore profondo di questa comune pratica. Il viaggiare comprende innanzitutto la “casa”, ovvero il luogo da cui il viaggiatore si allontana, il viaggiatore stesso, il luogo di arrivo e si conclude con il ritorno. Eppure la vera essenza del viaggio sta nel momento di passaggio dal quotidiano alla meta sognata, il viaggio non è nè l’uno nè l’altra: il fine di tutto è la partenza. Si tratta di un attimo eterno in cui l’uomo si libera dagli schemi e dalla rigida staticità dell’ambiente da cui ha scelto quasi inconsciamente di dipartirsi, ma non ha ancora raggiunto la meta. Il viaggio è un anelito sognante e l’uomo che lo intraprende e come un uccellino che spicca il volo per la prima volta, apre le ali al mondo ed il suo cuore è pieno di meraviglia. Così il viaggio va vissuto, con gli occhi del bambino. Il viaggiatore si riconosce infatti da quella patina di sogno, aspettativa, illusione che vela il suo sguardo. Egli inizia il viaggio nel momento in cui decide di abbandonare, fingendo che non sia più parte di sé, la casa. Da qui in poi è in preda a una febbrile eccitazione, vuole fuggire, correre, conquistare, sente che tutto un mondo fuori lo sta aspettando. La speranza lo muove più che mai, lo travolge come un’onda e lui la cavalca. Quando sale sull’aereo, sul treno, sulla nave che lo porteranno lontano, egli si sente rinascere come animato da un misterioso soffio vitale.
Fino a poco prima voleva solo un cambiamento, gli bastava partire, ora invece sente di voler vivere pienamente la sua nuova avventura e tutta la sua esistenza ha un senso. Il sogno perde lucentezza con il raggiungimento della meta. Non conta quanto sia spettacolare il luogo di arrivo. Poco alla volta nel viaggiatore qualcosa muta ed egli inizia a provare nostalgia, un senso di insoddisfazione e disincanto. E’ spesso felice di tornare a casa, gli manca. Il viaggio di ritorno non ha nulla dell’andata, è incolore e non prospetta alcunché di sorprendente. Ma l’assurdo, l’inspiegabile realtà giunge alla fine: l’uomo, tornato dal viaggio, non fa che parlarne, raccontando le visioni, gli incontri, le esperienze illuminanti e darebbe qualunque cosa per partire di nuovo. Un fiume di emozioni contrastanti ci travolge prima e dopo il viaggio, ma è solo nel momento iniziale che ritroviamo una purezza inconscia. Nel viaggio l’uomo muore, lasciando tutto e rinasce provando la massima felicità. Il viaggio si rivela dunque un’esperienza catartica capace di appagare in qualche modo “quel moto inesausto che è la vita”. Il viaggio non è solo una palingenesi sognante, ma anche una bussola verso cui orientare l’inesauribile spinta vitale che è in noi. Suscita un’incertezza rassicurante poiché il viaggiatore sa che ci sarà una meta, e sente forte la missione di raggiungerla. Tuttavia il viaggio ci da solo l’illusione di una direzione. La meta è un miraggio e il senso di tutto sta in quell’attimo a mezzo tra il luogo lasciato e quello da raggiungere. La vera meta è a metà.