Lungimiranza rinnegata: il “caso” Seriola

Vicenza è stata costruita sull’acqua. In pochi se ne ricordano, ma la storia della nostra città non si può adeguatamente scrivere senza affermare l’importanza che hanno avuto fiumi e corsi d’acqua nello sviluppo urbano, nell’impulso che essi diedero a commerci e collegamenti, donando ricchezze, e nella responsabilità che ebbero nelle frequentissime calamità idrogeologiche che ne mutarono, in tempi diversi e ricorrenti, gli assetti. Questo patrimonio fluviale ha contribuito in modo determinante a rendere Vicenza come noi oggi la conosciamo, ne ha modellato la forma, ne ha lambito gli ambienti trasformandone la funzione sociale, regalando agli storici un deposito di memorie che basta rianimare per comprendere come esse siano antesignane del nostro presente. Veniamo ora ad occuparci di uno in particolare, tra i tanti rivi, rigagnoli, canali e fiumi che abbiamo evocato: la Seriola. Essa è certamente un esemplare estinto, unico nel suo genere per ruolo avuto nel modificare la struttura urbana della nostra città e caduta in disgrazia da almeno quarant’anni, a causa di scelte malaugurate degli amministratori, che alla bellezza identitaria del luogo e al valore estetico, storico ed ecologico della natura hanno privilegiato il traffico automobilistico smodato, l’inquinamento, il calore tossico dell’asfalto informe e grigio. Iniziamo, dunque, dal principio, chiedendoci l’origine della denominazione Seriola. Un nome assai simile al moderno e su cui quest’ultimo si è senz’altro costruito, compare tra i documenti del monastero di San Felice e Fortunato, in un atto di locazione stipulato in data 8 dicembre 1171 concernente:«pecia una de terra cum vinea sopra et iacet in vazo de la gruizara cui coheret ab uno latere via, ab omnis aliis pergit aqua que vocatur Cividula» (Trad: una pezza di terra con sopra un vigneto, situata nel terreno della gruizara il quale confina da un lato con la strada e da tutti gli altri si avvia l’acqua che viene chiamata Cividula). Si tratta della prima menzione dell’odierna Seriola in un documento vicentino, oggi fonte storica. Sempre in carte del monastero, ma successive, si trovano i termini «Cividola», «Civiola» e «Ciriola». La prima informazione che descriva il corso d’acqua con una certa completezza è contenuta in una permuta fatta dalla prioria di San Silvestro che cedeva alla città la villa di Lovertino in cambio di alcuni beni, tra i quali due ruote di mulini situate in un «flumine, qui venit Porta Nova». Il documento getta una prima luce sul percorso della Seriola: la roggia si originò nelle risorgive in località Santa Maria Maddalena (dal nome del convento omonimo), ai piedi della collina nota come Monte Crocetta, a nord-ovest della città: il suo corso rasentava poi il rilievo collinare, incrociava la strada per Malo e Schio, in quella che oggi è conosciuta come località Albera e confluiva nel fiume maggiore, il Bacchiglione, il cui corso era in quel punto antistante a quello della roggia, anche se il suo alveo era scavato alcuni metri più in basso. Tutto qui? Fino agli ultimi decenni del XII secolo, sì: fino ad allora la Seriola era servita da canale di regimazione e bonifica delle colture dipendenti da un convento di padri benedettini, intenti a manutentare i terreni incolti assegnatigli dalla Diocesi. La roggia era circoscritta ad un’area ben precisa, uscita dalla quale non aveva che da seguire l’orografia naturale del terreno sfociando nel Bacchiglione. La svolta si ebbe quando i Vicentini si accorsero che occorreva acqua per riempire il fossato protettivo delle mura alto-medievali e decisero di ottenerla proprio dalla Seriola: sfruttando il declivio del terreno che dall’Albera degradava verso sud e Vicenza, scavarono una bipartizione del corso della roggia che si prolungasse fino in città. La Seriola, infatti, s’insinuò al di là delle fortificazioni attraversando le contrà del Corpus Domini e dei Cappuccini, raggiungendo quindi la “prima” Porta Nova (nel Trecento ne venne eretta una seconda con lo stesso nome, in corrispondenza dell’attuale Piazzale Giusti), edificata tra il X e l’XI secolo e situata sul retro della Chiesa di San Lorenzo e piegando verso sud-est raggiunse la cinta muraria all’estremità settentrionale di Contrà Cantarane, scorrendo sotto al Ponte delle Bele. Il corso d’acqua, così prolungato dalla volontà dei cittadini, serviva dunque come protezione alla nostra prima cinta di mura, eretta per contrastare le incursioni degli Ungari: un nucleo circolare piuttosto ridotto in ampiezza, che andava dalla Porta Feliciana alla zonadi San Biagio, dall’attuale Contrà San Lorenzo fino al vecchio teatro di Berga e si chiudeva a sud con Porton del Luzzo, dove la Seriola abbracciava il Retrone. Dalla fossa di Contrà Cantarane, infatti, la roggia costeggiava all’esterno il tratto di mura proteggendo il Castello ezzeliniano, dotato di ponte levatoio, portando poi le sue acque in Campo Marzio e da lì nel Retrone. In quel periodo il tratto di roggia che proseguiva, oltre il punto di bipartizione, verso la città, era noto col nome di Bacchiglioncello, in quanto considerato a tutti gli effetti un piccolo affluente del fiume maggiore. Il ruolo della Seriola a protezione della città fortificata è di capitale importanza perché senza di esso non si comprenderebbe il modello di sviluppo urbano che ha interessato Vicenza fino alla prima metà del XX secolo. Un arco di tempo enorme, se consideriamo che questa storia inizia in età medioevale, durante il quale Vicenza ha risentito moltissimo delle acque della Seriola: gli assi viari, la pianta dei quartieri fuori e dentro il Centro Storico, i parchi, i collegamenti e le comunicazioni, la viabilità e la stessa toponomastica sono intrisi della memoria lasciata dai secoli in cui la città viveva in simbiosi con questo curioso rivo, nato in aperta campagna alla sua estrema periferia e adottato dai Vicentini che lo portarono al cuore stesso della loro comunità. Le ragioni perlopiù militari di questa decisione furono confermate con la dominazione scaligera, quando fu eretta la nuova cita muraria allargata ai nuovi borghi che si erano sviluppati fuori dalla cerchia più piccola, grazie all’incremento demografico dovuto ai raccolti e alla crescita dei commerci. Lungo Viale Mazzini fu scavata una lunga fossa nella quale fu convogliata l’acqua della Seriola, formando una congiunzione tra questo nuovo tratto e quello più antico, che scorreva tra Contrà Cantarane e la “seconda” Porta Nova, nel frattempo eretta. Tutto il percorso della Seriola in città è ben evidenziato dalla Pianta Angelica del 1580. Ma gli scopi difensivi, come accennato sopra, non erano i soli a giustificare l’utilizzo massiccio della roggia. Così si espressero Francesco Barbarano:«nasce al Monticello di Santa Maria Maddalena, scorre per Vicenza, fa girare molti molini, produce preziosissimi gamberi» e Silvestro Castellini:«un torrente detto Ceriola che di acque abbondantemente somministra agli abitanti». Una funzione, come viene testimoniato, non solo militare bensì anche agricola e alimentare. La roggia era fondamentale per rendere funzionanti i mulini dei privati e dei conventi, sfamando la popolazione. Accanto a queste si aggiunse una funzione più curiosa, ma che determinò e in parte determina ancora oggi la conformazione di parte del Centro Storico: quella estetica. Nel 1576 il conte Giacomo Valmarana ottenne in affitto una porzione di terreno tra la vecchia e la nuova cinta muraria, a sud-ovest della Porta Feliciana, designata per creare un giardino privato da adibirsi ai colti svaghi di aristocratici umanisti. Si previde che presso l’estremità settentrionale del parco fosse realizzata una loggia in stile palladiano, che dovesse poggiare su arconi affondati nel terreno, nei quali sarebbe dovuta scorrere l’acqua a formare una peschiera nel giardino. Dove prendere l’acqua? La Seriola scorreva placida lì davanti: fu presto detto.

