Claudio Pasqualin: l’uomo, lo sportivo, il professionista e una vita di passioni.

Avvocato, re dei procuratori calcistici per lungo tempo, esperto e tecnico di ciclismo, membro della confraternita del baccalà, Claudio Pasqualin è queste e molte altre cose e di certo è una delle figure più rappresentative di Vicenza. Lo trovi nei ristoranti, in tv, in sella alla bici (ha vinto un mondiale over 70 giornalisti, 8 titoli italiani giornalista e 10 di campione italiano avvocati) e lo trovi sempre con lo stesso sorriso, la stessa disponibilità e la medesima voglia di lavorare seriamente ma anche di prendere la vita con sana leggerezza. Noi lo incontriamo all’ora giusta: quella dell’aperitivo.

Si sente vicentino e quanto del nostro essere ha portato nel suo lavoro?

Assolutamente sì nonostante la mia friulanità che si distingue col motto “sald, onest e lavorador“. Noi friulani siamo una specie di tribù e abbiamo il senso della piccola patria. Però sono 50 anni che vivo a Vicenza quindi sì, sono assolutamente vicentino. La vicentinità invece non si è mai capito cosa sia; nemmeno Virgilio Scapin, con cui ne parlavo, sapeva descriverla. Forse, se devo azzardare una definizione, è discrezione e voglia di fare.

Com’è diventato procuratore?

Esco dall’Associazione Calciatori in cui facevo pratica come notaio e magistrato e telefono a Sergio Campana. Lo avevo conosciuto per la mia tesi di laurea in materia calcistica. Trattava del diritto commerciale sulla trasformazione delle associazioni calcistiche in spa. Telefono a Campana, dicevo, e mi propongo direttamente. Lui mi manda da Giacomini (all’epoca consigliere) e finisce che, in maniera anche piuttosto bizzarra, una sera scopro di essere stato eletto segretario, e così sono venuto a Vicenza. Ho praticamente messo in piedi l’associazione. Era il febbraio del 1971. Lavoravo per AIC e facevo l’avvocato, sono diventato procuratore legale, e anni dopo ho fatto il processo dell’Hysel come patrono di parte civile. Poi il processo contro Falcao. In poche parole divenni famoso. Prima ancora fui vicino alla presidenza del Milan. Un giorno lessi sul giornale: “Milan, la presidenza ad Arces ma il nome nuovo è Pasqualin” perché Colombo aveva bisogno di un professionista al suo posto ed io nemmeno sapevo avesse fatto il mio nome. Erano altri anni. Ad un certo punto venne a suonarmi alla porta (siamo negli ‘80) Eligio Nicolini, ottimo centrocampista del Lanerossi, che mi chiede di occuparmi del suo contratto. Non posso certo dire avessi la vocazione o il sacro fuoco, anzi magari dentro di me avrei preferito diventare un dirigente calcistico. In ogni caso mi adoperai per far rinnovare il contratto di Nicolini e quando mi chiese quanto mi doveva gli dissi “fai tu”, al che lui mi corrispose il 5% lasciandomi sbalordito.. poi arrivarono Perrone, Pasciullo e compagnia, e pian piano iniziai a muovermi: andavo a Taranto, Arezzo, ho iniziato dal basso.

Pasqualin con Campana, Mazzola, Rivera e Giacomini

La famosa firma di Del Piero davanti al baccalà?

Un mito creato dalla stampa. Quello che accadde fu molto diverso. La cosa vera è che Alex venne a mangiare il baccalà e ci vennero pure Moggi e Giraudo ma in tempi diversi, e la famosa firma non si fece al ristorante famoso di Sandrigo ma in realtà si procrastinò. Del Piero si era infortunato gravemente ad Udine e doveva star fuori quasi un anno. La dirigenza della Juve non era sicura che il ragazzo sarebbe tornato quello di prima e intanto squadre come Manchester United e Real Madrid si facevano sotto. Alex però voleva solo la Juve perché è davvero juventino nel sangue. A quel punto io mi son giocato la carta del tempo. Se avessi fatto passare mesi mettendo la Juve di fronte allo spettro della scadenza del contratto li avrei praticamente costretti a firmare per non perdere il giocatore a zero. E così è stato. Dopo la firma arrivò Lippi con lo champagne. Quindi ribadisco: quel ristorante era una sorta di mio centro ma non è stato firmato là, c’erano Giraudo e Moggi ma la volontà era procrastinare. Mangiammo e bevemmo fino a tardi e credo furono contenti del baccalà e anche del vino.

Com’era il calcio quando è entrato lei e cos’è cambiato oggi in meglio e in peggio?

