SERGIO CASTELLITTO “ZORRO”

Finisce in trionfo e se lo merita tutto. Parliamo di lui, Castellitto, attore realmente di un’altra categoria, sicuramente tra gli interpreti migliori visti negli ultimi anni al Comunale. Si muove come un gigante, è imponente, trabocca fisicità. Riesce a dipingere vere e proprie scene con minimi movimenti, ti comunica la presenza di tutto quel che non c’è. L’uso del guinzaglio che rappresenta il cane Zorro è quasi commovente da quanto arriva a farti persino amare quell’animale invisibile. La regia (dello stesso attore) è perfetta nel suo essere calibratissima sul testo e nel disegnare tutto il necessario con pochissimo. Un’ora e mezza che vola via e ne vorresti di più. Perché all’inizio forse rimani perplesso sulla storia. Un clochard, la verità rovesciata, lo stare meglio di chi sta peggio… capirai che novità. Invece piano piano il testo di Margaret Mazzantini prende corpo nella sua intensità, durezza e poesia. Nessuna autocommiserazione, nessuna colpa, nessun rancore. Il barbone Castellitto racconta la sua vita e la racconta dentro a quel quadro sempre sul punto di staccarsi dal chiodo che si chiama destino. Una famiglia normale, una sorella, una madre che poi muore, una moglie, un lavoro, una conduzione dei sentimenti famigliari e coniugali da uomo medio, quasi mediocre. Poi il fatto che cambia i dadi che nemmeno lui aveva lanciato. E quindi il baratro. Andate a vederlo se potete, non vi sveliamo di certo tutta la trama, ma una cosa ve la diciamo: guardate Castellitto, guardatelo tra un cappello, un guinzaglio e una panchina, guardatelo mentre danza, mentre parla con immaginari passanti, guardatelo bene: vedrete grande teatro. L’affetto che si prova per il suo personaggio è privo di morale, privo di giudizio. Nessuno esce benissimo dalla storia, ma nemmeno poi tanto male. Facile sarebbe dire che il clochard fa tenerezza, quel tipo di tenerezza legata alla povertà, alla solitudine. Ma Zorro parla soprattutto di cose e persone lasciate e che lasciano, di società che respingono, di inettitudine, di fuori posto e fuori fuoco. Quindi parla di noi tutti, avvolti dal fumo che arriva dal palco, sicuri di essere al di qua di quel muro che separa chi dorme sereno da chi si sveglia su una panchina.

Aprile 2024

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