Una città perbene o perbenista? Tra il Commissario Pepe e la Celestina: la Vicenza del vizio e del giudizio.

“Questa è una città industriale, cattolica, una città di gastronomi, di sportivi, di studiosi… e invece niente… La gente nelle chiese, nelle fabbriche, a tavola, negli stadi, nelle biblioteche, non pensa che a una cosa. Tu vedi uno che cammina per la strada triste, preoccupato, credi che abbia chissà quali problemi economici, famigliari, lo compatisci… e invece niente… sta pensando solo a quello, cattolicamente. I bambini hanno fretta di crescere per cominciare, i maturi non vogliono invecchiare per paura di smettere, i vecchi sperano in una pillola che possa farli ricominciare. Le mogli dei vecchi cercano i giovani, le mogli dei giovani cercano i vecchi, ricchi. Dicono che tutte le strade portano a Roma… so io dove portano”

Il Commissario Pepe fu uno specchio in cui molti vicentini finsero di non riconoscersi ma la città era in realtà descritta con sarcastica lucidità. La dicotomia tra conformismo e vizio è tanto classica quanto veritiera. Sotto la coltre di moralismo, apparenza e calvinismo di provincia, giace un corpo cittadino ben più in subbuglio di quanto si voglia far credere. Il punto centrale non è nemmeno il sesso, come il film di Scola mostrava e metteva in risalto. L’attitudine boccaccesca è giusto una metafora per illustrare il nodo centrale: la differenza tra persone perbene e perbeniste. Il “buonismo” imperante ci ha portato a credere che difendere la causa delle persone perbene sia da piccolo borghesi, da qualunquisti. Come se non ci potesse essere vita eccitante dentro ad una parola del genere. Ma se prendiamo proprio la parola e capiamo che è composta da un “per” e da un “bene”, magari capiamo che significa “per il bene” oppure “a pro del bene” e forse il giudizio cambia. Certo, direte voi, ma cos’è il bene e chi lo decide? Il bene, innanzitutto, è la libertà di essere se stessi senza limitare la libertà altrui, anzi, rendendosi partecipi del benessere dell’altro, e dentro a questa definizione non può quindi trovar posto il giudizio. Dove c’è giudizio non può esserci giustizia, diceva Tolstoj, e Vicenza purtroppo è una città che troppo spesso giudica, chiacchiera, etichetta, si offende. In altre parole rischia di essere una città perbenista.

Il vocabolario Treccani definisce “perbene” una persona “onesta, proba, sotto l’aspetto sociale e morale”. Ma lo stesso vocabolario definisce così “perbenismo”, derivato di perbene: “Con connotazione polemica, modo di comportarsi di chi vuole apparire persona perbene, seguendo con qualche ostentazione le norme della morale comune o uniformandosi a quelle della classe sociale dominante”.

Essere perbene a Vicenza a volte diventa un problema. Se sei per il pensiero libero, se non hai paura di mostrare i tuoi difetti e i tuoi limiti, se ammetti le debolezze e i vizi (che hanno tutti e soprattutto i perbenisti) ecco che vieni visto come corpo estraneo, come battitore libero da guardare con attenzione. Vicenza ha bisogno di lavarsi la coscienza con quella degli altri, di puntare il dito su chi fa perché fa e su chi non fa perché non fa. E vien voglia di affezionarsi proprio alla gente perbene che non fa male a nessuno se non a se stessa. A chi non ce la fa, a chi non segue status modaioli, a chi vive nell’ombra, a chi evita la mondanità, a chi lavora nel sociale senza dirlo e senza farsi mille selfie, a chi fa cultura infine, perché siamo certi esistano poche persone davvero perbene come coloro i quali aumentano il benessere culturale. Il Commissario Pepe era democratico e tollerante, e cercava di risolvere i problemi con il buonsenso, senza mai abusare della sua autorità. Un buon parroco, perfetto per i Vicentini. Ma il buon parroco non giudica e anzi ama i diversi. E rimanendo in tema di vizio, lasciateci ricordare la Vicenza di una volta, quella della Celestina, reduce dell’epoca delle case chiuse, che col suo marcatissimo trucco turchese, la parrucca coi ricci, se ne stava in un angolo di Campo Marzio, tornava a casa sua in Piazzetta Santi Apostoli, e faceva ridere noi ragazzini. Era già la Vicenza di Scola e Tognazzi, ma pareva più bella. Chissà. Forse eravamo più perbene.

La “Celestina”

“La nostra è una città tranquilla, dedita al lavoro e alla famiglia. Ogni tanto c’è qualche sciopero, qualche comizio, ma senza compromettere l’ordine pubblico. Discorsi infuocati, vibrate proteste, qualche applauso e tutto resta come prima. I padroni restano padroni, gli operai restano operai”.

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