Aspettando Nick Mason. Parte quarta: la discografia 71/72

Venerdì 19 luglio la band “Nick Mason’s A Saucerful of Secrets” si esibirà in Piazza dei Signori a Vicenza e sarà l’evento musicale dell’estate. In attesa del concerto ViCult vuole offrire una piccola panoramica sull’artista e sulla storia musicale dei Pink Floyd che ci aspetta dal vivo. QUI la parte prima, QUI la parte seconda e QUI la parte terza.

Dopo “Atom Earth Mother”, nonostante il lavoro non sia dal gruppo considerato come riuscitissimo, nonostante il retrogusto amaro dato dall’uso dell’orchestra, nonostante la difficoltà di portare dal vivo l’opera, nonostante tutto, il gruppo pare aver trovato la sua strada. Si tratta ora di aggiustare il tiro. Quel che accade nel 1971 è la costruzione del vero e definitivo Pink Floyd Sound, un insieme di pulizia sonora, qualità di produzione, ricerca della perfezione e un uso massiccio di effetti, rumori, dello studio come strumento musicale, suoni concreti presi dall’ambiente, e poi assoli di chitarra lancinanti, il basso suonato sotto al ponte, l’organo ed il piano elettrico tra un certo jazz modulare e accenni di viaggi cosmici. Quello che il gruppo sceglie di fare, è di togliersi di dosso l’impaccio sinfonico e rifugiarsi in una forma rock più agevolmente riproponibile nei concerti. Il parto è lungo e complesso. Per un attimo si teme di aver già smarrito la retta via. Si pensa addirittura ad un disco molto sperimentale, con ogni musicista che suona la sua traccia senza sapere cosa fanno gli altri tre per affidarsi poi ad un lungo lavoro di montaggio finale. La casa discografica è perplessa. Erano chiaramente espedienti che palesavano una mancanza di idee. Inoltre il gruppo trovava difficoltoso lavorare negli studi di Abbey Road equipaggiati solo con banchi di registrazione a otto tracce e decise di spostarsi in studi di registrazione più piccoli di Londra come l’Associated Independent Recording (AIR), e il Morgan di West Hampstead, riprendendo in mano il materiale con il vantaggio di un equipaggiamento più avanzato tecnologicamente. Inoltre arrivò il tecnico del suono John Leckie che aveva lavorato sia con George Harrison che con Ringo Starr. Il gruppo cercava di supplire con la tecnologia alla mancanza di idee ma la svolta venne da una singola nota di pianoforte suonata da Richard Wright, che filtrata da un particolare effetto, sembrava del tutto simile al suono emesso dai sonar dei sommergibili; da questo si partirà per comporre “Echoes”, uno dei più grandi capolavori dei Pink Floyd e dell’intera storia del rock.

“Echoes” si intitolava inizialmente Return To The Sun Of Nothing (“Ritorno al Sole del Nulla”) e venne eseguita per la prima volta, con questo titolo, il 15 maggio 1971 al Garden Party del Crystal Palace di Londra. La traccia segna una svolta importante nelle tematiche trattate dai Pink Floyd: l’attenzione della band, che ha lentamente abbandonato l’immaginario psichedelico caro a Syd Barrett, si sposta verso la dimensione umana e i problemi di interazione che la contraddistinguono. Racconta Waters a questo proposito: “‘Echoes è il tentativo di descrivere il potenziale che gli esseri umani hanno di riconoscere l’umanità presente nel prossimo e rispondere a questa con empatia piuttosto che disinteresse“. Il piano di Wright lentamente accompagna l’inizio del brano in cui Gilmour spopolerà per gli interi 23 minuti e 31 secondi. Una linea blueseggiante contrappunta il salire dei timpani di Mason e dell’organo e poi inizia il canto affidato alle voci di Gilmour e Wright.

