Silvio Lacasella. La materica fantasia di un orizzonte ideale. Una riflessione sull’arte e su Vicenza.

In questi giorni ad Asiago c’è una mostra molto interessante, concepita con un  fine  acume intellettuale. Una piccola (per numero di artisti) collettiva con  protagonisti Nicola Nannini, Pierantonio Tanzola ed il vicentino Silvio Lacasella. Si chiama “Stanze” e rimarrà aperta al Museo Le Carceri fino al 18 giugno. L’occasione di visitarla favorisce la conoscenza con la pittura di Nannini e Tanzola e la percezione di come si possano realizzare mostre molto intelligenti legate da un tema conduttore e dall’interazione di artisti per aiutare la divulgazione dell’arte contemporanea. Per noi è stata la scusa per incontrare Lacasella e parlare con lui.

Silvio Lacasella all’inaugurazione della mostra lo scorso 6 maggio

“Questa mostra è nata un po’ per caso – dice Silvio – perché quello che ci lega non è tanto la pittura ma l’accademia cignaroli e quindi l’amicizia. Alla fine ci siam chiesti: perché non facciamo una mostra assieme? Nicola e Pierantonio sono persone care e professionisti molto bravi con stili differenti e questa non è una mostra di quelle d’oggi dove tutto deve combaciare e c’è un messaggio da lanciare, no, qui c’è solo il desiderio di stare assieme e poi alcuni punti di riferimento comuni”.

Pierantonio Tanzola, della serie “Omissis”

Nicola Nannini “Autobus”

Silvio Lacasella nasce a Trento nel 1956 ma molto presto si trasferisce con la famiglia a Milano, per poi stabilirsi a Vicenza dove tuttora risiede. Ha esposto in gran parte d’Italia e anche all’estero, iniziando con le incisioni e passando a dipingere nel 1988. La sua è una pittura in cui la luce ha un’importanza fondamentale e in cui il colore svolge un ruolo poetico di descrizione di un paesaggio. Lui stesso cerca di spiegare la sua arte così: “poche, pochissime cose: la linea lontana dell’orizzonte, il variare improvviso di una luce, qualche riflesso d’acqua, il nero di una notte interiore. In questi luoghi non luoghi, sempre mi perdo…”

“Stanze”, il titolo, è nato dopo averne scartati di più inutilmente sofisticati ed è azzeccato perché indica una differenza tra i tre autori e in cui ognuno ha la propria stanza e poi perché il luogo è un ex carcere e le stanze sono le celle dove sono esposte le opere. Nel catalogo, a cura di Stefano Annibaleto, si fa riferimento a Lacasella citando il tema della religiosità che potrebbero trasmettere le sue immagini dove c’è un rapporto con l’assenza più che con la presenza e dove c’è un paesaggio e un dialogo con un atmosfera in cui quello che non c’è pare farsi sentire.

“Accade un po’ come nella pittura romantica – prosegue Silvio – dove la natura si manifesta nella sua maestosità. Ma dove in Friedrich o in Turner c’è l’immagine dell’uomo per determinare un contrasto, io a priori lo escludo perché mi sento attratto dalla luce e da tutto ciò che non è ritraibile e quasi impossibile da raffigurare e questa continua tensione tra ciò che vorrei fare e ciò che non riesco a fare mi avvicina ad una mia riflessione continua con un pensiero dell’arte orientale e i maestri calligrafi, questo tentativo di avvicinamento continuo ad un pensiero che non è quello che sto per dire ma che dentro di me lo è, l’incapacità di raggiunger quello che vorrei fare mi costringe e mi sprona al tempo stesso. Lo sfiorare un punto che si allontana all’orizzonte. Qualcosa manca e così riprovi. Quello che accade un po’ dentro l’acqua. Cogli la bellezza quando c’è o non c’è e non riesci a fermarla. La pittura a differenza della fotografia ovviamente ha meno fedeltà ma ha un valore aggiunto che è quello della trasposizione di uno stato d’animo, c’è il sogno nel sogno, la pennellata non è ripetibile. Qui c’è la transitorietà, il fluttuare di una sensazione che ti sfugge in continuazione e diventa una forma ossessiva che poi, controllata, secondo me è una dedizione poetica all’esistenza”.

Lacasella è artista vero e al contempo uomo semplice. La verità della sua arte è talmente interiorizzata che si manifesta con grande naturalezza e intensità quando è lui a parlartene. Spesso si dice che non c’è miglior critico dell’artista stesso e nel caso di Lacasella l’estrinsecazione dei contenuti dei suoi dipinti è intellegibile perfettamente nelle sue parole. In ogni caso, parlare con un artista vicentino così importante, ti porta per forza a parlare di Vicenza. “Vicenza è un caso strano – dice. Da un lato è un peccato che sia una città che ha il dono di un’eredità fortissima e non sappia sfruttare fino in fondo la presenza di Palladio. Penso a Salisburgo con Mozart o Toledo con El Greco, che fanno molto di più. Parlo della presenza come Perugino a Perugia, ecco, a Vicenza con Palladio non lo fanno fino in fondo. Dovrebbe essere una città in cui bisognerebbe prenotare per venirci! Il luogo è piccolo e la capacità ricettiva è contenuta. Non è valorizzata. Però io allo stesso tempo mi aspetto qualcosa di diverso e non che ci sia solo Palladio. E sul contemporaneo proprio non ci siamo. Perché l’impoverimento di offerte private è palese e ci sono sempre meno gallerie. E non è colpa solo della città. In cultura si premiano i grossi centri assotigliando l’offerta capillare. Passi dagli Uffizi a zone di desolazione assoluta. Tutto è polarizzato”.

“L’attività di un’offerta pubblica è un problema anche maggiore. Fare una mostra ad Asiago è un piccolo miracolo per me. Vicenza ha il suo impoverimento in questo. Se tu vai a Verona o a Padova è visibilissimo quanti spazi loro abbiano di media e grande o piccola possibilità espositiva, mentre Vicenza ha poco o niente. Non ha luoghi, no ha spazi, soprattutto non ha mai voluto crearli questi spazi. Se un nuovo Raffeallo nascesse a Vicenza e tutti si accorgessero della sua genialità, dove gliela facciamo la mostra? E’ sempre più difficile far germogliare. E non vuol dire non ci siano talenti. Anzi”.

Chiudiamo con le mostre. Da Goldin alle ultime organizzate in Basilica. “Io faccio il tifo sia per le grandi mostre che per le piccole. Come per Palladio e i contemporanei. Non voglio pregiudizi su Goldin o simili perché la gente che va in quelle mostre non andrebbe nelle altre e per me portare la gente a vedere quadri straordinari è sempre un atto lodevolissimo. Quello che però non capisco è come non si sia pensata un’alternativa seria. Sentivo dire che al posto delle mostre blockbuster ci sarebbe stata attenzione ai nostri artisti. Bene, siete contro le grandi mostre? Come mai allora nulla sui centenari di Maffei e di Bartolomeo Montagna? Come mai non avete fatto Fogolino?”.  

https://www.silviolacasella.it/

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