Matteo Quero era “larger than life”, come dicono gli inglesi. Un fiume in piena, a volte eccessivo, esagerato eppure guidato da grandi passioni ed entusiasmi. Un uomo che aveva chiare visioni su come sarebbe dovuta essere la vita culturale cittadina. Ma un uomo difficile e sfortunato. Perché se da una parte è vero dire che sabotava se stesso, da un’altra è altrettanto doveroso affermare che la vita è stata crudele con lui ben al di là delle sue colpe, portandolo ad una morte troppo dannatamente prematura a soli 55 anni. Una freccia scoccata con forza e controvento verso una destinazione libera e gioiosa. Questo era Matteo Quero e come spesso accade alle persone così complesse e speciali, la vicinanza con qualcuno che potesse completarlo era fondamentale. E nel caso di Matteo, quel qualcuno si chiamava Luca Trivellato, senza il quale, il sogno chiamato “Vicenza Jazz” non si sarebbe avverato. Perché le storie dei successi, sempre, sono fatte da più persone, da un equilibrio a volte calcolato altre volte insperato, che si manifesta attorno alla forza di un’idea. E tutti sono necessari. La prima pietra nella casa del festival jazz vicentino, venne posata nella mente di Matteo Quero e di Luca Trivellato quasi 30 anni fa.
È il 1995, Luca e Matteo decidono di andare ad Umbria Jazz, dal 1973 il più importante festival jazzistico italiano e uno dei più importanti e rinomati al mondo. Quell’anno l’evento era assolutamente imperdibile per il semplice motivo che gli astri si erano allineati come capita solo poche volte nella vita e Pagnotta, patron del Festival era riuscito a mettere assieme una rassegna che poi rimarrà nella storia dei festival di musica Jazz. Un cartellone che proponeva, tra gli altri, Jan Garbarek, Caetano Veloso, Michel Petrucciani, Kenny Barron, Mulgrew Miller, Ahamad Jamal, la Band di Charles Mingus, Milt Jackson e per finire Gary Burton! I due partono per Perugia consapevoli che sarebbe stata una settimana epocale. Caricano la macchina con viveri abbondanti perché all’anima ci pensa la musica ma il corpo ha le sue necessità, e fanno campo base in una dependance di una bellissima villa sui colli di proprietà di un amico perugino, di suo nobile di casato e molto appassionato di musica jazz ma anche di vini veneti. Il jazz, soprattutto dentro ad un festival, è quasi un modo di vivere più che una musica. Jazz è meticciato umano, è tirar tardi la notte, è fumo e corpi sudati, è alcool, è danza, è ritmo. Jazz è libertà, improvvisazione, iconoclastia. E un jazz festival porta con sé questo e altro, perché ad un concerto jazz non ci vai come ad un concerto sinfonico ma neanche come a un concerto rock. È jazz, è diverso.
Poche cose spiegano tutto questo come il concetto di “jam session”. Il termine Jam deriva da jamu vuol dire in africano insieme in concerto, senza avere arrangiamenti o una preparazione predefinita ma anzi, lasciandosi ispirare dal flow, dall’incontro di strumenti attorno a sé. Le sessioni marmellata vengono chiamate anche free flow sessions ad indicare e rimarcare la propria natura di zero regole, zero limiti, tutto prende forma sul momento. In questi significati c’è (quasi) tutta l’estetica jazz: l’arte dell’incontro, il non aver nulla di preordinato, il lasciarsi andare senza steccati. Le jam sessions in un festival spesso sono belle, o più belle ancora, dei concerti ufficiali. E in quella settimana umbra andò esattamente così, lasciando i due con dentro un misto di grande eccitazione ma anche di malinconia perché la magia era terminata e chissà quando avrebbero potuto riviverla. Ecco il punto, rivivere tutto ciò, ma dove? E quando? Poteva Vicenza accostarsi anche solo minimamente alla grandiosità di Umbria Jazz?
Vicenza è una città talmente ricca di opere d’arte che il pensiero di inserire nei contesti palladiani la musica jazz è conseguenza naturale. E non è nemmeno una novità assoluta. Nel 1964 il jazz sbarcò infatti al Teatro Olimpico. Era il 30 maggio e accadde all’interno della “Primavera a Vicenza”, protagonista il Modern Jazz Quartet. Sette bis, quindici chiamate sul palcoscenico, teatro gremitissimo, le cronache dipingono “una serata indimenticabile, che sarà ricordata per molto tempo”.
Quella magnifica intuizione del Marchese Roi doveva e poteva essere ripresa. La sacralità dell’Olimpico non sarebbe stata violata dal jazz ma anzi, il corpo palladiano ne sarebbe uscito non trasfigurato ma valorizzato. Francesca Lazzari (al tempo assessore alla cultura) comprese che la visione di Quero e Trivellato era lucida e sostenibile e fece quello che un amministratore saggio dovrebbe fare sempre: creò una rete. Ai due mancava il terzo lato del triangolo perfetto: il direttore artistico. E Lazzari presentò loro un giovane direttore d’orchestra molto appassionato di jazz che l’anno prima aveva organizzato una bellissima opera con Enrico Rava . Un certo Riccardo Brazzale. Il resto è storia.
“New Conversation” nasce nel 1996. La prima edizione aveva già grossi nome come Ralph Towner e Gary Peacock, Paul Bley, Giorgio Gaslini e il Kronos Quartet. Un’edizione piccola se vista da oggi ma in realtà una rassegna che significava promessa e sguardo verso il futuro. I passi sono stati tanti e tutti calibrati. Il festival è cresciuto nell’unico modo in cui poteva farlo in una città come Vicenza, ovvero facendo un passo alla volta e ogni volta radicandosi sempre di più nel territorio e nelle abitudini della città. Non è terra per le rivoluzioni il vicentino, tutto va assorbito naturalmente. Quero e Brazzale hanno sempre potuto contare sul sostegno di Trivellato sia umano e affettuoso che di impresa e di investimento. Il gruppo Trivellato ormai è sinonimo anche di Jazz ed il connubio tra un’azienda e un festival così importante è inscindibile. Un mecenatismo però vissuto dal profondo, nato dall’amicizia, dalla condivisione, dalla partecipazione alla passione, dall’amore per la città. Una storia che va avanti da quasi 30 anni e continuerà per molto tempo ancora. Quasi impossibile ricordare i momenti apicali di questi anni. Lee Konitz, Jim Hall, Jack De Jonette, John Scofield, Bill Frisell, Paul Motian, Uri Caine, Joe Zawinul, Brad Meldhau, Richard Galliano, Charlie Haden e Pat Metheny, Omar Sosa, Herbie Hancock, Paolo Fresu, Enrico Rava, Danilo Rea, Dee Dee Bridgewater, Giovanni Allevi, Jan Garbarek, Stefano Bollani, Vinicio Capossela, Roy Paci… Troppi i nomi e impossibile citarli tutti. I concerti in piazza, le serate alla Cantinota o al salone degli Zavatteri. Riccardo Brazzale in questi anni ha davvero portato il gotha del jazz mondiale a Vicenza, ed è un merito importante.
Tutto nacque da un’amicizia e una settimana di musica e pura gioia. Tutto nacque dalla passione. Tutto prosegue con la stessa passione. In memoria di Matteo Quero e nel solco che Luca Trivellato e Riccardo Brazzale hanno scavato nel corso degli anni.