Non ci fosse stato questo maledetto Covid, l’edizione del 2021 sarebbe stata la numero 30. Trent’anni di concerti, birre e balli, ma trent’anni anche di lavoro, di sacrifici, di sogni e fatica e sopra ogni cosa trent’anni di amicizia.
Il Perarock non è una festa rock come le altre, ma non perché sia meglio o peggio, Vicenza ha una tradizione di feste rock incredibilmente profonda ed importante. Però qui si respira una sorta di mondo a se stante ed è questo mondo “per conto suo” che fa la differenza col resto. Perarock è essenzialmente ed intrinsecamente la storia di una compagnia di amici che hanno fatto e continueranno a fare le cose in gruppo, per il gruppo e per l’unione che li lega. Un affare di sangue, di comitiva visceralmente attaccata al senso dell’unità, allo spirito di comunità e alla voglia di fare e di dare.
“Quest’anno il solo fatto di avercela fatta ci ha commosso tutti e la prima sera ci guardavamo ed avevamo davvero tutti quanti gli occhi lucidi”.
Il Perarock è stato il primo “festival” (ma non è la parola giusta, e comunque ne parliamo dopo) che ha riaperto dopo la chiusura forzata a causa della pandemia ed è stato un successo enorme forse anche proprio perché spinto dall’onda emotiva della ripartenza.
Ne parlo coi tosi a festa finita, mentre si sbaracca e si ride finalmente sollevati dal lavoro fatto ed andato a buon fine. Siamo al “green” che poi altro non era che il “green planet”, ex disco qui sui colli a Perarolo (e dove sennò?) ma che però io che sono riuscito ad essere mezzo paninaro nell’era giusta ricordo ancora come l’ex “Chalet Paola” e pure ai ragazzi piace ricordarlo di più così. Magie degli anni ottanta…
C’è della birra da finire, delle chiacchiere da fare, una storia da raccontare. Sono seduto con Simone Bedin, Loris Maran, Eleonora Zibetti, Antonio Gagliardo, Beatrice Bertapelle, Gianluca Dalla Rosa, Nicola Faccioli, Loris Bedin e Leaonardo Panato. Li cito tutti perché questa “famiglia” è base ed essenza del Perarock, insomma, sono loro la festa.
La storia inizia nel 1992 nei campi sortivi di Perarolo ed era un semplice concorso rock di band emergenti con due serate di cover e una con musica propria. Ogni sera vi era un vincitore votato dal pubblico. Così fino al 1999, quando in parallelo al contest viene creato un evento dentro alla festa della birra dove un fine settimana è dedicato al Perarock. Per rendere l’idea di come tutto fosse “fatto in casa” e con le sole risorse umane della compagnia di amici e dei conoscenti più prossimi, basti pensare che l’unica forza “esterna” era la parrocchia di Perarolo, ben lieta per altro di questue rock benedette. Il primo concerto importante risale al 1998 e la band erano gli Estasia che al debutto erano potenzialmente un qualcosa di grande nel panorama indie italiano. Ah, gli anni novanta. “Vicenza pareva Seattle” mi dicono i ragazzi. E a ripensarci era tutto un fiorire di gruppi e forse mai come in quel periodo abbiamo avuto una sorta di “scena”, magari fragile (gli stessi Estasia si scioglieranno dopo neanche due album) ma senz’altro attivissima.
Tra i mondi esistenti all’epoca, ve n’era uno che gravitava attorno ai “Dischi del Mulo” di Reggio Emilia, nel Consorzio Produttori Indipendenti. Così arrivano gli AFA, acronimo di “Acid Folk Alleanza”, ottima band che identifica anche la ricerca che Perarock fin dall’inizio ha sempre cercato di fare. Ricerca che sostanzialmente si cala sui gusti della compagnia organizzatrice. Il festival (di nuovo, non è un festival) cresce ma lo spirito rimane quello del primo giorno.
“Il clima era di puro volontariato ed entusiasmo – mi dicono – eravamo nati come festa di paese e in un certo senso così volevamo rimanere. Nel 2000 in seguito a cambiamenti legati alla parrocchia, con cui in ogni caso il rapporto è sempre stato splendido, diventiamo autonomi e iniziamo a togliere il contest e ad aver voglia di svecchiare e lanciarsi verso qualcosa di più grande”.
Dal 2000 in avanti si cambiano tre location, la prima era un campo sportivo, la seconda l’anfiteatro naturale, la terza la grande dolina e la quarta la dolina artificiale che è poi lo Chalet Paola. Dal 2001 esisteva anche il “perartrock” che ospitava artisti che performavano durante il festival tra cui una compagnia teatrale in paese sempre da “noialtri”.
Gli chiedo se hanno mai pensato di darsi un nome e senza battere ciglio mi rispondono quasi in coro che “No, noi siamo solo il gruppo giovani di Perarolo”.
Scorriamo assieme il libro dei ricordi di questi 30 anni e scopro che i ragazzi sono più legati quasi ai momenti più adrenalinici e rischiosi che alle imprese facili. “I momenti più belli per noi sono stati quando ci si doveva reinventare le location e riprogettare il tutto. Quando sentivamo che dovevamo tenere sempre vivo l’interesse nei volontari. O l’estate del 2003 con quel caldo allucinante e tutta la città che saliva. E poi ogni anno che o anticipava o seguiva un cambio location, era sempre un restart. Ma forse dovendo scegliere solo due annate allora di sicuro i Derozer nel 2016 con più di 4000 persone presenti e quest’anno perchè dopo due anni senza concerti è stato stupendo”.
Chiaramente ci son stati anche problemi seri in tre decenni. “Noi rispetto ad altre feste rock siamo sempre rimasti autonomi e non abbiamo mai chiesto nulla all’amministrazione. Questo significa che non abbiamo mai avuto davvero problemi ma nemmeno facilitazioni e ci siamo sempre sbattuti su tutti i punti di vista. Volontari con una gestione totale da professionisti insomma”.
Mi rendo conto che non esisterebbe il Perarock senza questo spirito. Altri magari sono più strutturati mentre questi amici si arrangiano sempre da soli perché sono una comunità che comprende generazioni varie che partono dagli alpini fino ai figli dei fondatori.
Con Vicenza esiste una collaborazione, sia con la città che con le altre feste ma senza una vera e propria organizzazione. “A Perarolo comunque siamo un’istituzione” e l’orgoglio qui trabocca come la birra.
Chiedo loro del domani. “Il futuro è accettare il fatto che certe formule sono cambiate e quello che c’era fino al 2019 non potrà più esserci, quindi certe dinamiche sociali cambieranno. Il messaggio è portare il testimone ad una nuova generazione perché il futuro possa appartenere ai giovani e a chi è figlio della nostra storia”.
Dei volontari puri, che ci mettono tutti l’anima e riescono pure a divertirsi. Ecco perché non è un festival. Il Perarock è uno stile di vita fondato sull’amicizia.