Il discorso di fine anno di ViCult. Un editoriale che è anche un programma.

Care lettrici e cari lettori di ViCult. Oggi arriviamo al nostro quinto mese di vita, e tra pochi giorni entreremo assieme a voi in un nuovo anno. Tempo di primi bilanci, quindi. Piccoli, parzialissimi e sotto traccia. Siamo letti da più persone di quanto pensassimo cinque mesi fa, o almeno di quanto sperassimo accadesse in soli cinque mesi. Moltissimi sono “addetti ai lavori” e questo ci fa sentire in una sorta di club popolare e ci fa anche capire come sia importante creare un tessuto comune di comunicazione quando si tratta di cultura. Oggi si parla talmente tanto di cultura che si è arrivati a travisarne il senso. A noi piace ricordare cosa intendiamo noi per cultura: una coltivazione, uno sviluppo, un’educazione. Nulla di astratto e nulla di catalogabile.
Semplicemente noi, il nostro essere comunità ed individui, e la nostra sete di conoscenza che sfocia nelle analisi di cosa significhi stare al mondo, interpretarlo, capirlo, criticarlo e di come la conoscenza socratica, unita all’arte, sia la via suprema per elevare lo spirito. E’ di Renato Nicolini l’affermazione: “La Cultura non è il tappeto rosso del politico di turno”, ed in quella frase vi è un senso molto più grande di cosa significhi porsi davanti agli operatori culturali in primis e a tutto il mondo del sapere, e dell’arte in generale. Nicolini viene ricordato come il padre dell’operazione “Estate Romana”, manifestazione con la quale si identifica il suo Assessorato alla Cultura. Il suo obiettivo era quello di avvicinare le pratiche “alte” alle pratiche “basse”, dando nuova centralità a tutti gli spazi pubblici come principali catalizzatori di identità condivise. Così facendo, Nicolini di fatto creò un nuovo modello di politica culturale urbana. Una visione della società talmente chiara, da divenire un manifesto politico, che troppo poco ormai si ricorda come si dovrebbe.
Vogliamo provare anche noi ad immaginarci una città che possa essere sintesi tra storia e futuro, tra studio e ricerca continua, profondamente attraente ai visitatori per le proprie potenzialità artistiche. Viviamo in una provincia in cui l’architettura è la scena fissa della vita e dobbiamo dare importanza all’azione e quindi ai luoghi vivi, in cui succede qualcosa. Parliamo di spazi, parola chiave se si parla di “fare” cultura. E di mangiarci anche. Perché chi disse che con la cultura non si mangia era clamorosamente in errore. Con QUESTA cultura non si mangia.
Se capissimo e vedessimo l’estetica con occhi giusti ci sarebbero enormi possibilità. Serve un collegamento delle diverse forme artistiche, dalla pittura al teatro alla musica. E questo necessita di spazi.
Non esiste in città un luogo condannato ad essere periferia. Vicenza non è solo Piazza dei Signori. Ma diremo di più: Vicenza non è solo Vicenza! Il progetto candidatura a capitale della cultura, ad esempio, ha dalla sua un punto fortissimo, quello dell’allargamento e della partecipazione di praticamente tutta la provincia. Iniziassimo a ragionare in termini di città allargata sarebbe un grande giovamento per cultura e turismo. Dalla Valle dell’Agno fino a Lonigo, dall’Altipiano fino a Bassano e Thiene, viviamo un territorio realmente straordinario per varietà e vastità. Pensare vicentino dovrebbe equivalere a pensare in grande e non ad essere provincia e provinciali per forza.
Spesso e volentieri fa solo male alla cultura parlarne così tanto e ridurla a fenomeno da talk.
Spesso le pubbliche amministrazioni non sono in grado né di coinvolgere le fasce più emarginate della popolazione nella fruizione di prodotti culturali, né di garantire quella ricerca e indicazione di una nuova definizione del gusto.
Quindi, oltre agli spazi serve con urgenza una vera progettazione culturale. Una progettazione che sia concepita come vero cambiamento.
Che incroci tra loro i concetti di luogo e di comunità, rendendo questi elementi essenziali per ogni progetto. Senza dialogo, qualunque forma di cultura è vaga, incapace di imprimere una reale trasformazione al contesto.
Occorre ripensare ai luoghi in città e in provincia, nei paesi e nelle periferie.
Una cultura che cresca dal basso, non come invenzione ma come vita, come aria che si respira, come, e lo ripetiamo ancora, comunità.
Dobbiamo guardare in faccia una realtà che ci dice che il nostro Paese soffre di un analfabetismo strutturale in drammatica crescita. I test Invalsi parlano chiaro. Generazioni che non leggono più, che non capiscono i testi, che inseguono la semplicità a tutti i costi, che si smarriscono dentro al telefono. Ormai abbiamo quasi tutti braccia cyberpunk: fusione fra carne e macchina.
Finiscono le dita e comincia il cellulare. Eppure non avvertiamo, negli stralci di conversazione che captiamo, un’urgenza di parlare.
Sembra si debba comunicare solo in virtù dell’abbondanza di mezzi di comunicazione.
Spalmare il poco che i più hanno da dire su molti modi di dirlo.
Poi c’è la rabbia, figlia dell’apatia, in una Vicenza “da bere” che offre mille bar e nessun vero luogo di aggregazione. Il quadro d’assieme è un orizzonte lontano su cui lavorare sodo se si vuole uscire da questo cul de sac.
Per l’anno nuovo l’augurio è quello di avere una città sempre più universitaria, di avere più progetti mirati alla divulgazione, di mettersi in testa che dobbiamo, tutti assieme, cercare di rendere la società più colta prima che sia troppo tardi.
Quindi spazi, progettazione e rete. E una visione. E non dico nuova, perché non ne esiste una da sostituire.
ViCult si propone di crescere sempre di più. Ma abbiamo bisogno di voi. Vogliamo essere il porto franco della cultura vicentina. Un luogo libero per tutti, davvero tutti. Un luogo virtuale ma nemmeno poi tanto, in cui artisti, pensatori, innamorati della nostra provincia, si possano esprimere per quello che sono e che hanno da offrire. Una comunità. Se ci aiutate, insieme, ce la faremo. Buon anno.

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