Paola Antonello e Philipp Paparoditis sono due giovani cittadini del mondo. La loro storia li qualifica come tali: lei vicentina di Torri di Quartesolo, lui nato a Berlino, ma di origine cipriota.
Si incontrano a Bellinzona per quegli strani giri che fa la vita, ma soprattutto perché li accomuna la passione per la biologia e la chimica che possono approfondire presso l’Istituto di Ricerca in Biomedicina della città della Svizzera italiana. Dottorato di ricerca e poi l’offerta di continuare gli studi presso il Weizmann Institute of Science di Rehovot, a poco più di venti chilometri da Tel Aviv. Una delle più prestigiose università israeliane, uno dei dieci più importanti centri di ricerca al mondo.
La loro vita cambia e di molto, ma ne vale la pena. Lavorano fianco a fianco con chi sta studiando il futuro, con veri scienziati dai quali imparano. Certo Israele non è un luogo particolarmente raccomandato in fatto di sicurezza, ma loro trascorrono le lunghe giornate di studio e laboratorio all’interno di un centro polivalente, dotato di tutto, immerso nel verde, il sogno di molti studenti universitari. Dotato purtroppo anche di bunker anti missili perché il rischio di un attacco c’è sempre.
Nel frattempo il 23 settembre 2023 Paola e Philipp si sposano. A Cipro, in un contesto di magica bellezza.
Con loro tanti amici, italiani, i ciprioti, tedeschi, inglesi, statunitensi, israeliani, tutti strettamente uniti dalla stessa esperienza di studio e di lavoro. Una bella gioventù!
Poi il 7 ottobre, improvvisamente ed inaspettatamente, tutto cambia.
E’ un racconto di coppia quello che fanno al nostro telefono.
Phil: “Ero tornato la sera prima dal Canada dove avevo partecipato ad una conferenza. Ero stanco e speravo di riuscire a dormire. E invece verso le 6.30 sento un’esplosione e anche un allarme”.
“Noi eravamo abituati che il rischio missili veniva anticipato con largo anticipo tramite messaggio telefonico. Non era arrivato nulla e – precisa Paola- ho attribuito i rumori a qualche trasloco, visto che abitiamo lungo una strada trafficata e rumorosa”.
“Invece, continua Philipp, mi arrivano messaggi dal mio capo, che sta in California, che mi avvisa preoccupato della situazione.
Alle 7 corriamo nel bunker del palazzo e lì cominciamo a cercare notizie. Ma i giornali non riportavano nulla, perché in Israele la giornata è di grande festa. Sui social invece immagini terribili: soldati che rompevano e oltrepassavano il muro che separa Gaza da Israele, lo scontro tra esercito israeliano e gli uomini di Hamas. Arrivavano purtroppo anche notizie non vere, come quella dell’occupazione di Ashkelon, molto vicina a dove eravamo noi in quel momento. Della strage del rave party abbiamo saputo molto dopo, ma bastavano le immagini che i social riportavano per capire che stava capitando qualcosa di molto grave. Inoltre cominciavano ad arrivare anche le notizie dei nostri compagni di studio richiamati in servizio militare”.
Paola aggiunge: “Noi non abbiamo mai vissuto una situazione di guerra, ci sembrava tutto surreale, eravamo disorientati”.
Quel giorno i due giovani restano nel bunker più di sei ore e con loro c’è Auri, una spettacolare lupa cecoslovacca.
Per Paola “Auri è sempre stata brava, anzi per lei scendere nel bunker era una specie di gioco perché ci vedeva correre e pensava che si stesse giocando.”
E invece nessun gioco! Israele era stato sorpreso come cinquantanni fa in occasione della festa religiosa più importante, la Simchat Toràh, la gioia della Legge ovvero i primi cinque libri della Bibbia che si termina di leggere proprio in quel giorno. Le famiglie, per l’occasione vanno in Sinagoga e si ritrovano per festeggiare. Ai bimbi vengono donati caramelle e dolci.
Riprende Paola: ”Sentivamo i nostri amici che dicevano di andare verso nord e questo ci tranquillizzava perché agli scontri intorno a Gaza ci si è abituati, diversa la cosa se si apre il fronte libanese. Quindi se i nostri amici si spostavano verso nord si poteva sperare che tutto si limitasse ai missili lanciati da Gaza. Come detto, a tutto ci si abitua: tutti noi abbiamo sul telefonino una app che ci avvisa di un possibile attacco, poi arriva la sirena di allarme e quindi si corre nel bunker, una grande stanza in cemento armato scavato nelle fondamenta dei palazzi o delle case”. Phil: “In ogni caso eravamo preoccupati, tesi, non riuscivamo più a pensare, a lavorare ai nostri progetti. Ci siamo detti di smettere di guadare le notizie in tv o sul telefonino, ma non ci riuscivamo. Sapevamo che le nostre famiglie erano preoccupate. Ma speravamo di non dover lasciare.”
Paola: “Sentivamo che la Farnesina stava provvedendo a noi, ma a dire il vero la prima telefonata l’ho fatta io il 9 e dall’altra parte c’era un impiegato che non sapeva ancora molto. Per noi la cosa era più complicata sia perché non sapevamo a quale ambasciata fare riferimento. Philipp infatti ha il doppio passaporto tedesco-cipriota, ma anche l’ambasciata tedesca restava sul vago. E poi noi non saremmo andati via senza il nostro cane Auri.
