Monte Berico verso il seicentesimo anniversario dell’apparizione della Vergine. Il convegno che ha aperto il progetto “Un giubileo per la rinascita. Monte Berico 2026”.

Monte Berico si prepara ad un appuntamento storico: i 600 anni dall’apparizione della Vergine a Vincenza Pasini, ed è una celebrazione a cui ci si deve approcciare con impegno e visione. Il colle che domina Vicenza è luogo sacro e mèta costante di pellegrinaggio da tutta la penisola. Ma al tempo stesso vi sono criticità come lo stato dei portici, il rapporto con la città, il degrado lungo il percorso e la maleducazione con cui è spesso trattato il piazzale della Vittoria. Sei secoli da quel 7 marzo del 1426 meritano di essere festeggiati con un giro di vite importante ed una rinascita del luogo. Il Priore Carlo Rossato preferisce usare il termine “fioritura”, come fosse una nuova primavera. Di certo il Santuario, che è anima spirituale e guida della nostra comunità, riveste un’importanza enorme non solo dal punto di vista religioso e spirituale, ma anche da quello turistico, culturale, patrimoniale e artistico. Saranno 4 anni, questi che ci separano dalla ricorrenza, in cui la cittadinanza e non, sarà chiamata a percorrere una strada di avvicinamento ai temi e ai significati di Monte Berico, affinché la fioritura auspicata da Padre Rossato possa compiersi.

In quest’ottica si è tenuto il convegno “7 Marzo 1426 una storia che continua” che è il primo passo per il progetto “Un giubileo per la rinascita. Monte Berico 2026”

Dopo il saluto delle autorità presenti (sindaco Rucco e presidente consiglio regionale Ciambetti), i lavori sono stati aperti da Franco Cardini. Lo storico fiorentino ha parlato di Monte Berico come di un caso particolare. Nel suo intervento ha affrontato il tema della sacralità della montagna e del carattere sacro dell’ascesa alla montagna. Il rapporto tra la figura di Maria e la natura del monte. Il rapporto tra la montagna e il cristianiesimo.

“Mi ricordo il sentiero porticato di San Luca  che è molto simile a questo. C’è un’analogia tra la città e la montagna che si vede bene pensando al rapporto Bologna/San Luca – Vicenza/Monte Berico. Oppure Guadalupe e Città del Messico”. Cardini ha poi parlato della figura della “genitrice di dio che per giunta è vergine e che quindi è un concetto scandaloso”.

Per il professore “l’antropologia religiosa non serve solo a fare confronti, ma serve a chiedersi quali siano i fondamenti nel rapporto tra il messaggio divino e il genere umano. Dio parla a tutte le fedi e a tutte le culture. Papa Pio X chiede “Dov’è Dio?”, e la risposta è che Dio è in cielo ed in terra ed in ogni luogo ma non è in ogni luogo con le stessa intensità. Non in ogni cuore, non in ogni anima”.

Ha preso poi la parola Padre Gino Alberto Faccioli, che è l’anima ed il motore del progetto “Monte Berico 2026”. Ha ricordato la peculiarità di questa apparizione, citando il documento che ne attesta la realtà storica, che è un documento prima civile e poi religioso, come testimoniato dai dati del processo del 1430. “Quando Maria si manifesta – ha spiegato Padre Faccioli – la chiesa come prima cosa dubita. La gente allora spesso critica la chiesa perché non si esprime, ma in realtà la chiesa quando è chiamata ad affrontare questo problema non lo fa da sola ma chiede aiuto ad una serie di specialisti che partono dal presupposto che l’evento, a priori, non viene negato mai ed è solo il tempo che darà ragione o torto. Per i teologi, le apparizioni vanno iscritte nell’ambito delle rivelazioni private perché le rivelazioni pubbliche sono terminate con la morte dell’ultimo apostolo. Dio, in Gesù Cristo, ha detto l’ultima sua parola”. Il mariologo ha poi delineato la differenza tra apparizione e visione: “Per visione si intende la percezione soprannaturale di un oggetto che è invisibile per l’uomo. Mentre per apparizione si intende qualcosa di percepibile. La visione è intima, l’apparizione ha a che fare con la percezione esterna”.

