STELLA DI MARE – CHIACCHIERE IN QUESTURA A VICENZA

Lizayyak? Conosco una sola parola egiziana. E la dico – cercando una pronuncia almeno comprensibile, se non plausibile – al bambino in braccio alla giovane donna con lo hijab grigio e lo sguardo assente. Il bambino avrà al massimo 5 anni e l’aria particolarmente sveglia. Mi fissa da 5 minuti. Sono le sei del mattino e da quasi tre ore sono seduto in questo grande stanzone troppo caldo e troppo illuminato della questura di Vicenza. Con noi ci sono altre cinque persone dall’aspetto per niente raccomandabile. Uno passeggia avanti e indietro vicino alla piccola finestrella. E impreca. Il poliziotto ogni tanto gli intima di sedersi ma quello sembra ignorarlo e lo guarda bieco. Il messo peggio è il ragazzo vicino alla porta, accovacciato sulla sedia con le gambe incrociate e le mani tra i capelli. È rigido. Credo stia a metà via tra la disperazione e la fredda confusione da down di eroina. Il tipo con il quale ho fatto il viaggio nella macchina della polizia stradale non c’è. Credo sia finito in una cella isolata. Siamo tutti in attesa del vicequestore che arriverà tra mezzora. La giovane mamma ha un sorriso di cortesia e degli occhi profondissimi e notturni. “A lui piace disegnare” mi dice. “Ah si” dico, tirando fuori dalla tasca del cappotto penna e taccuino che il bambino non esita ad afferrare. “Perché è qui?”, mi chiede lei mentre il suo cucciolo tira fuori la lingua e si mette a disegnare qualcosa che sembra molto elaborato. Le spiego che ieri notte non avevo sonno e avevo voglia di andare al mare. Quindi, verso le due e mezza, esco di casa e salgo in macchina. Con questa camicia hawaiana, aggiungo, spostando il cappotto. Perché ho voglia di andare al mare. E quindi imbocco l’autostrada verso Venezia. Ma nel tragitto mi viene fame e mi ritrovo in autogrill a decidere se abbracciare il masochismo del famoso Camogli o la chimica monogusto della Sachertorte.

Non faccio in tempo a dire la mia scelta, il Camogli, al tipo magrissimo con la maglietta rossa del gruppo Autogrill (circa 35 anni e la faccia scavata che mi ricorda in maniera impressionante Harry Dean Stanton in Paris Texas), che un tipo simile ad un armadio colpito da un ascia mi si avvicina con un alito che sa di verdura marcia. D’istinto mi sposto ma quello si avvicina ancora. “Ma che cazzo vuoi?” gli dico con tutta la gentilezza possibile. E lui: “Una birra, solo una birra” e viene sempre più vicino, come se volessi baciarmi. Come succede in questi casi, il pensiero può essere uno solo: “Tira fuori il coltello e bucami pure, ubriaco figlio di puttana!”. E così lo sposto con le mani ma quello perde l’equilibrio e finisce sullo scaffale dei libri da autogrill. Puolo Coelho e le sue inutili pillole di saggezza, le fottute 50 sfumature di grigio, l’ultima pippa di Stefano Benni e persino l’ennesima raccolta fondi di Fabio Volo e di Bruno Vespa schizzano via da sotto il culo flaccido di questo balordo da 100 e passa chili.

Harry Dean spalanca la bocca. Ha la barba di almeno una settimana. Io non faccio in tempo a pensare cosa cazzo devo scrivere per piazzare un mio best seller accanto al libro di cucina di Benedetta Parodi che una poliziotta alta e dai capelli neri corvino entra dalla porta a vetri dell’autogrill con già la mano sulla pistola. “Ehi, tranquilla”, le dico. Ma non vuole sentire spiegazioni. Le spiegazioni, dice, gliele devo dare al vice questore. E mi carica in macchina con il balordo che puzza di birra e cipolla. Il viaggio verso Padova ha qualcosa di surreale, ma tutta la situazione sembra parecchio interessante. La ragazza araba sembra aver ascoltato il mio racconto con una cortesia che mi commuove. Suo figlio le mostra il disegno ormai completato. Lei gli accarezza i capelli e mi ringrazia, allungandomi la Moleskine. Sulla pagina c’è una stella marina. A volte la vita è divertente, penso, mentre il poliziotto chiama il mio nome.

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