Ora c’è il mediatore e non il procuratore, una volta non esisteva. Noi venivamo pagati dai calciatori una cifra fissa. Io rimboccavo le coperte ai giocatori, facevo tutto io, entravo anche nelle loro vita sociale e civile; sono stato pure tante volte testimone di nozze. Non addosso colpe ai professionisti di oggi, la colpa, per intenderci, non è dei Raiola ma di chi ha permesso questo. Noi fatturavamo al calciatore altrimenti era conflitto di interessi. Forse è ora di porre mano alla figura giuridica del calciatore. La legge 91 nacque dalla nostra attività nel 1981: il legislatore fu molto in dubbio, e infine optò per il subordinato.

Un giocatore che avrebbe voluto e non è riuscito ad avere?

Roberto Baggio, che mi aveva già quasi detto di sì. Vado a Caldogno con Silvano Maioli perché Baggio si lamentava di Caliendo ma allo stesso tempo aveva Vittorio Petrone che lo condizionava e alla fine non se ne fece nulla proprio per la difficoltà di Roberto nel decidere da solo.

Uno che ha avuto e di cui si è pentito?

No, pentito direi di nessuno. E pensa che ho avuto anche Cassano perché era a Bari e mi dicevano fosse un fenomeno. Così iniziamo una trattativa senza però vederci mai di persona. Una sera mi chiamano ospite alla Domenica Sportiva e mi dicono che c’è Cassano collegato in diretta e lui mi saluta come se ci fossimo visti mille volte. Poi dopo due anni è finita, ma non per problemi. Non ho mai avuto calciatori che mi hanno creato fastidi seri.

Qualche trattativa difficile o particolare? Aneddoti divertenti?

Direi Bierhoff con Pieraldo Dalle Carbonare che non mi saluta per due anni perché lo voleva lui a tutti i costi. Una sera sono a Tele Padova con i presidenti Pozzo (Udinese) e Pieraldo che mi tirano per la giacchetta, poi usciamo dagli studi e ricevo una telefonata in cui mi viene detto che Bierhoff andava dall’Ascoli all’Udinese. Io dovevo solo prenderne atto, visto che non era in scadenza di contratto. Bierhoff è un personaggio fantastico che si presentava benissimo, elegante, un signore. Di divertente invece potrei raccontare la partita a Londra tra Chelsea e Vicenza. Io mi trovo seduto a fianco di Mike Bongiorno che tifa Chelsea come fosse la Juve. Io invece ovviamente tifavo con tutto me stesso per il Vicenza. Ad un certo punto mi giro e gli faccio: “Ma come puoi tifare contro una squadra italiana?” e Mike “Beh ma io sono molto amico di Vialli, tu piuttosto come puoi tifargli contro che sei il suo procuratore?” al che io gli ho risposto “Scherzi? Sono di Vicenza e viene prima di tutto!”.

Con Oliver Bierhoff

Ci sono troppi soldi oggi, ormai lo sostengono tutti. Le realtà PSG o City cosa vogliono dire? E venendo alla stretta attualità: cosa pensa delle plusvalenze?

Le plusvalenze sono un problema vero ma mica da oggi, perché tengono in piedi il giocattolo ma dobbiamo riconoscere che il calcio è un sistema gonfiato che sta attaccato con lo sputo. Ora sono arrivati dei fondi fino a poco tempo fa impensabili, ma non è ancora comprensibile come sia possibile. Arriva un cinese che mantiene l’Inter indebitandosi e chiede poi i soldi in prestito. Dov’è il senso di tutto questo? Come si può giustificare? Non c’è giustizia, non c’è equità, e nemmeno rispetto per chi paga senza avere colpe, come nel caso di Platini.

Ne abbiamo già parlato prima nel siparietto con Mike Bongiorno, ma ci può dare un ricordo di Gianluca Vialli?

Rimasi sorpreso quando mi chiamò; aveva 29 anni e si era gestito tutta la carriera da solo ma avendo il contratto dubbio con la Juve sentiva l’esigenza di un occhio diverso. Iniziai con lui un rapporto anche grazie ai suoi molti compagni di squadra che io già seguivo. Quell’anno la Juve finì col vincere la Champions League e Gianluca voleva lasciare solo dopo essere arrivato al top. Il Glasgow lo voleva da morire ma la spuntò il Chelsea sia per le ambizioni del club che per la città. A quel punto Vialli pensò di scrivere una lettera al presidente del Glasgow per motivare il suo no e, così facendo, porgergli le scuse. Una cosa che non ho mai visto fare da nessuno in tutta la mia carriera. Il suo carisma ce l’avevano pochissimi. Era poi un perfezionista totale, un grande professionista.

Domanda al gourmet: col baccalà ci va il Vespaiolo o il Tai rosso?

Vespaiolo tutta la vita. L’acidità del Vespaiolo pulisce la bocca.

Il Lane andrà in serie B?

Assolutamente si!

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