Il Giardino Valmarana, inaugurato nel 1592, fu realizzato seguendo il corso della roggia, le cui acque furono convogliate nella peschiera portando nutrimento agli alberi di cedro piantati tutt’intorno, come riportò ancora Castellini:«tutto lungo il giardino si ammira una magnifica cedrara cui dinnanzi scorre un largo canale di acqua ripieno di vari pesci». Un ambiente rigoglioso, insomma, reso ancor più amèno dal passaggio della Seriola. Per riassumere: fino alla prima metà del XX secolo Vicenza condusse il proprio sviluppo urbano in pacifica convivenza con le acque della roggia, prolungate dai contadi settentrionali fino in città ancora in Alto Medioevo. La Seriola funse da protezione alla cittadella del Centro Storico almeno fino alla caduta della Serenissima, portando inoltre numerosi benefici ai cittadini, agli ordini monastici, agli Ospitali di San Marcello dove trovano riparo e cure gli indigenti. Le sue acque rendono possibile la macina, irrigano i campi, portano vita agli alberi del Giardino Valmarana, recano abbondanza di pesci e gamberi per sfamare il popolo. Nel corso del Novecento questo panorama idilliaco viene però bruttato all’improvviso: si iniziò negli anni Trenta, quando in occasione dei lavori per la Casa del Mutilato (che decretarono anche la distruzione delle mura scaligere che costeggiavano il lato nord del Giardino, delle sue serre e della “seconda” Porta Nova, situata dietro alla secentesca Loggia Longhena) fu interrato il ramo più antico della roggia, che giungeva fino alla loggia palladiana, cancellando per sempre il passaggio delle acque per le antiche viuzze, estirpando Contrà Cantarane dei motivi che avevano portato alla scelta del suo nome così insolito, eliminando la ragione funzionale di Ponte delle Bele che da allora rimase sospeso sull’asfalto. Nel 1935, per edificare il complesso della GIL e della cittadella degli studi fu interrata la fossa a Ponte Furo, realizzando un canale di scolo, visibile e funzionante ancora oggi, dove ciò che rimase della Seriola si sarebbe immesso direttamente nel fiume. Restava ancora il tratto più lungo, che dall’Albera seguiva Viale Trento bagnando le mura di Viale Mazzini e nel 1973 fu concluso il suo tombinamento, che provocò una drastica diminuzione della portata dell’acqua nella peschiera del Giardino. Ma il colpo di grazia fu la deviazione, anche qui usando un canale di scolo per convogliare l’acqua, dell’intero corso della roggia nel Bacchiglione in zona Albera, nel punto esatto dove aveva termine il suo tratto originario, prima del prolungamento. Così, dopo otto secoli di onorato servizio della Seriola oggi non rimane niente. La (poca) acqua che ancora riempie l’alveo del Giardino Salvi non appartiene alla roggia, ma viene pompata da due pozzi sotterranei, uno costruito nel 1962 e l’altro nel 2009, che provvedono a riempire con discontinuità e con acqua sempre più spesso fetida e maleodorante i resti dell’antica peschiera, in quello che da tempo ha cessato di essere un ambiente bucolico, per diventare un ricettacolo di ruderi, sporcizia e degrado. Questa non è solo la storia di un corso d’acqua rinnegato e dimenticato, ma anche quella di una città suicida che ha trasformato negativamente sé stessa seguendo ignoranti opportunismi del momento, calpestando con cinismo la lezione del suo passato remoto e rubando il futuro ai suoi figli, noi. Oggi si fa un gran parlare di spreco di suolo, si adottano misure disperate per salvaguardare l’ambiente dall’inquinamento, per fabbricare ossigeno e abbassare il surriscaldamento della terra piantando alberi, per recuperare aree in disuso con spazi verdi: bene, Vicenza, anche grazie alla Seriola, era già provvista di tutto ciò. Dove oggi scorrono soffocanti direttrici che servono quartieri divenuti alveari umani, un tempo non lontano scorreva un corso d’acqua tra i più duraturi del nostro territorio, rispettato da tutti per la sua importanza. Fu la saggezza dei nostri antesignani a volerlo e se ci fosse stata concesso il privilegio di saltare a piè pari questi ultimi quarant’anni, potremmo anche risparmiarci la retorica ambientalista. Avremmo già tutto. E Vicenza, che anche grazie alla Seriola un tempo era molto più bella e vivibile, quando allo sciame di automobili impazzite dell’ultimo tratto di modernità contrapponeva un paesaggio primordiale, fatto di sciabordii, fruscii e cinguettii, oggi non sarebbe la quartultima classificata in Europa per l’aria più inquinata.

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