BERTOLIANA E PSEUDOSUSHI

Prendo il sushi in offerta al supermercato e un paio di birre. Al bancone delle offerte c’è un tipo che parla forte al cellulare di qualcosa di importantissimo. Disturba la dolce quiete della musica da supermercato in sottofondo., che non è esattamente Brian Eno ma gradevole. Sì, gradevole. Arrivo alle casse e sto per chiedere gentilmente una cosa alla cassiera quando arriva una tipa con un cane in mano, un cane molto piccolo, la tipa mi interrompe e chiede alla cassiera “c’è il bagno all’interno del supermercatooo???”. Io e la cassiera ci guardiamo come dire “povera scema”. Poi vado a casa con la mia spesa, metto le birre in frigo e guardo le istruzioni sulla confezione di sushi. Dice che devo aprire la plastica e lasciare respirare il cibo per mezz’ora prima di mangiarlo. È primavera, una bella sera di primavera e decido di uscire, in attesa che il mio cibo respiri sufficientemente.

Sono le 22:30 e Vicenza è completamente deserta. I bar sono tutti chiusi, non c’è gente per strada. Vado verso il centro e in lontananza sento delle risate sguaiate, sembrano dei ragazzini. Sono dei ragazzini. Pieni di vita di provincia. Poi passa un’auto della polizia, percorre le strade deserte e quell’eco si spegne. Giro in una via laterale del cardo, parallela al decumano. Hanno rifatto la biblioteca, c’è l’invito a leggere libri. La  strada è illuminata ma vuota. Sembra un museo abbandonato dalla vita, come in effetti sono tutti i musei, ma che qualcuno si prende la briga di tenere a posto. Mi chiedo come sarebbe se qui ci fosse un giardino e fosse pieno di gente che parla di arte, di libri e di visione. Ma alla fine mi piace anche questo simbolo della decadenza. Immagino la moltitudine di libri al suo interno, mi chiedo se esista qualcuno, in questa città, che abbia l’ossessione di leggerli tutti, se persegue lo scopo impossibile di poterci riuscire. Me lo immagino come un tipo solitario e riservato, anche ordinario. Uno di quei tipi che ci sono e non ci sono, non abbastanza strano da essere notato e nemmeno abbastanza normale da essere cercato. Un tipo all’apparenza mediocre, con l’ossessione di voler leggere tutti i libri della biblioteca. Leggerli, non sfogliarli. Col tempo magari è arrivato al leggerne uno al giorno, calcolando gli spazi vuoti tra le ore per il lavoro, quelle per il cibo, quelle per la cura del corpo (se hai lo scopo di leggere tutti i libri della biblioteca devi mantenerti in forma per cercare di morire il più tardi possibile mantenendo sani soprattutto occhi e cervello) e quelle per il sonno. Ma anche così, fallirebbe nel suo proposito, morirebbe senza aver letto tutti i libri di quella biblioteca di una città di provincia. E la sua ossessione lo divorerebbe. In ogni caso, passo davanti alla biblioteca con questi pensieri in testa e torno ancora verso nord, girando per un vicoletto di ciottolato, affiancato da un vecchio muro avvolto nell’edera. Alla fine c’è un bar, uno dei pochi ancora aperti. All’interno stanno trasmettendo una partita, fuori c’è un tipo da solo che beve una birra e guarda il cellulare, poi ne esce un altro, con le bermuda e con un cane al guinzaglio (non sotto braccio come la tipa del supermercato) e dice qualcosa al tipo fuori, intercalato da  un’espressione continua tipo “babù.. babù”, Passo e guardo il cane, il cane mi guarda con due occhi lucidi, come per dirmi “non sono stato io”. Allora giro a sinistra e attraverso un ponte. Il fiume  sotto fa delle piccole cascate scivolando con grazia su uno scalino artificiale e da una finestra arriva la luce blù di un neon gigantesco, sembra un faro psichedelico per navi fantasma. La finestra, in realtà è la vetrata di un grande appartamento sospeso sul fiume con dei piloni di cemento. La casa mi ricorda un film di Hitchcock.

Mi sembra che ci abiti un famoso architetto o pittore, qualcosa del genere. Poi passo davanti a un negozio di vecchi articoli da barbiere, compresi dei bellissimi rasoi. Penso al rapporto che da sempre l’uomo ha con i coltelli e penso come questo rapporto stia scomparendo. La mia epoca ora non affila proprio niente, semplicemente, in modo fottutamente complicato inscatola e distrugge. Ma tanto vale, il mio sushi mi sta aspettando. Anzi, è passata quasi un’ora. Non ho seguito le istruzioni. E chissà se, in quella mezzora in più in cui ha respirato, il sushi non abbia acquisito una coscienza. E così, appena apro la  porta di casa, dopo aver girato la chiave nella serratura, magari il sushi decide di mangiarmi e inizia l’invasione degli pseudosushi in tutto il mondo. E allora sì che la razza umana sarebbe fottuta. E tutti i pezzi del puzzle andrebbero al loro posto

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