Alla fine abbiamo scelto la strada più veloce: tornare a Cipro, e ci siamo completamente arrangiati.”
Phil: ”Ho telefonato alla agenzia viaggi cipriota alla quale mi appoggio, ho trovato un volo attrezzato per il trasporto di animali. Volo previsto alle 7.30 del 12 ottobre”. Paola: “Bisognava andare in aeroporto, con il rischio dei raid missilistici, preparare Auri al volo con la somministrazione di calmanti, passare i controlli. Ci aspettava una vera odissea.
L’aeroporto di Tel Aviv è grande ed era strapieno di persone. Abbiamo impiegato quasi sette ore solo per effettuare il check in. Nel frattempo la partenza del nostro volo viene posticipata ma confermata e, quando tutto sembrava a posto, vediamo la gabbia di Auri che torna indietro insieme ai nostri bagagli: l’aereo non era attrezzato per il volo di animali”.
Phil: ”E’ stato il momento più concitato e più brutto. Dovevamo ricominciare tutto daccapo per un altro volo. Rifare le code del check in, riaddormentare Auri che nel frattempo si era risvegliata, riportarla in gabbia e poi erano 18 ore che non si mangiava e non si dormiva.
Per fortuna ci hanno aiutato a passare le code con la giustificazione che noi avevamo già fatto un ceck in. Ma anche questo non è bello, perché passi avanti a persone che sono in fila da ore… Comunque alla fine è stato trovato il volo e abbiamo potuto riposare un po’ e guardarci intorno”. Paola: ”Auri, che non avremmo mai lasciato in Israele, era la gioia dei bambini intorno. Si lasciava accarezzare, giocava e intanto noi conoscevamo storie drammatiche come quella di due giovani genitori che si apprestavano a far salire i figli su un volo per Amsterdam dove sarebbero dovuti stare da soli con i nonni fino a che per loro durava il loro richiamo alle armi. Noi in fondo eravamo fortunati, stavamo tornando in un posto sicuro ed eravamo insieme.”
L’odissea dei due giovani neosposi si è conclusa alle 4 del mattino del 13 ottobre.
Quarantotto ore senza dormire, in balia degli orari dei voli in continuo aggiornamento con la paura di un attentato, visto il sovraffollamento in aeroporto, l’incertezza per il futuro di tanti amici, del loro lavoro. Un turbinio di sensazioni e di preoccupazioni che si sono sciolte appena fuori dell’aeroporto di Larnaca. Ora Paola e Philipp sono più tranquilli ma rimane il cruccio di essere andati via e di aver lasciato i loro amici israeliani proprio nel momento più difficile. “Noi continuiamo a lavorare in smart working, siamo in contatto con il centro studi dove sono rimasti gli insegnati più anziani e quei ragazzi che vivono in Israele, ma non sono palestinesi, sono arabo cristiani e non fanno parte dell’esercito. Ancora peggiore la situazione nella striscia di Gaza per la povera gente che subisce la presenza di Hamas. Molti nostri amici israeliani facevano parte dell’associazione Pace Adesso ed erano molto vicini alla causa palestinese e si battevano veramente per la pace. Ora sono in guerra… speriamo che continuino a sperare nella pace!”
QUANDO I FIGLI SONO IN PERICOLO
Mettersi nei panni di… ce lo diciamo spesso. Perché speriamo di comprendere di più, di capire… Ma nel caso di una mamma che sa del figlio in una situazione di pericolo, non è facile. Il dramma che si vive va molto al di là di quello che si può immaginare.
Così è stato per Stefania la mamma di Paola. “Quando si ha i figli all’estero si è abituati a vivere in uno stato di incertezza. Ti chiedi in continuazione dove saranno, cosa staranno facendo. Si attende con ansia i loro messaggi. Poi un po’ ci si abitua… “ Certo che sabato 7 ottobre è stato diverso. “Subito ci siamo accertati, io e mio marito, che Paola e Philipp stessero bene, ma nonostante le continue rassicurazioni da parte loro, si è vissuto nell’ansia. Siamo andati alla ricerca di notizie, abbiamo ascoltato tutti i notiziari, soprattutto abbiamo sperato che l’allarme rientrasse, ma quanto accaduto era troppo grave per immaginare una soluzione a breve. Sospesi nell’incertezza, fanno bene le telefonate di parenti e amici, ma poi quando si è soli tornano le paure. Non si riesce a dormire…” Poi la soluzione! Dopo sei lunghissimi giorni. Alle 0.39 (ora italiana) di venerdì 13, quando arriva il messaggio dell’atterraggio dei ragazzi a Cipro all’aeroporto di Larnaca. “Ora i nostri figli sono al sicuro, ma non si può non pensare ai loro amici israeliani che nell’arco di poche ore hanno smesso il camice di ricercatori e hanno imbracciato le armi. Ora si pensa al dramma delle mamme di quei ragazzi che avevano altri sogni e che con la guerra avevano poco a che fare”.