In tutto sono stati 35 gli anni passati in assessorato alla cultura da Riccardo Brazzale. Così tanti che ora pare strano vederlo “solo” come direttore artistico del festival jazz oltre che musicista, compositore, critico e docente. Riccardo è tante cose. Il suo lavoro per la comunità come organizzatore e punto di riferimento comunale per gli eventi, è stato preziosissimo e in un momento come questo, in cui ci si interroga molto sulla strada da percorrere verso una progettazione culturale migliore a Vicenza, figure come la sua e come quella dell’altro grande pilastro di Levà degli Angeli, Carlo Gentilin, creano un vuoto difficilmente colmabile nel breve termine. Ma la vita va avanti e lo fa come una jam session. Il festival che apre oggi e che fino al 22 maggio porterà jazz in tutta la città. È l’edizione numero 26. Tutto iniziò nel 1996 ma questa storia è indissolubilmente legata al suo condottiero e quindi, se vogliamo essere precisi, tutto iniziò quando il jazz entrò nel cuore e nello spirito di Riccardo. La sua è una storia jazz, perché segnata da coincidenze, sincopi, momenti free ed esposizioni di temi sempre più densi.
Ho iniziato don la musica intorno ai 15 anni. Ascoltavo rock al tempo, più che altro perché lo ascoltava mio fratello. E quindi sul piatto giravano i Creedence o i Deep Purple.Nel jazz ci sono entrato da una porta secondaria: quella della musica leggera ballabile. Suonavamo in famiglia in montagna e mi accorgevo che quando facevo i fox o gli swing invece che i valzer, mi piaceva molto di più. Se ci pensi l’età dello swing è stato l’unico momento di reale popolarità del jazz, ed era quando si ballava. Negli anni ‘30 e ‘40m dire jazz o swing significava la stessa cosa. Tornando a me, dopo un po’ di tempo iniziai con due o tre amici di scuola a formare un gruppo. Andava di moda la fusion (anche italiana con esempi splendidi come quello dei Perigeo) ma io ero più conservatore, amavo quello che chiamavo “il jaz del bianco e nero”. Mi pareva di essere troppo commerciale se facevo le cose elettriche”.
Con Riccardo si potrebbe parlare di musica per giorni senza sosta. Quando gli confesso il mio amore per “Requiem” di Lennie Tristano, ha un sussulto di emozione. La musica unisce più di ogni altra cosa alla fine. Siamo nel suo ufficio presso il Teatro Comunale, alla vigilia della partenza del festival. Ultimi preparativi, ultime mail, ultimi problemi da risolvere. Ma anche tempo per i ricordi.
“I miei primi dischi furono di Oscar Peterson, anche perché ero pianista all’epoca, e poi Gene Krupa e Max Roach visto che mio fratello invece era batterista. In ogni caso molti album ce li passavamo tra studenti. Quando compresi che la musica era la mia vita, realizzai anche che non esistevano vere scuole di jazz come ci sono oggi. Mi sono iscritto al Dams nel ‘79 a Parma perché era l’unico istituto nazionale di jazz. Ad inizio anni ‘80 inizio ad insegnare alla Libera Scuola di musica, collaboro col Giornale di Vicenza e poi, come musicista, ho la fortuna di lavorare con Claudio Fasoli (il sax di Perigeo) La Lydian Sound Orchestra nasce con lui e nei primi concerti arrangiavo il suo repertorio”.
Negli anni poi la Lydian si è affermata come probabilmente la prima orchestra jazz italiana, con cui hanno lavorato i maggiori musicisti italiani di jazz (Rava, D’Andrea, Trovesi, Fresu, Fasoli, Tonolo, Intra), ma anche importanti ospiti stranieri: Palle Danielsson, Manfred Schoff, Kenny Wheeler, Ralph Towner, Paul Motian, Terrell Stafford, Charles McPherson, Don Moye, la Mingus Dynasty, David Murray, Jeremy Pelt, Ambrose Akinmusire. Nonostante tutto questo, Brazzale nel panorama del jazz italiano è sempre risultato un po’ anomalo per il suo ruolo che lo vedeva contemporaneamente musicista, organizzatore, docente, studioso. In un paese refrattario alla complessità ed in cui tutto deve essere etichettato, per assurdo la sua enorme versatilità era quasi un peso. Continua Riccardo: “Durante gli anni passati in assessorato forse mi ha limitato ma all’epoca si insegnava meno mentre adesso ci sono i conservatori. Il fatto di essere capace di scrivere poi mi ha aiutato. Ricordiamoci che sono entrato in comune come addetto stampa. Alla fine mi sono accorto che dipende solo dalle persone con cui parli. A volte la gente neanche sapeva che lavoravo in comune mentre altri ignoravano io facessi jazz. A volte ho un lieve rammarico nel pensare che avrei potuto dedicarmi di più all’orchestra però poi penso che in fin dei conti mi andava bene così. Mi son sempre divertito a lavorare in Teatro Olimpico e poi nella mia vita mi piace far tutto: dalle tragedie greche alla musica classica. Penso dovesse essere così. Il destino siamo noi a crearcelo. Fosse stata una cosa che non mi piaceva avrei lasciato prima. Adesso però non c’è dubbio Che gestisco le ore più facilmente”.