Là in alto l’albatro si libra sospeso a mezz’aria,
e giù nel profondo di onde fluttuanti
in labirinti di caverne coralline
l’eco di un tempo remoto si propaga
tremante attraverso la sabbia,
e ogni cosa è verde e sommersa

E nessuno ci mostra questa terra,
e nessuno conosce il dove o il perchè
ma qualcosa sta all’erta, qualcosa si muove
e comincia a farsi strada verso la luce

Sconosciuti camminano per strada
per caso due sguardi diversi si incrociano,
e io sono te, e tutto ciò che vedo sono io,
e ti prenderò per mano
per mostrarti questa terra,
e far si che io capisca più che posso

E nessuno ci fa segno di muoverci,
e nessuno ci fa abbassare gli occhi,
e nessuno parla, nessuno cerca,
nessuno vola intorno al sole

Senza nuvole, ogni giorno, incontri i miei occhi al risveglio,
m’inviti e mi inciti ad alzarmi,
e dal muro, attraverso la finestra
giungono ondeggiando sulle ali della luce del sole
un milione di splendenti ambasciatori del mattino

E nessuno mi canta ninne nanne,
e nessuno mi fa chiudere gli occhi,
così spalanco la finestra
e grido il tuo nome contro al cielo.

Il senso del tutto, dell’esistenza come relazione, dell’uomo gettato nel mondo, del bisogno d’amore anche disperato, dell’eco (appunto) di qualcosa di più grande. Pochi brani sono così realmente totalizzanti come questa incredibile suite che occupa l’intera seconda facciata di “Meddle”,  gioco di parole tra “medal”, ovvero la medaglia della vittoria, e il verbo “interfere”, ovvero interferenza. Il lato A si apre con un altro classicissimo, quella “One Of These Days” che sfrutta di nuovo un vecchio trucco floydiano, ovvero insistere su una figura ostinata di basso e costruirci sopra un sali e scendi furioso con momenti di esplosione ed altri di puro rumore e pianure dissonanti. Gran lavoro di Mason che dal vivo si prenderà un posto di primattore durante questa muscolare cavalcata.

La frase «One of these days I’m going to cut you into little pieces» è pronunciata proprio da Nick Mason e si dice fosse rivolta al disc jockey Jimmy Young della BBC mal sopportato dal gruppo per la sua logorroicità. Oltre a questi due monumenti il disco contiene altri tre pezzi. La dolcissima “A Pillow Of Winds”, altro tassello nel mondo delle ballate bucoliche e psichedeliche, la bellissima “Fearless” che presenta sia il coro “You’ll never walk alone” tipico dei tifosi del Liverpool, sia un “Everton! Everton!” nel finale, cantato dai supporters avversari nel derby del Mersey. La jazzata “Saint Tropez” ed il blues con cane “Seamus” completano la scaletta del disco che, con l’esordio barrettiano, è senza dubbio uno dei due grandi capolavori della prima fase della band. Il cinema nel frattempo torna a chiamare. Prima addirittura con Stanley Kubrick che vorrebbe usare parti di “Atom Earth Mother” in “Arancia Meccanica” (proposta rifiutata per la pretesa del regista di disporre del brano a suo piacimento) e poi di nuovo con Barbet Schroeder per il suo nuovo film “La vallée”. In sole due settimane, guardando i premontati del film. il gruppo compone e registra le musiche che poi sarebbero finite in “Obscured By Clouds”, il settimo album dei Pink Floyd. Un disco a suo modo molto importante. Riprende spunti del passato ma si sente che è concepito mentre la band sta già lavorando a quello che poi sarà “The Dark Side Of The Moon”. Ne viene fuori un “disco ponte” che vede l’impiego di uno dei primi sintetizzatori analogici, il VCS3, oltre a un minimoog.  Mason definì l’opera “sensazionale”, ma la critica non fu particolarmente positiva nelle recensioni. Oggi rimane un’opera fondamentale tra il prima e il dopo. E con questo si chiude anche il nostro viaggio nella discografia dei Pink Floyd dal 1967 al 1972, il periodo che i “Nick Mason’s A Saucerful Of Secrets” porteranno sul palco qui a Vicenza il 19 luglio. Vi aspettiamo in piazza.

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