Weekend straordinario quello offerto dal 77esimo Ciclo dei Classici diretto da Ermanna Montanari e Marco Martinelli, e sia inteso in senso letterale ovvero “fuori dall’ordinario”. Sabato, la meravigliosa performance di Evelina Rosselli nell’Orestea rivista da Giovanni Testori e domenica con la Festa del silenzio di Francesco Giomi in Basilica Palladiana. Due appuntamenti in cui la parola, o per meglio dire, i significati del linguaggio e i segni della comunicazione, hanno montato e poi smontato l’idea stessa di racconto e ascolto.
In sdisOrè Evelina Rosselli con le maschere e le marionette di Caterina Rossi, ha portato in scena una parola meticcia, un po’ lombarda, un po’ francese e un po’ latina ma anche un po’ molto altro. Uno spettacolo che traduce uno spirito universale (in questo senso classico) che ti riporta a suggestioni di vita famigliare seppur simbolica. Protagonisti che per quanto mitici incarnano bassi istinti e il volgare parlato quotidiano, la vita che viene dal crudo fondo. Ed Evelina a padroneggiare la scena in maniera totale, come raramente una sola persona è riuscita a padroneggiare l’eterno epico dell’Olimpico. L’uso della voce, le intonazioni, la fisicità, finanche la violenza corporea, il pulsare d’eros e di morte, l’appropriazione intimamente femminile di un ruolo dapprima svolto solo da uomini. Evelina Rosselli esce trionfalmente dalla serata con un pubblico che la chiama e la richiama fuori per applausi che sono come un lungo respiro preso dopo un’ora scarsa a trattenere il fiato.
Domenica, la musica. La basilica nel suo spazio interno, storico ed archetipo, raccoglie echi di suoni e silenzi. Clarino, oboe, elettroacustica, fisarmonica, chitarra elettrica, violoncello e poi voci e ancora voci, sussurrate, rotte, salmodianti, impercettibili e a tratti furenti e puro sfogo di e sulla pelle, ferito e disperato. L’assieme è di rara armonia. Ricorda certe cose di Morton Feldman soprattutto quel capolavoro chiamato Rothko Chapel. O il lavoro di Pauline Oliveros e i suoi Deep Listenings. Ma anche l’importanza assoluta del silenzio, della singola nota, del suono slegato dal concetto occidentale di arrangiamento. Un’esperienza che molti vivono seduti a terra, occhi chiusi, in una sorta di meditazione. Ma che è stato bello sentire (dove per sentire non si intende per forza ascoltare) muovendosi nella stanza, oscillando col cambio dei solismi del coro alieno, respirando il rimbalzo dei suoni tra le pareti fino a capire che si, è teatro tutto questo, è partecipazione fisica, musica per corpi mobili e immobili. Caduta nel giro di risonanze casuali controllate e dirette come fossero onde radio provenienti da un altro mondo possibile ma non conosciuto.