.Dal 2006, i critici della rivista “Musica Jazz” hanno sempre collocato la Lydian Sound Orchestra nella Top Ten del referendum annuale, fra i migliori gruppi italiani (nel 2016, al primo posto assoluto). Per TopJazz la Lydian è stata il miglior gruppo italiano sia nel 2018 che nel 2019. L’ultimo album si chiama “Mare 159”, datato 2019, ed è l’ennesimo elegante esempio dello stile di Brazzale che sposa la lezione della third stream di Ellington, Evans e Mingus ma ci aggiunge colori e melodie diremo “classiche” con più di un rimando mediterraneo in aggiunta e qua e là spunti del pianismo di Tristano o di Bill Evans. Consigliatissimo. Ma torniamo al festival.
“Il caso volle che nell’agosto del 1995 arrivò in Comune Francesca Lazzari e nel medesimo periodo conobbi Luca Trivellato grazie a Matteo Quero. Avevo già organizzato concerti qui con Chick Corea e Herbie Hancock ma la Lazzari aveva in mente fare un festival. Francesca aveva le idee molto chiare. E quindi iniziò tutto così. Io ero nel posto giusto nel momento giusto. Tutto è proceduto talmente bene che anche quando è cambiata l’amministrazione, mai nessuno da destra o sinistra ha mai trovato dubbi sul continuare l’esperienza. Quero ebbe il merito di credere nella diffusione della musica nei locali. Qualcosa simile a quel che accade per Umbria Jazz. Il mio problema era riuscire ad usare l’Olimpico perché è un monumento ed io ero impaurito.
“Le fortune di Vicenza Jazz sono state due: portare la musica contemporanea in un posto come il Teatro Olimpico e poi il coinvolgimento dei locali, della città, delle piazze. La città vive jazz con 100 piccoli eventi che crescono anno per anno. Dieci giorni poi son tanti ed i prezzi sono medi ed accessibili a tutti. In tutto questo il Comune ha una partecipazione fondamentale”
Libro dei ricordi. Riccardo ha particolare affetto per l’edizione del 1998 con Richard Galliano, Dave Brubeck, Lee Konitz e Kenny Wheeler. Altra grande edizione fu quella del 2002: l’ anno di Monk. In 26 anni Brazzale ha partecipato personalmente come musicista, compositore e direttore d’orchestra appena 5 volte, il che sottolinea la sua presenza sempre di grande umiltà e mai di ricerca egoistica di un facile protagonismo. Sul versante dei rimpianti dice che forse Ornette Coleman, Cecil Taylor e Sonny Rollins sono i nomi che avrebbe voluto ma che non sono arrivati. In compenso con molti artisti si è creato un rapporto di affetto verso il festival e la città. Giganti come Paul Motian, Lee Konitz, Brad Mehldau o, ancora prima, Michel Petrucciani.
E come poi non citare la vicenza jazz by night e i magnifici anni al salone zavatteri? Oggi invece il Bar Borsa è partner e soggetto imprescindibile.
Ci siamo. Vicenza Jazz edizione XXVI è pronto per partire. Cento anni di Trivellato e cento anni di Mingus. Riccardo sente che è un festival importante e Luca Trivellato gli ha dato l’energia per fare programmare anche un’appendice a luglio. Per altro non si andrà al Parco Querini ma ai Chiostri di Santa Corona. Un pensiero doveroso alla nascente Fondazione Francesco Trivellato e poi si va. Buon festival a tutti.
SUL SITO https://www.vicenzajazz.org/ IL PROGRAMMA COMPLETO