Nelle sale quest’anno era uscito un ottimo film diretto da Daniele Luchetti, “Confidenza”, in cui a fianco del sempre superbo Elio Germano, spiccava la recitazione di Federica Rosellini. Trevigiana, pluripremiata ai premi Ubu, si mostrava così al grande pubblico (ovvero non a quello teatrale) rimanendo fedelissima al suo stile recitativo fatto di grande cura nell’uso dell’emozione, tanto da risultare di una potenza quasi inquietante. La scelta di Serena Sinigaglia di averla come Elettra, come questa particolare Elettra, è quindi, e lo diciamo fin da subito, stata perfetta. Perché “questa” Elettra? Di fatto lo spettacolo andato in scena al Teatro Olimpico di Vicenza per il Ciclo dei Classici sotto la direzione artistica di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, è tratto dal testo di Hugo von Hofmannsthal, che compie, agli inizi del ‘900, una sorta di rivoluzione copernicana sul senso stesso del mito. Mito, quello di Elettra, che ha avuto grande spazio nel teatro e nella letteratura: il tema dell’amore, della vendetta e della giustizia ha ispirato tragediografi come Eschilo, Euripide e Sofocle. Ogni autore ha cercato di dare la propria versione di questa tragedia: al centro vi è il vivo contrasto tra dovere e spirito di vendetta, tra amore e odio. L’operazione di Hofmannsthal però è diversa e precisa. Non a caso nasce nel periodo storico in cui la psicoanalisi inizia ad essere Il tema della riflessione sull’uomo. Innanzitutto in Hofmannsthal Elettra muore, cosa che non capita nelle tragedie greche, e muore perché il ciclo dei suoi desideri è compiuto. Ciò che la muoveva era la sete di vendetta nei confronti della madre e quando l’unico sogno che la manteneva in vita si realizza, inizia una danza delirante con la quale celebra il suo trionfo fino a che cade a terra esanime. Ecco il “complesso di Elettra” che poi codificherà Sigmund Freud, che poi altro non è che il complesso di Edipo al femminileː nel primo è la ragazza che ama il padre ed è gelosa della madre; in quello di Edipo il ragazzo detesta la presenza del padre.
Tutto questo nello spettacolo visto all’Olimpico esce forte e chiaro. Il testo di Hofmannsthal è figlio del suo tempo ma si inserisce perfettamente nella riflessione sul senso del concetto di classico rivisto e sulla presenza di più voci sulla scena e nel testo. Voci che sono coro, come quello formato dalla servitù, ma coro è anche il dipanarsi di più significati testuali e ipertestuali, sulla scia dell’elaborazione psicologica che permea l’origine dell’opera. Ci sono però dei punti deboli. L’eccesiva durata intanto, ma non del tutto come insieme ma delle singole sezioni. Ad esempio la parte in cui Elettra dialoga con Clitemnestra (parte per altro fondamentale) è tirata eccessivamente e troppo verbosa. Ecco, la verbosità è un altro difetto probabilmente e un lavoro supplementare di setaccio e asciugamento avrebbe giovato. Detto questo, la tragedia è potente e Federica Rosellini domina la scena sebbene più intimamente che fisicamente.