Si è poi addentrato nel racconto dei fatti accaduti sul colle. “Maria diede un incarico a donna Vincenza; la costruzione di una chiesa della quale lei stessa andò a tracciare il perimetro. Era già tipico in tempo medioevale piantare delle croci nei monti come segno di punto di preghiera. Un altro elemento che troviamo nell’apparizione è la fonte d’acqua. Maria dice: “a testimonianza di quanto dico scavate lì e troverete acqua”. La Pasini era convinta di non essere creduta e il segno dell’acqua va posto in continuità con il messaggio di speranza perché anche quel segno scaturisce dalla croce”.

Terza relatrice è stata la storica dell’arte Agata Keran che cura, tra le altre cose, anche il museo del santuario. Un museo della devozione ancora viva e in crescita perché arrivano ogni giorno nuove testimonianze che si possono dire arte. Keran ha mostrato ai presenti al convegno alcune immagini tra cui quella del volto di donna Vincenza. Un volto difficile da definire, una figura a cui si fa fatica ad attribuire un’età. Donna Vicenza (come la chiama Keran partendo da documenti storici) aveva origini umili, era la moglie di un carpentarius, che poteva essere un semplicissimo taglialegna ma anche un più nobile falegname. “Di donna Vicenza si parla di più post mortem- ha proseguito Agata Keran – e già dopo un anno dalla morte c’è voce di un miracolo. La venerazione nei confronti suoi nasce subito. Il monastero di Ognissanti che stato costruito dagli Umiliati nel 1215, divenne luogo di culto di donna Vicenza. Si trovava accanto a porta monte, e alle scalette che all’epoca di Vincenza Pasini erano solo un impervio sentiero per salire e scendere. Lei aveva 70 anni.

Ha concluso i lavori l’intervento di Giuseppe Barbieri, storico dell’arte, direttore del dipartimento di filosofia e beni culturali all’Università Cà Foscari di Venezia e vicentino molto legato alla realtà del santuario. “Vicenza aveva una particolare attitudine a mostrarsi – ha spiegato il professor Barbieri. Il monte sarebbe dovuto essere trasformato in una sorta di fortezza militare che però era troppo lontana dalla città e quindi la fortificazione di Monte Berico diventa così troppo onerosa. Si pensò poi di usare canali d’acqua al posto delle mura, ma le mura di Vicenza, così come quelle di  Venezia, sono soprattutto i petti dei cittadini e anche i loro portafogli”.

“Il santuario ha sempre avuto un distacco dalla città. Il collegamento tra la città e il monte è antichissimo e risale all’epoca romana. La strada che arriva all’arco delle scalette e poi, di lì, al monte, arrivava da piazza dei Signori fino all’antico teatro Berga e poi proseguiva ulteriormente. Una via antichissima di attraversamento del tessuto urbano della città. In epoca medievale arriva la porta monte e la chiesa di San Pietro in monte. L’arco è del 1595 e mostra un recupero della romanità filtrata attraverso l’esperienza rinascimentale”.

Barbieri si è poi addentrato nella lunga vicenda che portò alla fine alla realizzazione dello splendido portico che tutti conosciamo. “Francesco Muttoni realizzò un progetto nel 1713 (in soli 4 giorni!) a fronte della richiesta del comune di collocare la fiera fuori dalle piazze centrali. SI decise di metterla in viale Roma. Teatro Eretenio e teatro Verdi sarebbero stati ai lati. Lo spazio era sociale, di passeggio, di commercio, di divertimento intelligente. Non andò in porto e Muttoni presentò alla municipalità, nel 1741, un nuovo progetto, in cui i portici venivano accostati al monte, consentendo grossi risparmi ma anche il collegamento tra Monte Berico e Campo Marzo”.

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